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Impact investing e startup: come cambia il rapporto tra fondi e imprenditori



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Elena Casolari di Opes Italia descrive una finanza in trasformazione: l’impact investing (investimenti per generare impatti positivi su ambiente e società) evolve verso modelli partecipativi e relazioni più eque tra investitori e imprenditori. Ecco come

Pubblicato il 27 ott 2025



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L’impact investing non è più una nicchia per pionieri della finanza etica, ma una delle sfide più rilevanti per il futuro dell’economia sostenibile. La riflessione di Elena Casolari, Partner & CEO di Opes Italia, durante la presentazione del Report sulle startup a significativo impatto sociale e ambientale del Politecnico di Torino il 24 ottobre 2025, ha offerto una fotografia nitida del cambiamento in corso: un settore – quello degli investimenti in imprese o progetti con l’obiettivo intenzionale e misurabile di generare impatti sociali e ambientali positivi insieme a un rendimento finanziario – in transizione che cerca nuove forme di relazione tra capitale e impatto, e che inizia a ripensare le regole del venture capital tradizionale.

Opes Italia, lo ricodiamo, è un Fondo Impact, nato dall’esperienza della Fondazione OPES-LCEF con l’obiettivo di realizzare investimenti in imprese a impatto in Italia.

Dal capitale all’impatto: una fase di transizione

Casolari descrive il momento attuale come una fase di “liminalità”, termine mutuato dal linguaggio antropologico per indicare un periodo di passaggio. “L’impact investing si trova oggi in una condizione di transizione: deve superare l’approccio lineare dell’investimento classico per muoversi verso una visione più olistica e sistemica”, ha spiegato la manager.

In questa prospettiva, il capitale non è più soltanto un mezzo per ottenere ritorni finanziari, ma diventa uno strumento per affrontare sfide sociali complesse, in equilibrio tra sostenibilità economica e trasformazione collettiva.

L’analisi si inserisce in un contesto segnato dalla crescita delle startup a impatto evidenziata dal Social Innovation Monitor, che ha registrato un aumento dell’11% delle imprese a vocazione sociale in un solo anno. Questa evoluzione del mercato, ha osservato Casolari, “conferma che il posizionamento sull’impatto diventa anche una leva strategica”, capace di rafforzare la competitività e la solidità delle imprese.

Una finanza più vicina agli imprenditori

Uno dei nodi centrali del nuovo impact investing riguarda la distanza tra chi finanzia e chi realizza l’impatto.

Casolari ha sottolineato che i fondi di investimento, pur muovendosi con obiettivi sociali, spesso mantengono una struttura asimmetrica, dove il potere decisionale e il beneficio economico restano concentrati nella parte finanziaria del sistema. “La nostra volontà è ridurre la distanza tra chi fornisce le risorse finanziarie e chi le impiega, riconoscendo agli imprenditori una parte dell’upside”, ha spiegato.

Il concetto di upside condiviso — ovvero la redistribuzione dei guadagni generati dal successo del fondo agli imprenditori che vi partecipano — rappresenta una novità nel panorama europeo.

Casolari precisa che “in Italia e nell’Europa continentale si tratta di una pratica quasi inedita, adottata solo in pochissimi casi a livello mondiale, ma con risultati promettenti per la creazione di ecosistemi imprenditoriali solidi”.

Questa scelta non è solo un atto di equità: è una strategia per allineare gli incentivi tra capitale e impatto, premiando le startup che generano valore economico e sociale in modo integrato.

Dall’impatto dichiarato all’impatto misurato

Il discorso di Casolari si lega strettamente al tema della misurazione dell’impatto, centrale anche nel lavoro del Politecnico di Torino. Le imprese finanziate da Opes Italia, ha spiegato, vengono selezionate sulla base di metriche di impatto dichiarate, intenzionali e verificate, che accompagnano il processo di crescita e di investimento.

