La storia
Taskhunters, così abbiamo fatto una startup lavorando a distanza
La piattaforma che fa incontrare chi non ha tempo con studenti universitari disposti a sbrigare piccole faccende quotidiane è stata creata da quattro amici di Treviso under30 che vivono in parti diverse del mondo, da Milano a Dubai. Ecco come hanno fatto. Con quali strumenti e quali vantaggi. Anche per lo sviluppo del progetto
di Maurizio Di Lucchio
02 Ago 2016

La loro creatura, Taskhunters, è stata sviluppata in remoto da quattro angoli diversi del pianeta. E anche se a breve due degli expat – il ceo Lorenzo e il cfo Francesco – si trasferiscono a Milano, dove la società ha sede, per lavorare full time sul progetto, i due componenti del team che risiedono in Irlanda continueranno per il momento a operare da lì.
Quello che questi ragazzi hanno concepito a distanza è un marketplace online di task, ovvero quelle piccole
Gli utenti dell’app, attiva dallo scorso luglio per iOS e Android, possono chiedere agli universitari iscritti alla piattaforma di fare lavori occasionali di vario tipo, dal ritirare gli abiti in lavanderia all’ organizzare i contenuti di una presentazione di lavoro.
Il funzionamento è abbastanza intuitivo. Gli utenti pubblicano la richiesta descrivendo il task e indicano il prezzo che sono disposti a pagare. Gli studenti che vedono il lavoretto, in base alla geolocalizzazione possono proporsi per svolgerlo e, tramite una chat integrata, comunicare con il richiedente per farsi affidare la commissione e mettersi d’accordo sulla ricompensa.

E sulla fiducia si è basato anche Lorenzo Teodori, che della startup è ceo e cofounder, per capire chi coinvolgere nel progetto. “Durante i miei studi tra Padova, Milano e Anversa, ho sempre cercato lavoretti temporanei per finanziarmi”, racconta a EconomyUp. “Invece, quando sono entrato nel mondo del lavoro, ho iniziato, come molti consulenti, ad avere poco tempo per me stesso. Così, mettendo insieme il ricordo del mio passato da studente e la mia condizione di lavoratore, un anno e mezzo fa ho pensato a Taskhunters. Ho buttato giù l’idea e ho contattato le persone fidate che avessero le competenze per portarla avanti, a partire da Marco, il cto, con cui abbiamo lavorato allo sviluppo del primo prototipo, e proseguendo con gli altri componenti del team, anche se si trovavano in zone del mondo diverse”.
I quattro del nucleo italiano della startup erano tutti amici di vecchia data. Forse è stato anche per questo che la creazione di un metodo per coordinare il lavoro a distanza si è rivelata meno complicata del previsto. Tutto è fatto utilizzando strumenti piuttosto comuni. “Organizziamo 2-3 call a settimana con Google Hangout e Skype in orari post-lavorativi, per allinearci sui lavori che ognuno sta portando avanti, discutere e confrontarci”, spiega Alberto Mora, communication manager della startup e unico tra gli italiani di Taskhunters che per ora ha scelto di mantenere il doppio lavoro continuando a fare il copy per l’agenzia Havas Worldwide.
“Con Dropbox condividiamo online il materiale e i documenti. Con le e-mail portiamo avanti le discussioni su particolari argomenti e condividiamo
Nello specifico, i tipi di lavoretti che possono essere effettuati attraverso Taskhunters rientrano in dieci categorie: shopping, faccende domestiche, assistenza personale, lezioni, mobili e arredamento, trasloco, pet care, ritiro e consegna, assistenza computer, graphic design. Il guadagno della startup arriva da una percentuale trattenuta sul compenso dello studente pari al 18,3%.
Il modello è simile a quello dell’azienda che più si è imposta nel mercato dei lavori occasionali in Europa e oltreoceano: Taskrabbit. “Ma ci sono alcune differenze sostanziali”, spiega il ceo. “Per esempio, i nostri tasker sono soltanto studenti, verificati attraverso l’indirizzo e-mail dell’università. Il nostro obiettivo è di non favorire in alcun modo il lavoro precario offrendo un’attività temporanea ai disoccupati. Coinvolgendo gli studenti, non corriamo questo rischio e forniamo uno strumento utile per autofinanziarsi e sgravare i genitori dai costi della permanenza all’università”.

Un’altra differenza, innegabile, con Taskrabbit è la quantità di risorse raccolte: se la piattaforma americana in otto anni di vita ha già chiuso round per quasi 38 milioni di dollari, la startup italiana si è appena messa alla ricerca di finanziatori. “Abbiamo già ricevuto chiamate da parte di incubatori e investitori interessati al team, al progetto e a come lo stiamo sviluppando”, conclude il ceo.
“Uno degli aspetti più apprezzati è la nostra idea di espansione.
