OMNICANALITÀ

Come cambia la shopping experience nei negozi: clienteling, in-store metrics e focus sull’esperienza

Da alcuni anni i negozi sono in crisi, ma possono trasformare e potenziare il proprio ruolo grazie a una serie di attività. Mirate sul valore aggiunto dell’elemento umano, sui dati e sul ripensamento degli obiettivi finali

Pubblicato il 03 Nov 2020

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Da tempo nel retail è in corso una crisi dei punti vendita fisici, che sta contribuendo a trasformare profondamente la shopping experience. La fase di transizione è iniziata nel nuovo millennio con l’avvento dell’ecommerce e si è orientata da qualche anno verso un nuovo paradigma, incentrato sul concetto di omnicanalità, che ha consentito di rivisitare e rimettere in discussione ruolo e caratteristiche del negozio fisico. Risultato di questo inarrestabile processo: negli ultimi 10 anni in Italia, secondo i dati di Confcommercio, il numero complessivo dei punti al dettaglio è sceso del 12%, portando di fatto alla scomparsa di oltre 70 mila negozi. Purtroppo, le prospettive non sono confortanti: uno studio di The European House-Ambrosetti prevede che, entro la fine del 2020, chiuderanno 80/90.000 negozi. Effetto della pandemia, ma anche dei mutati stili di lavoro, di vita e della contrazione dei consumi.

Per quanto lo scenario possa sembrare cupo, è proprio in circostanze come queste che il già avviato processo di rivisitazione del negozio fisico può subire un’accelerazione in chiave innovativa. Il retail fisico non è morto, è solo tramontato un certo modo di proporlo. Gli store fisici mantengono le loro peculiarità, che possono diventare un punto di forza in quanto necessarie al consumatore attuale e complementari al canale ecommerce. A veicolare e potenziare il negozio sono le tecnologie, ma anche la capacità di ragionamento sulla trasformazione in atto. L’obiettivo finale resta proporre al cliente una shopping experience rinnovata e altamente attrattiva. Vediamo dunque quali possono essere le soluzioni più innovative per ridare valore al punto vendita fisico.

Shopping experience: migliorarla con soluzioni di clienteling

Oggi chi fa acquisti desidera poter vivere un’esperienza di shopping estremamente personalizzata, qualcosa che si adatti perfettamente ai suoi gusti e alle sue esigenze. Trainato dalla nascita e dallo sviluppo del commercio elettronico, il concetto di personalizzazione ha rappresentato un significativo elemento di trasformazione: quei retailer che hanno deciso di adottarlo o potenziarlo sono riusciti a tenere il passo con l’innovazione. Una delle modalità per personalizzare (e quindi migliorare) la shopping experience è il clienteling. Con questo termine si indica l’insieme delle tecniche usate dai retailer per mantenere vivo nel lungo periodo il contatto con i propri clienti ad alto potenziale, con l’obiettivo finale di incrementare le vendite. Alla base del clienteling c’è l’utilizzo dei dati relativi a preferenze, comportamenti e abitudini di acquisto dei clienti. Utilizzando vari dispositivi, l’addetto alle vendite può stabilire interazioni personalizzate e gestire così la relazione con l’acquirente, non solo quando è in negozio ma potenzialmente sempre e ovunque. In pratica deve essere possibile comunicare direttamente i clienti inviando suggerimenti e inviti personalizzati. “Il commesso è il valore aggiunto del negozio fisico” spiega Simone Oltolina, Head of Marketing, Service Design & AI di Sopra Steria, società europea di consulenza informatica. “Il clienteling – aggiunge – è l’insieme di soluzioni per amplificare il ruolo del commesso, può consentire di portare l’acquirente sulla piattaforma ecommerce del negozio o garantirgli assistenza in videochat da parte dell’addetto alle vendite. È, insomma, la classica esperienza omnicanale. E uno dei modi per potenziare il punto vendita fisico”.

Shopping experience: rafforzarla con la in-store metrics

Una delle nuove frontiere per migliorare le performance del negozio fisico, specialmente nel retail di elettronica e consumo, è l’in-store metrics. Un termine per indicare l’insieme degli strumenti necessari a misurare tutto quello che succede nel punto vendita proprio come se fosse un sito Internet. Nell’ecommerce, lo sappiamo, chi vende ha a disposizione una serie di strumenti per monitorare i percorsi e i punti di abbandono. Con la in-store metrics è possibile farlo all’interno delle mura di un negozio fisico. Si possono, per esempio, realizzare test sulle vetrine per verificare il tasso di conversione di ciascuna vetrina. Si possono creare heat-map, ovvero mappe dove sono evidenziati i punti caldi del negozio, quelli che generano maggiore interesse e affluenza. Si possono testare diversi layout di scaffale, pratica che può rivelarsi utile in particolare nella GDO. “In molte aziende – spiega Simone Oltolina – è in atto un ragionamento su come usare la rete distributiva: quali punti vendita tenere aperti, quali chiudere, a quali cambiare destinazione d’uso. Tutto questo viene fatto senza l’ausilio di strumenti in grado di restituire la certezza dei dati. Con la in-store metrics è possibile eseguire accurati test. Il retailer può, per esempio, decidere di trasformare un punto vendita in una sorta di pilot e vedere cosa succede se mette in atto determinati cambiamenti”. In questo contesto è diffuso l’utilizzo di sensori hardware per rilevare i dati, che poi vengono processati grazie alle tecnologie di intelligenza artificiale.

Shopping experience: ragionare sull’esperienza

Quale ruolo ha il negozio nel presente e nel futuro? Lo spazio fisico non tramonterà, ma a questo spazio verranno richiesti attività e servizi diversi da quelli che sta fornendo oggi. Il consumatore non è interessato a trovare nel negozio fisico quello che ha ricevuto finora online. E chi espone l’assortimento come versione fisica dell’ecommerce non ha capito la trasformazione in atto. “Ci si deve chiedere quale tipo di esperienza può offrire un negozio” afferma Oltolina. “Ci sono negozi in cui l’obiettivo principale non deve essere vendere, ma aiutare i clienti a scoprire il marchio e sperimentare il prodotto”. Quello che, per esempio, fa Apple a Milano, con i suoi Genius Bar che propongono assistenza tecnica ma anche appuntamenti aperti a tutti. “D’altra parte – prosegue il manager di Sopra Steria – una soluzione come quella dei camerini virtuali, di cui si parla da almeno 10 anni, ha dimostrato di non funzionare perché propone una tecnologia che risolve un problema che non esiste. Il camerino è nato appositamente per consentire al cliente di provare un abito, in questo caso l’innovazione tecnologica è qualcosa di divertente ma superfluo”.

“Quando noi di Sopra Steria lavoriamo su un progetto – conclude Simone Oltolina – partiamo dal disegno dell’esperienza e poi, nelle diverse fasi del customer journey, andiamo a provare le tecnologie in grado di abilitare l’esperienza che vogliamo. Non è detto che per ogni ‘pezzettino’ dell’esperienza serva una specifica tecnologia. Alla fine, quello che arriva al consumatore è appunto l’esperienza, la tecnologia è semplicemente un abilitatore”.

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