STARTUP INTELLIGENCE

Startup e proprietà intellettuale, perché i brevetti possono attrarre investimenti

Ottenere e mantenere il diritto di brevetto è complesso, soprattutto per le giovani imprese. Ma, evidenzia l’Osservatorio Startup Intelligence, dà modo di sfruttare le potenzialità dell’innovazione brevettata. Come ha fatto Vislab, startup italiana proprietaria di brevetti per driverless car, poi acquisita da un’azienda USA

Pubblicato il 07 Set 2018

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Il diritto di proprietà intellettuale rappresenta da sempre un fattore determinante di protezione dell’innovazione e su di esso si è sviluppata la crescita delle nostre economie. Al suo interno si ritrovano elementi anche molto diversi come il diritto dei marchi, dei brevetti, del disegno industriale, del know-how, fino al diritto di autore. Quanto è valso negli anni per le imprese in termini di diritti di proprietà intellettuale vale oggi anche per il crescente ecosistema startup: saper riconoscere e dare un valore all’inventiva, proteggendo tramite diritti gli ideatori, è un passo fondamentale per far sì che anche piccole realtà innovative, con scarsa disponibilità economica e senza potere contrattuale, possano sopravvivere e scalare.

Riferendoci all’ecosistema startup, tra tutti i diritti di proprietà intellettuale appare di particolare rilevanza quello di diritto al brevetto, definito come titolo giuridico che conferisce al titolare il diritto esclusivo di realizzare, utilizzare e commercializzare le proprie invenzioni in un territorio per un periodo determinato. Tale diritto viene reso possibile grazie a un contratto sociale siglato tra l’inventore e lo Stato: l’inventore accetta di rivelare i dettagli della propria soluzione innovativa, ricevendo in cambio dallo Stato l’esclusiva allo sfruttamento e il diritto di monopolio per un determinato lasso di tempo, solitamente uguale a 20 anni. Questo contratto da un lato abilita così la rivelazione alla comunità di una soluzione che altrimenti rimarrebbe segreta, e dall’altro fornisce all’ideatore la possibilità di compensare lo sforzo impiegato nello sviluppare l’innovazione.

Tuttavia il percorso non è così lineare.

Un primo passo è comprendere la brevettabilità. Una ricerca svolta dallo European Patent Office sul sistema tedesco ha stimato che l’effort vanificato a causa di ricerche svolte su innovazioni già brevettate si assesta tra il 15 e il 25% delle risorse di tempo e budget. Si tratta di uno sforzo che non tutte le startup sono in condizione di produrre. A questo si aggiunge la capacità di inserire il brevetto nella propria strategia e creare un vantaggio competitivo. La combinazione di primato tecnologico e protezione giuridica può infatti portare a extra performance tramite differenziali di costo o di valore, creando un vantaggio competitivo sostenibile nel lungo periodo.

Lo sfruttamento del diritto di brevetto non può essere nel caso delle startup in sola ottica difensiva, comune nel mondo industriale, secondo la quale si deposita un brevetto solamente per evitare che i competitor possano trarne vantaggio, anche nel caso in cui la soluzione non sia implementabile internamente. Questo rappresenta per una startup un costo senza ritorno e insostenibile. Bisogna invece valorizzare il possibile effetto leva che riguarda la capacità di attrarre capitali sfruttando la proprietà intellettuale, dimostrando ad esempio le potenzialità dell’innovazione brevettata con l’obiettivo di attirare potenziali finanziatori interessati. Sono altamente frequenti i casi di investimenti e acquisizioni effettuati dai colossi del mondo hi-tech finalizzati al possesso di brevetti esistenti. Ma anche startup italiane sono state in grado di sfruttare il fenomeno. Come nel caso di Vislab, startup pioniera nel settore dei veicoli a guida autonoma e proprietaria di diversi brevetti software per l’elaborazione di immagini, acquisita nel 2015 dall’americana Ambarella per l’importante cifra di circa 30 milioni di dollari.

Vislab un anno dopo: «ecco che cosa è cambiato con gli americani»

I brevetti possono però portare ritorni anche tramite attività di licensing o l’ottenimento di benefici non direttamente economici. La società statunitense Tesla, specializzata nella produzione di veicoli elettrici, pannelli fotovoltaici e sistemi di stoccaggio energetico, possiede attualmente più di 1500 brevetti. Dopo aver ottenuto adeguato vantaggio competitivo, nel giugno del 2014 l’azienda ha deciso di rendere i propri brevetti di pubblico dominio, dando la possibilità a chiunque di sviluppare liberamente soluzioni partendo dalle tecnologie Tesla. Quella che apparentemente poteva sembrare una strategia controproducente in termini competitivi ha invece permesso alla multinazionale statunitense di imporre il proprio standard tecnologico all’interno dei mercati in cui opera, sfruttando il proliferare di tecnologie sviluppate da attori esterni partendo dai brevetti, e quindi dagli standard, Tesla.

Una volta compresa l’originalità dell’idea e la sensatezza strategica, il percorso di ottenimento e mantenimento del diritto di brevetto è comunque assai complesso, soprattutto se sostenuto da startup e realtà giovani. I costi e i tempi di approvazione dei brevetti – che si assestano intorno ai 3 anni – sono infatti elevati e difendersi giuridicamente da aziende con capacità economiche di gran lunga superiori può rappresentare un ulteriore ostacolo.

La scelta di portare avanti la domanda di brevetto deve quindi essere fatta in relazione al proprio business e alle scelte strategiche, in questo modo i vantaggi in ottica di lungo periodo possono essere significativi e ripagare dello sforzo, perché il valore ottenuto è funzionale alla strategia e rappresenta un mezzo per cogliere e sfruttare le opportunità nelle diverse fasi strategiche e di mercato.

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Alessandra Luksch
Alessandra Luksch

Direttore dell'Osservatorio Startup Thinking degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

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