Buona visione a tutti
Quella diseguaglianza digitale fra imprese e clienti
Per troppo tempo in Italia il ritardo digitale è stato giustificato con l’alibi del mercato che non c’è. Ma, come ricorda il Commissario straordinario Diego Piacentini, la domanda manca quando scarseggia la qualità dell’offerta. E ora l’uso delle tecnologie è più diffuso tra i consumatori che tra le aziende
di Giovanni Iozzia
Pubblicato il 13 Ott 2016

L’alibi del mercato che non c’è per troppo tempo è servito a giustificare la miopia di imprenditori e manager concentrati sull’hic et nunc: quando le cose andavano bene perché non temevano di compromettere il core business; quando è scoppiata la crisi perché hanno concentrato tutte le energie sulla sopravvivenza e non sulla trasformazione.
Ricordo quando fino a non molti anni fa, ma prima che arrivasse Amazon in Italia, si diceva che vendere il vino online era impossibile. Argomentazioni: la gente vuole toccare e scegliere in enoteca; le bottiglie si rompono facilmente; le consegne sono onerose e complicate. Tutto vero se costruisci siti poco navigabili e per nulla coinvolgenti; se non investi nell’imballaggio e nella logistica: se non capisci come le tecnologie digitali possono abilitare servizi di qualità pensati per rendere più semplice la vita al cliente e non all’azienda. Sbagliavano gli scettici? Certo, visto che il più alto investimento finora fatto nel foodtech in Italia è su una startup che fa ecommerce di vino di qualità: Tannico. Riescono a far arrivare le bottiglie integre a casa, addirittura facendoti scegliere l’orario di consegna attraverso lo smartphone. Non fanno miracoli, usano con capacità imprenditoriale le tecnologie digitali. E soprattutto stanno attenti a quel che serve e piace ai clienti.
“Il futuro è già qui. Solo che non è uniformemente distribuito”, diceva il padre della cyberletteratura William Gibson. La citazione è usata e abusata quando si parla di innovazione, ma è perfetta per descrivere lo stato dell’Italia in laboriosa transizione dall’analogico al digitale. Un Paese dove, a macchia di leopardo, ci sono aziende che sono già in marcia verso il futuro e altre che non hanno ancora capito in che direzione muoversi o addirittura perché farlo. Le eccellenze non mancano, per esempio nell’area strategica dello smart manufacturing: l’Industria 4.0 è già una realtà in molte fabbriche. Ma un sistema non può fare affidamento solo su alcuni campioni, soprattutto quando la domanda va massicciamente verso altre direzioni.
Il digital divide non è solo tra Nord e Sud, tra ceti sociali, tra aree ricche e aree disagiate. C’è una diseguaglianza digitale fra imprese e clienti che sono generalmente più evoluti. Basta vedere i dati sull’uso di Internet e dei social media da parte degli italiani e quante sono le aziende che usano gli stessi canali per fare business e per relazionarsi con modalità innovative con i propri clienti. Un abisso.
L’asimmetria fra domanda e offerta è la spia preoccupante di un ritardo tecnologico e culturale che rischia di portare fuori strada molte aziende italiane. Anche perché la qualità dell’offerta sta migliorando ma solo grazie a player internazionali che ci stanno abituando tutti a livelli di servizio che molte aziende italiane fanno solo fatica a concepire. L’effetto Amazon è fin troppo noto, per tornare al nostro Commissario Digitale. E va ben oltre i confini dell’ecommerce. Ci stiamo abituando a un’esperienza fatta di rapidità, risposte tempestive, consegne a orari comodi per noi e non per i corrieri. E pretendiamo di avere lo stesso trattamento qualunque bene o servizio andiamo ad acquistare.