Tamburi: «La disruption? Nessuno ci ha capito niente. E io punto sulle startup»

Il presidente e ad di “Tamburi Investment Partners”, che arriva dalla finanza anni 80, spiega a EconomyUp perché la sua holding è salita al 19% del venture incubator Digital Magics: «I profitti calano e ancora non è chiaro come farli risalire. A fare la differenza sarà l’innovatività. E noi vogliamo esserci»

Pubblicato il 18 Dic 2015

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Giovanni Tamburi, presidente e Ad di Tip

“La rivoluzione digitale ha fatto emergere un fenomeno: i profitti in tutto il mondo stanno scendendo. Quali industrie sopravviveranno alla disruption? Non lo sappiamo ancora, la verità è che nessuno ci ha capito davvero niente. Noi però cerchiamo di capire. A nostro parere la differenza tra il costo di un prodotto e il prezzo di vendita la fa l’innovatività”. È per questo che Giovanni Tamburi, presidente e amministratore delegato di Tamburi Investment Partners (Tip), ha deciso di rafforzare la scommessa su Digital Magics, incubatore di progetti digitali, salendo a quota 19% nel capitale della società co-fondata dal defunto Enrico Gasperini.

Un capitano di lungo corso della finanza italiana, Tamburi, che ha fondato nel 1999 Tip, investment e merchant bank indipendente quotata in Borsa nel 2005, nella cui compagine azionaria figurano esponenti di alcune delle più importanti famiglie imprenditoriali italiane. Cresciuto negli anni Ottanta all’Euromobiliare di Carlo De Benedetti e Guido Roberto Vitale, nel corso degli anni l’investment banker ha azzeccato diverse operazioni: solo citarne tre Moncler, Prysmian (la ex Pirelli cavi) e Eataly. Un euro investito dieci anni fa nella sua holding di investimento, scrivono gli analisti, oggi varrebbe 2,67 volte tanto, un multiplo del capitale investito ben più elevato, per esempio, della performance dell’oro (2,36 volte).

In questo contesto appare significativa la decisione, annunciata il 16 dicembre all’Investor Day del venture incubator quotato all’Aim (mercato di Borsa italiana per le pmi), di salire con Tip al 19% di Digital Magics. La società aveva partecipato all’aumento di capitale da 4,99 milioni di euro di Digital Magics dello scorso giugno, sottoscrivendone una quota per 2 milioni e ritrovandosi così con il 10,66%. Ha poi continuato ad acquistare azioni Digital Magics sul mercato e a metà ottobre ha comunicato di essere salita al 15,15%. A EconomyUp Giovanni Tamburi delinea uno scenario dal quale si evincono le ragioni delle recenti scelte. Partendo da un assunto: “La situazione è ancora confusa, ma noi vogliamo esserci”.

Perché?
A causa della rivoluzione che stiamo vivendo in questi anni, dal punto di vista finanziario i profitti delle aziende sono destinati tendenzialmente a diminuire, mentre le valutazioni continueranno a salire, perché noi tutti vediamo che le aziende che attraggono più il mercato sono quelle della cosiddetta new economy, che sono molto care. Nel frattempo la popolazione invecchia, i consumi cambiano moltissimo e cambieranno ancora di più. Qualcuno dice che vivremo fino a 140 anni: non so se sarà così, ma certo sono sotto gli occhi di tutti i progressi messi a segno dalle scienze biotecnologiche. Non è vero che Internet è new economy e basta: paradossalmente si può dire che i pensionati sono il futuro del business e i clienti dobbiamo andare a prenderli lì.

Come conquistare clienti e non perdere profitti?
Siamo in un momento storico in cui l’industria deve passare dal dover mettere insieme pezzi di plastica, ferro o altri materiali, come aveva fatto fino a poco tempo fa, al produrre un valore aggiunto la cui dimensione può essere data solo dall’innovazione. E l’innovazione bisogna andarla a cercare e trovarla. Personalmente sono stato a un sacco di incontri e convegni su questi temi. Alla fine è emerso che nessuno ci ha ancora capito niente, nemmeno i grandi pensatori e i visionari, nonostante la new economy sia nata intorno al 2000. Anche noi non abbiamo capito ma vogliamo esserci. E crediamo che Digital Magics sia uno dei modi per farci comprendere questo mondo.

