L'INTERVISTA

Vincenzo Di Nicola: ecco l’innovazione che voglio portare nell’Inps

“La decisione non è stata semplice, ma so che è quella giusta”, dice Vincenzo Di Nicola, nuovo Responsabile per l’Innovazione e la Trasformazione Digitale dell’Inps.”Quando entro in un portale PA, vorrei avere un’esperienza personalizzata, vedere i servizi che mi sono effettivamente utili”. Presto le assunzioni per il team

Pubblicato il 21 Gen 2021

Vincenzo DI Nicola con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel 2015

“Quando la patria chiama, io non mi tiro indietro”. Vincenzo Di Nicola non ha paura della retorica. Da poche settimane è il Responsabile per l’Innovazione Tecnologica e la Trasformazione Digitale dell’Inps, consapevole della sfida che lo attende: “So di entrare in un sistema colossale, ma lento. Un po’ come un trattore. Lo scopo è quello di tramutarlo in una bella e formidabile macchina da corsa”, dice in questo colloquio cominciato su Linkedin, sviluppato via mail e concluso con una chiacchierata telefonica.

Retorica? Certo. Entusiasmo? tanto. Il personaggio va inquadrato nella sua storia e nella sua formazione. Nel 2013, dopo un decennio trascorso in Silicon Valley e la vendita della sua startup ad Amazon, lo aveva detto: “Sto cercando di capire come fare qualcosa di importante in Italia”. Tornato a casa comincia con un corso di informatica nel suo ex liceo di Teramo e per questo nel 2015 viene ricevuto dal presidente Mattarella, poi fonda la startup fintech Conio e ora, a 41 anni, entra nell’Inps, il più grande istituto di previdenza d’Europa. Dai pagamenti digitali e il bitcoin alle pensioni. Un salto quantico per lui ma anche per il sistema che lo accoglie.

“In questi giorni sono sleep deprived. Mi sembra di essere un bambino che è entrato in un luna park: eccitato di fronte a tutto quello che c’è da fare ma preoccupato di fare indigestione di caramelle e dolciumi”. Attacca Vincenzo, che porta in Italia la cultura del civil servant: fare qualcosa di importante per la tua comunità, per il tuo Paese. “Puoi farlo con un’impresa privata e io ci sono riuscito con Conio, che è un’impresa di successo dove ho potuto assumere alcuni dei giovani che hanno seguito i miei corsi. Ma se puoi farlo nella Pubblica Amministrazione, l’effetto sarà ancora più potente. Ecco perché ho deciso di accettare la sfida Inps”.

Quanto tempo hai impiegato per accettare questa sfida?
Potrà sembrare a molti un’ideale vecchio. Ma quando la Patria chiama e ne ha bisogno, io non mi tiro indietro. Ora poi più che mai, nel periodo storico difficile che stiamo vivendo e in cui c’è disperato bisogno che il meglio dell’Italia emerga e sia di aiuto al Paese. Per quanto la decisione non sia stata semplice, so che è quella giusta. E farò di tutto per essere degno della fiducia che è stata riposta in me.

Tu vai a ricoprire un ruolo che in Inps non c’era: che cosa significa*
Implica una grande responsabilità. Per usare una metafora, il sistema Inps è colossale, ma lento. Prosaicamente parlando, un po’ come un trattore. E lo scopo è quello di tramutarlo in una bella e formidabile macchina da corsa. Ferruccio Lamborghini ci è riuscito. Spero di seguire bene il suo esempio e di trasformare l’Inps in una Miura.

Come sarà il tuo team?
Lo stiamo costruendo. Al momento sono l’unico, ma a breve comincerò ad assumere personale. Purtroppo i tempi della Pubblica Amministrazione in questi processi sono lunghi. Ma sto trovando già grande aiuto tra le persone dentro l’Inps e ci stiamo supportando a vicenda per poter ottenere piccoli-grandi risultati già nel breve termine. Il senso dell’Innovazione non è quello di portare avanti un’iniziativa personale o di promuovere una squadra specifica. È invece compiere uno sforzo collettivo, che deve coinvolgere tutti, Inps e cittadini, per cambiare sensibilità e far finalmente compiere un balzo al Paese.

Qual è la tua visione dell’innovazione nella Pubblica amministrazione? 
Se posso citare una celebre frase di Ennio Doris, io sogno una Pubblica Amministrazione costruita intorno al cittadino. Quando entro in un portale PA, vorrei avere un’esperienza sia personalizzata in base alle mie esigenze, vedere in primis i servizi che mi sono effettivamente utili. Il tutto in un linguaggio comprensibile e con un’ottica di “mobile-first”. Ormai la nostra vita digitale è prevalentemente sugli smartphone, e la PA deve finalmente aprirsi ad essi. Anzi, pensare prima a questi device..

Quali sono i tuoi obiettivi in Inps?
Miro a introdurre nel pubblico le migliori pratiche che sono usate con successo nel settore privato. Ad esempio coinvolgendo il meglio delle forze produttive italiane e delle startup innovative. E soprattutto sarò ultra-trasparente nella comunicazione e nei progetti che porteremo avanti: è un dovere nei confronti dei cittadini renderli consapevoli dei nostri progressi.

Vincenzo, qual è la tua idea di innovazione?
Che cos’è l’Innovazione? Spesso si dà una risposta “filosofica” a questa domanda. A me invece piace dare una lettura più prosaica, e parlare di risultati che l’Innovazione porta con sé. La penna biro in passato, l’iPhone oggi, le monete digitali tra qualche anno: che cosa hanno in comune? Sono tutte cose che a prima vista sembravano impossibili, ma che invece oggi sono di uso comune ed è impensabile che non ci fossero nel passato. Bene, l’Innovazione consiste nel creare questi strumenti, che non sono solo semplici e naturali da usare, ma che soprattutto potenziano la nostra vita.

