Andrea Sianesi: vi presento il nuovo PoliHub, ecco perché cambiamo

Il presidente Andrea Sianesi racconta il nuovo PoliHub in questa intervista esclusiva a EconomyUp, a partire dal logo. Più integrazione con il sistema del Polimi, una nuova missione attenta all’impatto sociale e attenzione al deep tech. “Vogliamo costruire un ponte per far superare alle buone startup la valle della morte”

Pubblicato il 15 Lug 2020

Andrea Sianesi, presidente di Fondazione Politecnico di Milano e di PoliHub

Il PoliHub innova, questa volta se stesso. L’incubatore del Politecnico di Milano, nel 2019 per la seconda volta al vertice mondiale della sua categoria, cambia forma sociale, logo, missione. La pandemia non ha fermato il cantiere e a metà luglio arriva a compimento il lavoro cominciato con l’insediamento del nuovo presidente Andrea Sianesi, che guida anche la Fondazione Politecnico, azionista di riferimento del PoliHub. Ed è proprio lui a raccontarci tutte le novità di uno dei centri di riferimento dell’ecosistema italiano dell’innovazione, per le startup ma anche per le aziende. “Abbiamo lavorato per un’evoluzione del PoliHub, per un nuovo posizionamento: questo sarà sempre di più un ponte in grado di fare attraversare alle idee la valle della morte, soprattutto nel deep tech”, dice Sianesi che mostra subito il nuovo logo: non è solo un segno ma la sintesi grafica del cambiamento. La chiacchierata è durata tanto, ma le cose da dire erano molte e vale la pena arrivare fino in fondo.

Allora cominciamo dal nuovo logo del PoliHub. Come nasce?

La forma del logo riprende parzialmente quello della Fondazione Politecnico, rinnovato a cavallo fra 2019 e 2020, che ha come idea di base la scintilla per indicare la volontà di accendere l’innovazione. La base della fiamme rimane anche nel logo del PoliHub, per enfatizzare la vicinanza sia alla Fondazione sia al Politecnico. La scritta PoliHub al centro della scintilla, invece, mette in evidenza Hub con ognuno dei raggi colorati che riporta ai diversi elementi dell’ecosistema dell’Università: il blu è il colore del Poli, il giallo quello della Fondazione, gli altri hanno a che fare con il mondo delle imprese e delle startup. E al centro c’è il PoliHub, con il celeste della sua community e il blu scuro che fa riferimento al deep tech.

Il nuovo logo del PoliHub

Non cambia solo la grafica, ma anche il pay off: da Innovation District a Innovation Park. Perché?

Sì, il nuovo pay off enfatizza il ruolo di Innovation Park: non solo incubatore e acceleratore di startup ma anche luogo in cui le imprese vengono a fare innovazione. In qualche modo è un’anticipazione del futuro, perché nel giro di qualche anno il PoliHub si trasferirà nel Parco dei Gasometri, la nuova area della Bovisa in corso di realizzazione. È stato un lavoro interno fatto da Alessandro Asaro, Head of digital communication di PoliHub, con Umberto Tolino, collega del Dipartimento di Design e membro del consiglio di amministrazione della Fondazione, che segue il PoliHub con me.

Cambia il logo, cambia il pay off, cambia anche la configurazione societaria del PoliHub. Perché?

Il nuovo logo arriva in contemporanea al completamente del percorso, cominciato in aprile, che si è completato a metà luglio: da srl adesso PoliHub è una società consortile not for profit. Questo non significa che non debba avere la sua sostenibilità economica ma il profitto è non la priorità. Ma serve un cambio di paradigma in una prospettiva di sviluppo più ampia. E qui è necessario fare un passo indietro, guardare al mercato, analizzare quel che succede e perché abbiamo ritenuto necessario avviare una nuova fase.

Facciamo questo passo indietro: quale analisi del mercato dell’innovazione sta alla base dell’evoluzione del PoliHub?

Il mondo delle startup si trova in una situazione in cui da un lato ci sono le università con i loro ecosistemi con incubatori di successo come il PoliHub, dove nascono le idee. Non abbiamo più difficoltà ad attrarle: quest’anno la nostra Switch2Product è cresciuta del 20%, un dato enorme se siete conto del contesto 2020. Per quanto riguarda la generazione del deal flow siamo quindi tranquilli, non ci sono problemi. E questa è una situazione comune a gran parte degli incubatori universitari, almeno nell’Europa Continentale. Tutto sommato, non mancano neanche le risorse, tra fondi di ricerca universitari e sponsor privati. Sempre per Switch2Product abbiamo ricevuto contributi per circa 1 milione di euro, gestiti con l’Ufficio di Trasferimento Tecnologico dell’Università. Non c’è grande problema neanche quando l’idea diventa impresa: adesso ci sono le risorse del fondo Poli360, 60milioni da investire.

