L’analisi

Le persone dietro le startup: chi sono i founder, chi attira capitali, le motivazioni e le discriminazioni



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I dati quantitativi e qualitativi della ricerca dell’Osservatorio Startup Thinking sul profilo dei founder finanziati rivelano dinamiche strutturali di accesso al capitale, discriminazioni percepite e differenze nelle motivazioni e negli effetti del founding

Pubblicato il 29 dic 2025

Rita Giordano

Analista Osservatorio Startup Thinking Politecnico di Milano



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Quando si parla di startup, l’attenzione si concentra spesso sui capitali raccolti, sui round e sulle traiettorie di crescita. Un’analisi più approfondita dell’Osservatorio Startup Thinking consente però di osservare un livello ulteriore: chi sono le persone su cui oggi l’ecosistema sceglie di investire e quale impatto ha su di loro l’esperienza imprenditoriale, sia nei casi in cui il capitale viene ottenuto sia quando questo non avviene.

L’analisi si muove lungo due direttrici complementari: da un lato osserva quali caratteristiche emergono tra i founder che riescono ad accedere ai round di investimento; dall’altro amplia lo sguardo alle motivazioni e al vissuto psicologico di chi costruisce una startup, indipendentemente dall’esito del finanziamento.

Il lavoro combina l’analisi dei round italiani del 2025 con una survey dedicata e interviste qualitative, per restituire una lettura che tenga insieme dati, percorsi e condizioni di contesto.

Chi riesce a raccogliere capitale oggi

L’osservazione dei founder di startup finanziati consente di individuare caratteristiche ricorrenti. Il capitale tende infatti a seguire non solo le idee, ma soprattutto le persone ritenute in grado di realizzarle.

Il primo dato riguarda il genere. Nel 2025, il 91% dei founder che hanno ottenuto finanziamenti sono uomini, mentre solo il 9% sono donne. Si tratta di uno squilibrio strutturale che continua a caratterizzare l’accesso al capitale.

Dal punto di vista anagrafico, i founder di startup che accedono ai finanziamenti hanno un’età media compresa tra i 32 e i 33 anni, età che mostra un lieve aumento se si includono anche i founder che non hanno ottenuto capitale. Il livello di istruzione è complessivamente elevato: oltre la metà dei founder possiede una laurea magistrale e il dottorato di ricerca emerge come il secondo titolo più frequente. Un elemento che segnala una relazione sempre più stretta tra ricerca, sperimentazione e iniziativa imprenditoriale.

Il background disciplinare è prevalentemente tecnico-scientifico. Tra gli atenei di provenienza emergono il Politecnico di Milano, l’Università Bocconi e La Sapienza di Roma, contesti che svolgono un ruolo rilevante non solo nella formazione, ma anche nell’accesso alle reti dell’ecosistema.

Da dove arrivano i founder

L’analisi dei percorsi professionali mostra che la maggior parte dei founder di startup finanziate proviene da esperienze aziendali strutturate. L’ecosistema italiano non si configura come un contesto dominato da fondatori seriali: solo il 23% del campione aveva già fondato una startup in precedenza.

La composizione dei team rappresenta un ulteriore elemento rilevante. L’83% dei founder non fonda da solo, ma costruisce un team. Questo dato suggerisce una consapevolezza diffusa sull’importanza delle competenze complementari e sulla complessità del percorso imprenditoriale.

Genere e finanziamenti: qui c’è la discriminazione

Osservando la composizione dei team nei round di finanziamento, emerge una forte concentrazione di operazioni che coinvolgono team composti esclusivamente da uomini. Le configurazioni miste risultano meno frequenti, mentre i team interamente femminili restano marginali. Tuttavia, una volta superata la fase di accesso al capitale, le differenze si riducono: i ticket medi tendono a essere comparabili, intorno ai 4,9 milioni di euro per i team maschili e tra i 4,4 e i 5 milioni per le altre configurazioni.

La discriminazione si concentra quindi a monte, nella fase di accesso al round, più che nell’ammontare del capitale ottenuto. In questo stadio preliminare si concentrano le principali barriere all’ingresso, una configurazione che emerge con continuità anche in ecosistemi imprenditoriali internazionali più maturi. Una dinamica che (purtroppo) non caratterizza esclusivamente il contesto italiano, ma si osserva con coerenza anche in ecosistemi imprenditoriali internazionali più maturi.

Emerge inoltre un’associazione tra la partecipazione a programmi strutturati di accelerazione e incubazione, e una minore distanza nelle fasi di accesso al capitale. Non si tratta di un effetto sulla qualità dei progetti, ma di un processo di legittimazione operativa, che incide sulle condizioni e sui criteri attraverso cui i team vengono osservati e valutati dagli investitori.

Le discriminazioni percepite lungo il percorso

A completamento dell’analisi, l’attenzione si sposta sulla percezione di discriminazione lungo il percorso imprenditoriale, considerando sia i founder che hanno ottenuto finanziamenti sia quelli che non li hanno ottenuti. I risultati indicano che il fenomeno riguarda entrambi i gruppi, ma si manifesta in modo diverso.

Le donne segnalano una discriminazione di genere nel 17% dei casi, mentre gli uomini riportano più frequentemente discriminazioni legate all’età e all’esperienza. In entrambi i casi, l’accesso al capitale e il processo di crescita non possono essere considerati neutrali.

Perché si fonda una startup, nonostante tutto

L’analisi delle motivazioni mostra elementi comuni, ma con pesi diversi.

Tra le donne emergono con maggiore frequenza motivazioni legate all’impatto sociale o alla commercializzazione della ricerca universitaria.

Tra gli uomini prevale invece lo sfruttamento di opportunità di mercato.

Le differenze non riflettono una gerarchia di valore, ma contesti di partenza differenti. In presenza di barriere più elevate, le motivazioni che sostengono il percorso imprenditoriale tendono a essere particolarmente forti.

L’impatto psicologico dell’esperienza di founding

L’esperienza di founding produce effetti rilevanti sul benessere psicologico dei founder. Tra gli impatti positivi emergono un maggiore senso di realizzazione personale, un aumento dell’autostima e dello spirito di iniziativa, effetti particolarmente evidenti tra le donne.

Sul versante opposto, il quadro è più omogeneo: stress elevato, difficoltà ricorrenti e tendenza alla dipendenza dal lavoro. Le modalità di risposta variano in funzione delle condizioni di partenza, delle reti di supporto e delle aspettative costruite nel rapporto con partner e investitori.

L’impatto psicologico dell’imprenditorialità risulta quindi intenso e non uniformemente distribuito.

Il profilo che emerge è quello di un founder prevalentemente uomo, altamente istruito, inserito in reti forti e orientato al lavoro in team. Tuttavia, l’elemento più rilevante non è l’identikit in sé, quanto le implicazioni che ne derivano.

Questi dati sollecitano una riflessione sul funzionamento complessivo dell’ecosistema: sui meccanismi di selezione, sulle pratiche di finanziamento e sulle condizioni che favoriscono o ostacolano l’accesso al capitale. Comprendere chi viene finanziato e a quale costo psicologico consente di valutare non solo la qualità delle startup, ma anche quella dell’ecosistema che le sostiene.

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