Tip ha investito e investe in grandi aziende. Perché ora puntate sulle startup?
Sarebbe sbagliato non investire in queste realtà. Noi, che ormai siamo il più grande investitore italiano, dobbiamo mettere dei soldi anche nelle startup: per il momento sono pochi ma intendiamo farli crescere. Avendo dalla Prysmian otto miliardi di fatturato, ma posso citare anche le altre aziende più conosciute come Eataly e Moncler, non reinvestire quanto abbiamo raccolto sarebbe un errore. Ma al di là dei soldi, che contano poco, conta l’impegno, il tempo che dedichiamo, la comprensione delle dinamiche. Se riusciamo a capire come colmare nei prossimi anni quel gap tra costi e ricavi delle nostre aziende, alcune delle quali sono leader mondiali, ma che potrebbero non riuscire a mantenere la leadership, avremo fatto un buon lavoro.

Ma i piccoli non sono troppo a rischio? La percentuale di fallimento delle startup è elevata…
Siamo tutti a rischio. Le Nokia, le Blockbuster, le Kodak sono aziende enormi che sono scomparse nel giro di pochissimo tempo. Uno degli esempi che si cita sempre: le grandi quotazioni di Wall Street ormai sono per la maggior parte fatte da società che dieci anni fa non esistevano. Questo è un segnale. Dobbiamo stare attenti, dalla piccolissima alla grandissima azienda, a capire cosa può volere il nostro cliente, per poi un domani offrire un prodotto o un servizio a un costo giusto.

Non conta dunque solo la dimensione ma la qualità?
Non conta mai la dimensione. Oggi bisogna passare dalla quantità alla qualità, bisogna offrire quel qualcosa in più. Per questo le exit, a mio parere, sono una grande sciocchezza. Lo dicevo sempre a Enrico Gasperini. Tra l’altro, in questo campo, abbiamo anche fatto grandi errori. Certo, un osservatore superficiale può pensare: ‘Che bello, hai guadagnato tanto con la exit’. D’altra parte chi fa questo mestiere, e io lo faccio da 40 anni, ha l’ansia di far veder di aver raggiunto rapidamente dei risultati, e a volte l’ho avuta anch’io. Ma non dobbiamo farci belli con la exit, dobbiamo piuttosto puntare a creare qualcosa che sia veramente di valore. Non volersi subito appuntare sul petto la medaglietta del “ho creato 100”, ma aspettare magari di creare 1000.

Accennava prima a Wall Street. Alcune società digitali hanno mega-valutazioni: una nuova bolla di Internet?
In questo momento i profitti, come detto, tendono a scendere, ma i multipli di mercato (rapporti tra i prezzi di mercato, cioè le quotazioni, di uno strumento azionario e una data grandezza di bilancio, ndr) a volte possono essere altissimi. Solo per fare un esempio Netflix vale 105 volte l’Ebitda. Ma quando comincerà a produrre risultati economici? Sicuramente siamo in presenza di una nuova bolla, tuttavia occorre vedere se e come si concretizzerà. Anni fa pensavamo che Google e Facebook fossero bolle, poi non è stato così. Però moltissime altre aziende sono scomparse. Anche in questo caso bisogna essere bravi a discernere tra quello che può essere una bolla e quello che invece può rappresentare qualcosa di molto concreto.

Ci vorrà tempo per capire. Quanto, secondo lei?
Non lo sa nessuno. Si parlava nel 2001 di new economy, siamo nel 2015 e forse non abbiamo capito nemmeno quello che avevamo osservato 15 anni fa. Dobbiamo analizzare e studiare attentamente questa evoluzione, che comunque resta positiva.

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