Il personaggio

Riccardo Donadon, l’imprenditore che vuole tornare alle radici dell’economia

È stata la sua settimana: è riuscito a portare subito l’attenzione del premier Renzi sulle nuove imprese innovative. Ecco la storia e la visione del creatore di H-Farm, e presidente di Italia Startup, in un ritratto scritto quasi due anni fa. Ma ancora attuale

Pubblicato il 28 Feb 2014

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Riccardo Donadon

Gli innocenti non sapevano che l’impresa fosse impossibile. È per questo che la fecero”
Bertrand Russel

L’appuntamento per la pausa pranzo è fra i limoni. Da poche settimane a Roncade, provincia di Treviso, è aperta la serra-ristorante che fa da mensa in una fabbrica speciale che coltiva idee e produce imprese. Benvenuti nella tenuta agricola di Ca’ Tron, sede di H-Farm, la fattoria tecnologica creata nel 2005 da Riccardo Donadon e diventata meta di pellegrinaggio per gli adepti del Nuovo Movimento delle Start Up. Davanti ci sono le Dolomiti, dalla sala riunioni si intravvede la Laguna di Venezia: l’aria è intrisa di antichi commerci e dei sudori delle fatiche dell’agricoltura. Le fattorie ci sono ancora ma accolgono i nuovi contadini dell’innovazione che discutono di new media, web 3.0, mobile. Questo è un angolo d’oro del Nord-Est, territorio di aziende come Benetton, Geox, Diesel, Sisley, Luxottica. L’aeroporto di Tessera dista 20 minuti ed è il punto di partenza verso il mondo, come secoli fa lo era il porto di Venezia per i mercanti di spezie e tessuti. Adesso da qui partono idee e progetti digitali.

La H prima di Farm sta per human. Davanti a un fienile riconvertito a ufficio Donadon spiega perché: «Una volta questa era l’economia. Noi incoraggiamo la gente a tornare alle sue radici, a creare imprese rivoluzionarie in queste vecchie case, senza costruire edifici nuovi e lavorando in un modo migliore». E’ l’alternativa made in Italy ai business park ipertecnologici della Silicon Valley americana. E per questo incuriosisce e attira visitatori internazionali. Ma anche investitori. Fra i soci c’è Bertelsmann, la multinazionale tedesca che controlla la più grande società editrice europea di riviste (Gruner & Jahr) e più grande gruppo editoriale al mondo in lingua inglese (Random House). Normale quindi che qui abbiano investito anche imprenditori come Renzo Rosso, patron di Diesel, entrato un anno fa con il 20% del capitale.

Riccardo Donadon, che a Ca’ Tron e dintorni ci è cresciuto, ha 47 anni, è stato uno dei capitani coraggiosi della New Economy a cavallo tra Novecento e Nuovo Secolo, ha realizzato il suo primo sogno con E-Tree (venduta poi a Etnoteam), si è ritirato per qualche anno a fare il giardiniere nella sua terra e dal 2005 con H-Farm, fondata con Maurizio Rossi, ha continuato a seminare e raccogliere, non più piante ma imprese. Con successo: in sette anni è passato da 900 a 8000 metri quadrati, è passato da quattro collaboratori a quasi 250, che consumano 2400 pizze l’anno. Saranno 500 nel 2015 e di pizze ne mangeranno 5000. Tanto che un video aziendale conclude: se proprio non volete lanciarvi in una start up, almeno aprite una pizzeria! Adesso Donadon guarda al futuro attraverso i suoi tre figli: Olivia, un anno e mezzo, Rocco, cinque e mezzo, Tobia, sette. «I più piccoli non sanno ancora leggere ma vanno già su YouTube per guardare i cartoni animati preferiti. Lo fanno naturalmente. Sono veri nativi digitali. Siamo di fronte a un salto generazionale pauroso. Dobbiamo aspettarci fra 10 anni innovazioni fortissime, anche di tipo sociale. Dobbiamo prevederle e imparare a governarle». Lui ci prova a casa con la moglie Giulia, che ha conosciuto ai tempi di E-Tree. In H-Farm lo fa con metodo accogliendo ogni anno centinaia di ragazzi che cercano in questo angolo di campagna veneta il terreno adatto per veder crescere i loro sogni.

