L'EDITORIALE

Coronavirus, la lezione delle startup: usare la forza della fr-agilità

La pandemia ha messo in difficoltà tutte le imprese. Le startup sono le più fragili, perché giovani, ma anche le più agili: sono abituate ad affrontare i cambiamenti del mercato e a reagire velocemente. È questo il valore più grande per il sistema economico e un modello per tutte le aziende che si scoprono fragili

Pubblicato il 10 Apr 2020

Photo by Jude Beck on Unsplash

“Le startup sono il futuro” è l’argomentazione retorica con cui in questi giorni di disorientamento psicologico, sociale ed economico da più parti si avanzano giustamente richieste di interventi speciali per le nuove imprese innovative che vengono correttamente presentate come più fragili delle imprese consolidate, proprio perché neonate.

Ma le startup sono anche molto più agili

Molte di loro lo stanno dimostrando di fronte all’emergenza con velocissimi cambi di modello di business: sono già il presente, il modello possibile per tutto il sistema economico. Per questo andrebbe rivendicato non solo il potenziale ma anche quel che sono già, nell’emergenza e dopo. Un valore questo che certamente potrebbe essere meglio compreso da una classe politica che finora, tranne discontinui momenti di illuminazione, non ha dimostrato di avere grande passione per l’innovazione e strutturate visioni per il futuro del Paese.

Siamo in recessione

Goldman Sachs annuncia un PIL 2020 che scenderà del 11,6%. Il problema (verrebbe da dire per fortuna) non riguarda solo l’Italia: tocca la Francia, la Germania, il mondo intero. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che in 170 Paesi ci sarà un calo del reddito procapite, collegato a una riduzione delle attività produttive e con una conseguente ridimensionamento dei consumi. La globalizzazione ha trovato in un virus invisibile il suo nemico più potente. Le recessioni, specie quando arrivano improvvise, si portano dietro disastri e opportunità, esaltano le debolezze ma anche la forza e le abilità delle imprese. Resilienza è la parola che piace in questa difficile stagione per sintetizzare la capacità di piegarsi senza spezzarsi.

Gli effetti della prima crisi economica del mondo contemporaneo per cause sanitarie non sono ancora evidenti e prevedibili. Da qualche settimana ci stiamo tutti esercitando nell’immaginare il mondo A.C. (After Coronavirus) ma sono solo esercizi appunto. Adesso tutto il sistema è in affanno, per assenza di ricavi o per imprevisti incrementi di domanda (banda, ecommerce, consegne a domicilio, tool digitali, etc) causa #restiamoacasa. L’emergenza può scattare sia per eccesso, sia per difetto: pioggie in abbondanza portano allagamenti, pioggie rare la siccità.

La rincorsa alla mano pubblica

La comprensibile rincorsa delle ultime due settimane alla “mano pubblica”, con pagine acquistate su quotidiani in astinenza di pubblicità, è ovviamente il frutto della siccità, del forte ridimensionamento dei ricavi di decine di migliaia di piccole attività commerciali, artigianali, professionali e dei fatturati di gran parte delle imprese, startup comprese.
Ci sono purtroppo i primi casi di default (Modist, su cui avevano scommesso investitori importanti come Farfetch e il fondo di Nicola Bulgari, ha chiuso), ma ci sono anche gli abili adattamenti alla situazione di molte realtà (tra i più recenti quelli di Satispay o Frescofrigo).

Le startup ingrediente della ripartenza

Le startup in Italia sono ormai tante (circa 20mila, tra quelle riconosciute per legge e quelle che non lo sono), non sono tutte uguali per qualità, capacità di ricerca e innovazione, visione. Sono tutte comunque piccole (175mila euro il valore medio della produzione secondo il report 2019 del Mise). Pensare che possano essere protagoniste della ripartenza è solo l’augurio partigiano di chi ha fatto delle startup la propria ragione di vita (e di business) e dimentica l’esistenza di oltre 5 milioni di PMI. Sostenere invece che le startup debbano essere l’ingrediente necessario per fare della ripartenza un vero cambiamento e non un ritorno al mondo B.C. (before coronavirus) è interesse di tutti, grandi e piccole e medie imprese comprese che dalle startup possono imparare molto.

La fr-agilità delle startup

Dicevamo che le startup sono fragili per definizione. Con la pandemia si sono ritrovate improvvisamente fragili tutte le aziende, che non hanno però l’altra qualità distintiva delle startup, l’agilità. Quale impresa strutturata e irrigidita nelle sue procedure riesce a inventarsi un nuovo prodotto in due settimane? Quale manager vincolato da organizzazioni a silos e governance labirintiche può nel giro di pochi giorni decidere di entrare in un nuovo mercato? Le startup sono le aziende che hanno dimostrato di saper reagire meglio. L’emergenza è stata una prova di maturità, che forse non tutte potranno superare, ma che farà bene all’intero sistema.

Basta con le startup “categoria protetta”

Il disastro Covid-19 potrebbe essere l’occasione per fare uscire le startup dalla dimensione della “categoria protetta”, che merita attenzione, rispetto e sostegno a prescindere, e farle entrare nel mondo delle imprese “normali”. Ma con un grande vantaggio: sono abituate ad ascoltare il mercato più di tante aziende più robuste e sono pronte a cambiare strategia (lo chiamano pivotare, no?) di fronte ai segnali che manda.

Insomma, le startup sono strutturalmente e culturalmente predisposte per affrontare una crisi, perché di solito ne affrontano decine, certamente più piccole, nel corso dei loro primi due anni. È proprio questa fr-agilità, questo difficile equilibrio fra fragilità strutturale e agilità imprenditoriale a essere in questo momento più che mai il vero potente valore delle startup come modello di impresa basata sulla tecnologia e fondata sulla centralità del cliente. Questo si che va tutelato, sostenuto e diffuso come il “virus” buono capace di farci dimenticare questo anno da incubo.

P.S. So benissimo che in questo momento le startup, come tutte le imprese, hanno problemi di liquidità. Ma questo è un problema contingente, che non si può superare facendo appello a forme aggiornate di assistenzialismo di Stato. So anche che in Francia è stato varato un piano di sostegno di 4 miliardi di euro. Ma quella si chiama politica economica, non incentivo, sconto, bonus, etc. La differenza è tra guardare al prossimo semestre o ai prossimi sei anni.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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