Quali sono le priorità dell’innovazione in Italia?
Un anno fa ho inaugurato il mio blog personale facendo proprio una lista dei 20 punti per l’Innovazione tecnologica in Italia. Certamente sono tante le aree su cui intervenire ma in primis deve assolutamente esserci una migliore e più diffusa istruzione di base, a partire dalle scuole superiori. Per me è incredibile che nella scuola del 2021 siamo ancora legati al modello di stampo ottocentesco di Gentile e che le materie scientifiche non abbiano ancora piena dignità. Nell’espressione comune, è addirittura un vanto dire di non capire nulla di matematica. Ancora più assurdo che non ci sia un insegnamento vero dell’Informatica in nelle scuole di ogni ordine e grado: darebbe un enorme impulso alle capacità logiche dei ragazzi e li farebbe diventare finalmente creatori di nuovi mondi e non solo consumatori passivi di tecnologia.

Non credi che ci sia anche un tema geopolitico sempre più importante?
Assolutamente sì. Un’altra enorme area di intervento riguarda l’affrancamento dagli Stati Uniti (oggi) e dalla Cina (domani). La tecnologia ormai non più una cosa strana da “smanettoni”, bensì un qualcosa che nel bene e nel male permea le nostre vite e che ha enormi implicazioni geopolitiche. Basti guardare al monopolio dei colossi americani nei social, nei dati e nel cloud computing, e di come l’Italia (e l’Europa in generale) non abbia niente per contrapporsi. Questo è il grano, anzi il petrolio del 21esimo secolo, ed è nocivo continuare a restare sudditi di decisioni altrui.

Come si può tornare a scoprire il nuovo petrolio in casa?
Una cosa da fare è certamente lavorare sul rientro dei professionisti. Non li chiamo “cervelli”, perché per rinnovare il Paese ci vuole ben più che il mero talento. Ci vuole soprattutto la grinta e la passione per vincere l’inerzia e generare ricchezza. Su questo la Cina è stata molto lungimirante: il suo progetto delle “tartarughe marine” ha riportato in patria i migliori professionisti sparsi all’estero, e li ha aiutati a creare o far prosperare startup che oggi sono colossi (vedi Baidu o Alibaba).

La pandemia, e in particolare la ricerca sui vaccini, hanno riportato l’attenzione sulla necessità delle risorse pubbliche per fare ricerca e innovazione. Che cosa pensi dello Stato innovatore? 
A prima vista “Stato” e “innovazione” sembrerebbe un ossimoro, anche se ci sono a favore esempi fulgidi come Singapore. Io ritengo che lo Stato debba alimentare la fiammella – oggi in Italia ancora fiacca – dell’Innovazione, in tutti i modi possibili. Rientro dei professionisti (come detto sopra); investimenti in compagnie di settori strategici; riforma societaria (le srl sono totalmente inadeguate a supportare i bisogni di una compagnia che mira a diventare unicorno); sfrondatura di leggi e leggicole che ammazzano le startup ben prima che inizino il loro percorso mentre altri Paesi offrono loro tappeti rossi. Insomma, uno Stato amico e nell’interesse dell’Italia e degli Italiani: questo darebbe una drastica accelerata a imprese innovative in Italia, e con esse posti di lavoro altamente qualificati e qualificanti.

Tu hai fatto la tua prima startup a San Francisco dieci anni fa: che cosa hai imparato e che cosa è cambiato da allora?
Ho vissuto l’età del nuovo oro di San Francisco, quella degli anni 2008-2015. Entravi in un bar col tuo socio a discutere di come lanciare una startup mentre magari scrivevi un po’ di codice e uscivi dal bar con altre due persone incontrate percaso lì e interessate a unirsi alla tua squadra. Un’energia indescrivibile. Questo ormai si è perso: è anche fisiologico dopo quasi un decennio di crescita vorticosa. Ma non reputo sano che tutto sia ormai stato fagocitato dai colossi tecnologici come Amazon, Facebook, Google. Difficile che la vera carica innovativa nasca dentro queste compagnie, quella che era l’essenza stessa delle startup che nascevano in Silicon Valley. E non è un caso che siano molto rare le startup di vero impatto nate li neglgli ultimi cinque, sei anni.

Che cosa ho imparato durante l’età dell’oro? 
Tanto, ma soprattutto il coraggio nel prendere le proprie scelte e assumersi responsabilità. In Italia ci si paralizza facilmente, pensando a un “optimum” che non esiste. Tra l’altro lo diceva anche il Generale Patton, quello dello sbarco americano in Sicilia: “meglio un buon piano eseguito violentemente oggi, che un piano perfetto la settimana prossima”.

Sei stato nell’advisor board di diverse aziende: qual è il principale ostacolo all’innovazione?
L’Innovazione è purtroppo molte volte ancora percepita come un vezzo e non come un qualcosa che invece possa salvare, se non far prosperare, la compagnia.  E lo vedo nelle banche che, con poche eccezioni, preferiscono arroccarsi su posizioni progressivamente perdenti: “do not rock the boat” è il mantra spesso seguito in Italia. Da un lato lo capisco. È più facile traghettare una barca che sta lentamente affondando senza però curarsi di salvarla, rimandando sempre più in là l’inevitabile. Richiede invece molto più coraggio prendere in mano la situazione ora e testare di tutto, anche acque accidentate, pur di salvare la barca.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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