Per noi l’impatto non è una dichiarazione di intenti ma una strategia operativa, articolata nella nostra attività di investimento e di accompagnamento alle imprese”, ha aggiunto.

Il nuovo fondo che Opes Italia prevede di lanciare nel 2026 rafforzerà questa impostazione, integrando strumenti finanziari e competenze gestionali per favorire un rapporto continuativo con gli imprenditori.

L’obiettivo è duplice: rendere l’impatto sociale più trasparente e renderlo una componente strutturale del valore d’impresa. In questo modo, la misurazione non serve solo a soddisfare standard ESG, ma diventa un meccanismo di apprendimento e miglioramento continuo.

Le sfide dell’ecosistema italiano

Nonostante i progressi, il mercato dell’impact investing in Italia resta ancora limitato rispetto al resto d’Europa.

Casolari ha parlato di un ecosistema “in costruzione”, dove i fondi a impatto sono pochi e le imprese che incorporano metriche di sostenibilità nei propri modelli di business sono ancora minoritarie.

Le difficoltà derivano da più fattori: la frammentazione normativa, la scarsità di investitori istituzionali disposti a sostenere strumenti ibridi e, soprattutto, la lentezza culturale nel riconoscere che l’impatto può essere un motore di crescita economica, non solo un costo o un vincolo reputazionale.

Tuttavia, la domanda di capitale paziente e responsabile è in aumento. Le startup analizzate dal Social Innovation Monitor dimostrano che la ricerca di valore condiviso non compromette la redditività: le imprese a impatto hanno registrato ricavi medi quattro volte superiori alle startup tradizionali e un tasso di crescita più stabile anche in periodi di incertezza economica.

Per Casolari, questi risultati sono “un segnale confortante per chi crede che l’impatto non sia un compromesso, ma un vantaggio competitivo”.

Verso una nuova cultura dell’investimento

Il percorso delineato da Casolari non riguarda solo il capitale, ma il modo stesso in cui gli investitori concepiscono il proprio ruolo.

La manager propone una visione in cui l’investitore a impatto non è più un osservatore esterno, ma un partner dell’imprenditore, impegnato a costruire valore nel lungo periodo.

L’obiettivo non è massimizzare i ritorni immediati, ma generare ecosistemi in cui l’innovazione, la sostenibilità e la crescita coesistano.

Un approccio che richiede, per sua natura, pazienza e competenza. “Se vogliamo affrontare le sfide del nostro tempo, dobbiamo uscire dalla logica lineare e pensare in modo sistemico”, ha osservato Casolari, riferendosi alle trasformazioni legate al cambiamento climatico, alla disuguaglianza e alla digitalizzazione dei servizi sociali.

L’impact investing, in questa visione, diventa un ponte tra la finanza tradizionale e le politiche pubbliche, capace di orientare le risorse private verso obiettivi di interesse collettivo.

Un laboratorio per l’Europa

Casolari ha ricordato come le recenti iniziative comunitarie — dai rapporti Letta e Draghi al nuovo framework europeo per l’innovazione e la ricerca — vadano nella stessa direzione: riconoscere che la crescita sostenibile richiede un sistema finanziario orientato all’impatto.

Per l’Italia, questo significa colmare il divario con i Paesi dove il settore è già consolidato, come Regno Unito, Paesi Bassi e Francia, e valorizzare il ruolo delle università e dei centri di ricerca nella diffusione della cultura dell’impatto.

La prospettiva delineata durante l’evento del Politecnico di Torino suggerisce che l’evoluzione dell’impact investing non sarà solo quantitativa — più fondi, più startup, più capitali — ma qualitativa: un ripensamento del rapporto tra valore economico e valore sociale.

Non è una promessa ideale, ma un processo già in corso, sostenuto da dati, esperienze e pratiche che mostrano come la finanza possa tornare a essere uno strumento di trasformazione collettiva, non soltanto di rendimento.

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