Il report

Startup, il 95% sopravvive dopo 3 anni ma il fatturato medio è 30mila euro

Le nuove imprese sono 6.745, il 122% in più rispetto al 2014, poche centinaia hanno chiuso negli ultimi due anni, ma soltanto 300 fatturano più di 500mila euro. Ecco il bilancio annuale del Ministero dello Sviluppo economico, che ammette: «Per investimenti siamo ancora troppo lontani dagli altri Paesi»

Pubblicato il 14 Feb 2017

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È un settore in crescita quello delle startup e delle piccole e medie imprese (pmi) innovative, ma ancora molto lontano da quello che potrebbe essere e da quello che già è in altri Paesi. Lo ha fotografato la relazione annuale del Ministero dello Sviluppo Economico, presentata ieri al Luiss Enlabs di Roma. (Un appuntamento analogo si era tenuto a dicembre 2015)

Le startup innovative italiane sono 6.745, il 122% in più rispetto al 2014, il 12% in più rispetto alla prima metà del 2015. Questo significa che lo 0,42% delle società di capitali è una startup innovativa, quota che sale al 25,6% nel settore della ricerca e sviluppo e all’8% nella produzione di software (non a caso i settori più proficui per le nuove imprese sono i servizi di informatica e software e i servizi di ricerca e sviluppo e attività professionali e tecniche). (Qui è possibile scaricare il report completo del Mise sulle startup)

A livello di distribuzione geografica, oltre la metà delle startup sono al Nord: il 30,7% al Nord-ovest e il 24,9% al Nord-est. Seguono il Mezzogiorno col 23,1% e il Centro Italia al 21,4%. La Lombardia, davanti a Emilia Romagna e Lazio, e Milano, seguita da Roma e Torino, guidano la classifica di regioni e città. Bene anche l’occupazione, cresciuta del 44,8% in un anno. Sono 25.622 i soci dell’universo startup e 9.169 (tre e mezzo a impresa) i dipendenti. Fra l’altro il 44,5% delle startup ha almeno un socio donna mentre c’è un under 35 fra i soci nel 38,2% dei casi.

A comporre la società sono principalmente (67%) persone fisiche, anche se il 31% delle startup ha una persona giuridica come socio. In totale sono 3.723 le persone giuridiche a partecipare ad una società di questo tipo, il 14% di tutti i soci. Dati che a livello generale si traducono in 118 milioni di euro in partecipazioni di persone fisiche (media di 7.600 euro) e 171 milioni per quanto riguarda le persone giuridiche (31.700 a testa). “Sono ancora soprattutto amici e familiari a investire nelle startup e questo è uno dei limiti da superare” ha commentato Stefano Firpo, direttore generale del Mise per la politica industriale, la competitività e le Pmi, nel presentare il rapporto.

Ma di che tipo di aziende stiamo parlando? Quanto fatturano, quanto resistono in vita? “Fra gennaio 2014 e giugno 2016 solo 208 startup sono cessate, più altre 102 che sono in liquidazione” ha continuato Firpo. “Il tasso di sopravvivenza a 3 anni è del 95,1%, anche grazie a una miglior selezione all’entrata ai finanziamenti. Questi sono dati molto incoraggianti. Le difficoltà che notiamo sono nella fase go to market, perché i fatturati non sono ancora alti”.

Infatti meno di 300 startup fatturano più di 500mila euro, per una media di 144mila euro. Ma il dato mediano, senza cioè i valori più alto e più basso, si attesta a soli 30mila euro di fatturato all’anno per startup. Solo il 42,8% delle startup è in utile. Seguendo i bilanci 2015, gli ultimi a disposizione, si legge come la produzione complessiva delle startup sia di 584 milioni di euro per un capitale di 351 milioni. Ci sono poi di dati sulle startup che scalano: nell’arco di tempo fra il 2013, anno dell’entrata in vigore della policy del governo, ai bilanci 2015, quindi relativi al 2014, la maggioranza delle startup che partivano da zero hanno raggiunto un valore della produzione inferiore ai 100mila euro, mentre solo il 3,4% ha superato il milione.

Il passaggio da startup a pmi innovativa presenta ancora zone d’ombra.

Pmi innovative, quali sono e quali vantaggi hanno

“I business innovativi fanno fatica ad andare sul mercato e come governo abbiamo le mani legate dalle norme comunitarie” spiega Firpo. “Con il piano Industria 4.0 abbiamo portato le detrazioni fiscali al 30% per chi investe, ma difficilmente riusciremo ad alzarla”. Ciononostante il registro delle pmi ha fatto segnare un balzo del 113% al 13 febbraio, arrivando a contare 434 aziende, localizzate soprattutto in Lombardia, di cui 60 hanno un valore della produzione superiore a cinque milioni di euro. Quasi tutte le 196 pmi costituite dopo il 2010 sono ex startup passate in continuità da una sezione speciale all’altra.

Questo l’impegno del governo, iniziato nel 2012 con il decreto legge Startup Act, entrato in vigore l’anno successivo, continuato con le modifiche del 2015 e culminato con il piano Industria 4.0 che ha trovato piena applicazione con la recente legge di stabilità del 2017.

Qualche altro numero: 180 startup costituite con la nuova modalità online, 357 milioni di euro erogati dal fondo di garanzia, che ha ‘coperto’ 1.117 richieste di finanziamenti da parte di startup, quasi tutti in via di restituzione: “Molto è stato fatto, ma molto ancora c’è da fare” ha concluso Firpo. Una chiosa che ha trovato d’accordo anche gli altri partecipanti alla tavola rotonda che ha seguito la presentazione: “Pubblico e privato devono ragionare insieme, perché serve una cabina di regia per attirare i capitali” ha detto Ernesto Ciorra, direttore funzione, innovazione e sostenibilità dell’Enel. In effetti l’Italia è il fanalino di coda europeo per quanto riguarda gli investimenti dei Venture Capital, come ha sottolineato l’Ad di LuissVenture Luigi Capello nell’introdurre i lavori di ieri. Sono 3,2 i miliardi di euro investiti in Inghilterra, 2 miliardi in Germania, 550 milioni in Spagna a confronto dei soli 100 milioni circa giunti in Italia.

“Le startup esistono se guadagnano e dobbiamo trovare il modo di far muovere i capitali” ha aggiunto Marco Trombetti, Ad di Translated e di PiCampus. “Le imprese devono essere incentivate a investire sulle startup, anche in fase di ricerca”. “Sì, ma l’investimento non deve limitarsi a provvedere ai fondi economici o a comprare le startup” ha aggiunto Ciorra. “L’open innovation che si fa in Italia deve cambiare: le aziende devono veramente aprirsi, far vedere alle startup di cosa hanno bisogno e appaltarglielo”.

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