Dove sta allora il problema?

Il grosso problema sta in mezzo: nel periodo di trasformazione delle idee, che sono abbondanti, in imprese finanziabili, interessanti per un investitore che giustamente ha obiettivi di ritorno economico. Nel calso del Poli il tema è ancora più importante perché siamo focalizzati su idee che si basano su contenuto tecnologico significativo, arrivare almeno al prototipo di un Device non è facile, richiede tempo e denaro. Le idee ci sono, le competenze pure, quel che manca sono le risorse finanziarie nella fase di accelerazione.

Perché serviva cambiare per risolvere questo gap di risorse?

Il Poli da solo non può farcela. I fondi di venture capital come Poli360 hanno un interesse marginale verso piccoli investimenti su molte idee con alto tasso di mortalità. Stiamo parlando della fase pre-seed che, più si va nel deep tech, più diventa onerosa, sia in termini di tempo sia di capitali. Ecco il PoliHub deve diventare il supporto utile per fare attraversa alle idee la valle della morte, un ponte fra la collina dove si generano le idee e quella dove si chiudono i round A e B, gli investimenti importanti.

Come sarà costruito questo ponte?

Per costruire questo ponte abbiamo fatto un ragionamento che prevede due azioni preliminari: ottimizzare la fase preliminare della generazione di imprese (il lavoro più da incubatore) e andare a massimizzare la generazione di idee e di opportunità. Questa attività non può avere un obiettivo economico ma deve essere di servizio per lo sviluppo della cultura imprenditoriale del Paese, deve avere insomma un impatto sociale. La costituzione in Scarl serve proprio a enfatizzare questo passaggio. Per noi il rendimento non sarà un unicorno ma l’impatto che riusciremo ad avere sul sistema Paese. Anche per questa ragione PoliHub svilupperà anche un impact-tech accelerator per accogliere e sostenere idee che generino impatto positivo per la comunità. Comunque la Scarl non sarà il soggetto che costruirà il ponte.

E chi lo farà, allora?

Ci sarà un’altra entità che dovrà essere finanziata da investitori esterni che aiutino a costruire il ponte. Fondamentalmente saranno investitori istituzionali, e corporate venture capital che abbiano interesse specifico ad alcune industry. Devono comunque essere capitali pazienti. Questa realtà, che ancora non c’è e che stiamo cominciando a disegnare, diventerà un cliente di PoliHub. L’obiettivo sarà accompagnare le startup e avere in cambio le risorse per fare bene questo lavoro.

Quando nascerà questo secondo soggetto?

L’obiettivo è completare il panel dei partner entro la fine di quest’anno e costruire il framework societario e legale per la gestione delle attività nel 2021, quando prenderà forma questo questo nuovo pezzo di PoliHub.

Che cosa cambia nella vita del PoliHub?

Abbastanza poco. Abbiamo obiettivi di crescita perché lo spazio che avremo nel Parco dei Gasometri sarà molto di più. Il PoliHub può e deve diventare più grande. Per farlo deve passare dalla fase che attraversa qualsiasi startup: all’inizio i meccanismi di governo si basano sul mutual adjustment degli individui, poi non bastano più e servono processi seppure snelli per poter gestire e fare scala. Io immagino un PoliHub cresciuto, con attività e processi più codificati per incanalare la creatività e non perdere efficienza. Diciamo che ogni palla che tocchiamo deve diventare gol.

Per le startup che cosa cambia?

Cambierà molto quando saremo nei Gasometri. Prima definiremo meglio le regole d’ingaggio delle risorse del Politecnico, sia in termini di competenze sia di laboratori. Vogliamo rendere più espliciti i protocolli di incubazione e accelerazione. C’è poi un altro asse su cui lavoreremo: oggi le imprese che sono all’interno di PoliHub concettualmente sono viste come clienti, che hanno interesse a far parte del Parco dell’Innovazione, e a cui PoliHub vende servizi. Dobbiamo lavorare per creare un rapporto di partnership vera, che preveda l’accesso al loro know how e alle loro strutture per le nostre startup. Dobbiamo lavorare molto per rendere le imprese un asset per le nostre startup e arrivare alla costituzione di un network virtuale di risorse oltre quelle del Poli

Quindi sarà fondamentale l’alleanza con il sistema delle imprese?

Assolutamente sì. Questo paradossalemnte è per me il momento migliore per fare questo lavoro, perché le crisi generano opportunità. Questo è un momento davvero speciale che ti obbliga davvero a ragionare non su che cosa devi fare per arrivare al 31.12 ma ai Gasometri, fra 5 anni almeno. L’innovazione e il supporto all’imprenditorialità non sono nice to have: alle imprese chiedo un aiuto a costruire il ponte di cui abbiamo tanto parlato. Se non arrivano idee, ci rimettono anche loro, perché stanno sulla seconda collina.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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