Quando passa Nuvolari

Startup, la lezione di 3 scienziate afro-americane negli anni ’60

“Il diritto di contare” (“Hidden Figures”), film ispirato alla storia vera di Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson, matematiche di colore alla NASA, può essere di ispirazione agli startupper. Perché insegna che il talento non ha razza, la tecnologia è un’opportunità e le sfide non sono mai semplici

Pubblicato il 05 Apr 2017

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Ci sono momenti nei quali riusciamo un attimo a fermarci ed a riflettere. Tra questi momenti ormai sempre più rari nella nostra vita “always-on” la visione di un film al cinema è per me un momento speciale, magico, l’altro è la lettura di un libro. Dopo aver scritto delle riflessioni legate alle startup che mi hanno ispirato la storia di Harry Potter, la biografia di Bruce Springsteen ed il film su McDonald’s (The Founder) ho una nuova storia che mi ha ispirato profondamente e che spero vogliate condividere.

La storia è “Il diritto di contare” (titolo originale Hidden Figures) per la regia di Theodore Melfi. Il film è ispirato alla vera storia di Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson, tre scienziate afro-americane alla NASA. La storia de “il diritto di contare” è ambientata tra il 1961 ed il 1962.

Come alcuni di voi ricorderanno ed altri hanno letto alla fine degli anni ’50 si accese la “corsa allo spazio” tra l’allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (U.R.S.S.) e gli Stati Uniti. Il Programma Mercury fu la risposta americana alla Vostok sovietica. In questa sfida che aveva chiare implicazioni sulla difesa (dal dominio del cielo al dominio dello spazio), gli Stati Uniti erano in rincorsa e furono i sovietici per primi che portarono un uomo in orbita; Jurij Alekseevič Gagarin il cui volo iniziò il 12 aprile 1961, alle ore 9:07 di Mosca. Nel 1961 io sono nato ed è quindi per me un anno importante, ma ovviamente non ho ricordi diretti di quell’anno. L’anno dopo John Glenn il 20 Febbraio 1962 “pareggiò” il conto con i sovietici diventando il primo americano (ed il secondo uomo) in orbita terrestre.

In questo scenario della “guerra fredda” vive la storia di queste tre donne, matematiche di colore in Virginia, uno degli Stati Secessionisti nella guerra civile americana. Guerra civile che fu combattuta dal 12 aprile 1861 al 9 aprile 1865. Cento anni dopo il termine della guerra civileche provocò si stima tra 620.000 e 750.000 soldati mortial Langley Research Center, di Hampton, Virginia, si praticava ancora la segregazione razziale. La storia di Katherine Johnson, Dorothy Vaughn e Mary Jackson e delle loro colleghe racconta come nulla di quanto fino ad ora dei diritti civili e della lotta al razzismo può darsi per scontato ed acquisito.

Il film racconta di Katherine, una matematica di talento assoluto che calcola la traiettoria anche della capsula della missione di John Glenn, di Dorothy che all’arrivo del calcolatore IBM studia il Fortran andando a prendersi in biblioteca un libro in una sezione non aperta ai neri, di Mary che diventa la prima ingegnere spaziale conquistando in tribunale il diritto a frequentare un corso di specializzazione fino a quel momento “per soli bianchi”. Tre donne, di colore, madri che danno un contributo eccezionale ed un esempio in una società ampiamente maschilista e razzista.

Perché il grande contributo di Katherine Johnson fosse riconosciuto dalla nazione ella dovette aspettare più di cinquant’anni fino al primo Presidente afro-americano della storia, Barack Obama, che il 24 Novembre 2015 l’ha insignita della Presidential Medal of Freedom; fortunamente era ed è una donna longeva (nata il 26 agosto del 1918 ha oggi 98 anni). Il film è uscito nelle sale americane a Natale del 2016 pochi giorni dopo l’elezione a Presidente di Donald Trump, 8 Novembre, insediato il 20 Gennaio 2017, quasi un appello fuori tempo massimo.