Ma cosa fa esattamente H-Farm? Produce nuove imprese a ciclo completo: dall’idea, all’investimento, alla realizzazione (execution), alla vendita (exit). In gergo è un venture incubator. Finora ha investito 11 milioni di euro, che saranno 12,5 a fine anno, e ha fatto nascere 42 bambini a Ca’ Tron ma anche li dove ha esportato il suo metodo, a Londra, negli Stati Uniti (Seattle, ma entro l’inizio del 2013 gli uffici si sposteranno a San Francisco), in India (Mumbai). A loro dà spazio, assistenza, mezzi per affrontare il mercato e poi, se crescono sani e forti, li lascia camminare con le loro gambe. «Quando ho cominciato, mi dispiaceva uscire dalle imprese che avevo fatto nascere», confessa Donadon. «Adesso ho capito che è molto più importante creare un distretto, un’area dove si insediano imprese innovative. Non sono più mie, ma restano vicine». Il suo nuovo sogno è creare la Sile Valley, dal nome del fiume che scorre da Padova a Treviso per poi piegare verso la Laguna Veneta.

Dopo aver declinato il concetto originario con H-Care (venduta), H-Art (venduta) e H-Umus, Donadon e i suoi partner hanno aperto i cancelli alle idee altrui. Sono nate così imprese che sviluppano progetti editoriali digitali (Log607, acquisita da Marsilio), creano giochi di strategia online (Gowar), permettono di condividere online liste dei desideri con gli amici (Wishspot), producono applicazioni per gli smartphone (Tiltap). Sono solo pochi esempi ma fanno capire che qui si fanno pezzi importanti di quell’economia digitale che continua a crescere del 10% l’anno nonostante la crisi.

Ca’ Tron, con questo nome tanto veneto ma così fantascientifico (ricordate il cult movie Tron, 1982, sulla realtà virtuale?), è un mondo con i suoi codici e i suoi riti. Qui si parla la lingua degli startupper, quella specie di nuovi imprenditori (trentenni, prevalentemente maschi del Centro Nord, laureati spesso con un master all’estero) che fanno pitch (la presentazione in pochi minuti di un’idea), cercano venture capital (capitali di rischio), faticano per fare exit (vendere a un grande gruppo).

La selezione d’ingresso è dura. «Nel 2011 sono arrivate 583 proposte», racconta Donadon. «Quest’anno saranno oltre 700 ma noi possiamo accogliere al massimo 10 progetti altrimenti non riusciamo a seguirli bene. Cinque in primavera e cinque in autunno». Sono i due momenti di semina (seed, seme, è un altro termine ricorrente della lingua locale) preceduti da incontri settimanali in cui vengono presentate, analizzate e dibattute le idee che viaggiano via mail. Incontri particolari che qui si chiamano storming pizza, perché sono confronti di cervelli (brain storming, appunto) che finiscono sempre con una bella pizza, tutti insieme. I fortunati 10, quando arrivano a Ca’ Tron, devono sottoporsi all’ultima prova sul campo: una corsa in mutande, qualunque siano le condizioni metereologiche, per conquistarsi i cubicoli, gli uffici ricavati nelle vecchie fattorie. «I giovani devono avere fame d’impresa», dice Donadon. «Grazie a Internet e alla crisi hanno straordinarie opportunità per far nascere la propria start up. E devono coglierle con determinazione». Grazie alla crisi? «Sì, la crisi ha anche qualche vantaggio», conferma. «La soglia d’ingresso non è mai stata così bassa per chi ha voglia di mettersi in gioco. E poi ci sono migliaia di cose da fare». Il momento è adesso, è uno dei mantra di Ca’ Tron. Sarebbe utile che da lì si diffondesse lungo lo Stivale.

* testo pubblicato da Ulisse, Alitalia, luglio 2012

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