Questa storia accade mesi prima del famoso discorso del Presidente John Kennedy : “Abbiamo deciso di andare sulla luna. Abbiamo deciso di andare sulla luna in questo decennio e di impegnarci anche in altre imprese, non perché sono semplici, ma perché sono ardite, perché questo obiettivo ci permetterà di organizzare e di mettere alla prova il meglio delle nostre energie e delle nostre capacità, perché accettiamo di buon grado questa sfida, non abbiamo intenzione di rimandarla e siamo determinati a vincerla, insieme a tutte le altre.” (cit. JFK discorso alla Rice Università, 12 settembre 1962)

Ma cosa ci insegna questa bella storia a distanza di più di 50 anni e come è attuale e si collega alle startup ed alle sfide della tecnologia del tempo presente? Io credo che ci siano almeno queste lezioni da ritenere:

a) Abbiamo bisogno del talento di tutti. Nel film è il direttore del programma Al Harrison, impersonato da Kevin Kostner, che dopo una drammatica scena in cui Katherine Johnson spiega le difficoltà cui è esposta (il bagno per le donne di colore ad un chilometro e mezzo dalla sua scrivania, l’ostilità dei colleghi con il bricco del caffè separato con scritto “coloured”, il dress code) reagisce e va prendere a mazzate il cartello “Bagno Donne di Colore” e dice “abbiamo bisogno di tutti altrimenti non ce la possiamo fare” e “almeno qui alla NASA la pipì non ha più un colore”. In tempi di ritorno del razzismo e muri contro l’immigrazione la lezione è forte. A quanti profughi ed immigrati viene anche solo riconosciuto il beneficio del dubbio di essere dei talenti? La battaglia per la dignità e la parità delle persone di qualsiasi razza, colore, sesso, religione è ancora da vincere. Malgrado la Dichiarazione d’indipendenza degli allora tredici Stati Uniti d’America sia del 1776 “Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per sé stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”, ed il fatto che una maggioranza delle startup di successo fondate negli USA abbia almeno un fondatore immigrato, le politiche promesse da Trump e che lo hanno portato all’elezione sono un netto ritorno al passato (sessista e razzista). La domanda forte, “come possiamo farcela senza di loro” è molto attuale.

b) La tecnologia è una opportunità. L’arrivo del calcolatore IBM maiframe è visto come una minaccia che rischia di fare diventare delle disoccupate le matematiche del gruppo di Dorothy Vaughan, ma lei reagisce e studia ed insegna al proprio gruppo il FORTRAN, cavalca e non subisce l’innovazione. Una affermazione della dottoressa Vaughan da segnarsi: “I changed what I could, and what I couldn’t, I endured.”(trad. “Ho cambiato quello che ho potuto, e quello che non ho potuto, ho sopportato.”). Dire che sia stata una persona “tosta” è poco, iniziò a lavorare giovane per aiutare la famiglia nella Grande Depressione, si sposò e crebbe sei figli. Il talento non è nulla senza l’impegno, la perseveranza, la volontà. In tempi in cui si discute sui robot e sull’industria 4.0 credo che sia un atteggiamento da studiare ed imitare.

c) Non sono le cose semplici ma le sfide che dobbiamo cercare. La frase del Presidente Kennedy sulla sfida per portare l’uomo sulla luna è passata alla storia e rimane attualissima. Quelle sfide furono vinte con una tecnologia che appare oggi quasi primitiva, in una società che era in molte parti sessista e razzista, che viveva il confronto della guerra fredda che poi così fredda non era essendo combattuta in Vietnam (e ricordiamo che Kennedy è anche quello che dichiara: «Abbiamo un problema: rendere credibile la nostra potenza. Il Vietnam è il posto giusto per dimostrarlo»), in una società nella quale già nel “64 con l’occupazione dell’Università di Berkley prendeva corpo la rivolta studentesca poi estesa nel “68 all’Europa. Quella società non era meno complessa, critica di quella di oggi, è tempo di darsi sfide grandi, non di sfuggire in decrescite (in)felici e nascondersi dietro muri.

Oggi il mondo appare sospeso tra i progressi fatti, le opportunità enormi ed il rischio di una involuzione, di un ritorno al passato. Sta a noi scegliere le nuove sfide per mettere “alla prova il meglio delle nostre energie e delle nostre capacità”, e queste sfide per l’Italia si chiamano produttività, partecipazione femminile al lavoro, educazione. Per vincere le sfide in Italia dobbiamo avere obiettivi di innovazione e crescita ambiziosi e correggere così il trend che ci ha portato dal livello minimo dal dopoguerra del debito pubblico nel 1963 – il 32,6% del PIL – all’attuale “mostro” del 133% del 2016. Investimenti di minimo un miliardo all’anno in VC e crescita al 4% sono sfide che dobbiamo fare nostre.

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