TECNOLOGIA SOLIDALE

Quale rapporto tra esperienza umana e tecnologia? Lo studia lo Humane Technology Lab della Cattolica

Giuseppe Riva, ordinario di Psicologia Generale all’Università Cattolica di Milano, è il direttore di HTLab, laboratorio che analizza gli effetti della tecnologia sull’essere umano. Qui spiega come è cambiata la nostra mente dopo il Covid, con lo smart working e perché le macchine non potranno mai competere con la coscienza

Pubblicato il 07 Lug 2023

Giuseppe Riva

Humane Technology Lab è il laboratorio dell’Università Cattolica di Milano fondato con l’obiettivo di investigare il rapporto tra esperienza umana e tecnologia.

Professor Giuseppe Riva, ordinario di Psicologia Generale all’Università Cattolica di Milano, lei è il direttore di HTLab. Quando è iniziata la vostra attività e come è nata l’idea?

“L’idea è nata durante la pandemia. In quei mesi convulsi la tecnologia è diventata lo strumento essenziale per qualunque attività sociale, dalla formazione al lavoro, influenzando l’esperienza umana. Ogni italiano ha scoperto l’utilizzo dell’eCommerce e delle applicazioni di videoconferenza.”

Il Covid è stato un potente acceleratore tecnologico, almeno qui da noi…

“Ci siamo però anche accorti che comunicare e relazionarci usando la tecnologia è significativamente diverso da quanto avviene faccia a faccia. A quel punto, insieme ad una serie di colleghi del nostro Ateneo – tra i quali Andrea Gaggioli, Antonella Marchetti, Don Luca Peyron e Ciro De Florio – abbiamo cercato di capire meglio in che modo la tecnologia andasse a influenzare l’esperienza umana nelle sue componenti fondamentali: le relazioni, la cognizione, le emozioni. Così è nato Humane Technology Lab.”

Avete scelto un nome in inglese per darvi da subito una proiezione internazionale?

“Sì. Anche perché ciascuno di noi era già inserito in contesti internazionali e questo ha facilitato l’inserimento di HTLab in una rete di ricercatori di tutto il mondo. Per esempio, al momento io sono il presidente dell’Associazione Internazionale di CyberPsicologia, che raccoglie oltre 200 ricercatori che si occupano proprio di capire come la tecnologia sta modificando le nostre vite.”

Cyberpsicologia?

“La cyberpsicologia è un’area emergente delle scienze cognitive. Studia l’impatto sulla nostra mente dell’uso delle tecnologie, in particolare di quelle associate all’acquisizione e alla condivisione della conoscenza (psicotecnologie). L’alfabeto e la scrittura, la carta stampata, il telefono, la radio, la televisione, Internet e i social media e così via sono tutte le tecnologie che emulano, estendono o amplificano la capacità della nostra mente di acquisire, organizzare e comunicare nuove conoscenze.”

Perché ogni tecnologia, una volta divenuta parte della nostra vita, struttura in modo nuovo i nostri processi cognitivi e quindi il modo di relazionarci con noi stessi e con gli altri…

“È così. Per esempio, in queste settimane stiamo ragionando di come lo smart working influisce sui processi e sulle pratiche del lavoro.

Cosa avete scoperto?

“Abbiamo scoperto che va a modificare una serie di meccanismi neurobiologici – i neuroni GPS, i neuroni specchio, i neuroni di Von Economo e le oscillazioni neurali intercerebrali, con un impatto significativo su molti processi identitari e cognitivi. Lo smart working genera nel lavoratore la sensazione di essere “senza luogo” (placelessness), situazione che ha un impatto diretto sulla nostra memoria episodica, sulla nostra identità personale e professionale e aumenta il rischio di burn-out.

Inoltre, la mancanza di sintonizzazione intenzionale e la difficoltà nel prendere decisioni intuitive hanno un forte impatto anche sulla leadership e su tutte le attività di supporto e tutoraggio. Non è un caso che fare il “capo” nel mondo digitale sia molto più difficile che farlo in un contesto fisico. Infine, l’impossibilità di utilizzare il contatto visivo e lo scambio di sguardi, i principali strumenti utilizzati per generare attenzione congiunta, riduce il coinvolgimento del gruppo, la performance collettiva e la creatività. Per questo conviene pensare bene a come utilizzare lo smart working per evitare che gli svantaggi superino i vantaggi.”

Immagino che abbiate riscontrato gli stessi problemi anche per quanto riguarda la didattica a distanza…

“Proprio così.”

Torniamo allo Humane Technology Lab. Nel vostro sito ho letto che il vostro scopo principale è promuovere le attività di ricerca inerenti all’aspetto umano della tecnologia sia in ambito accademico sia in prospettiva di divulgazione culturale presso un pubblico più ampio…

“…Il punto di partenza è sempre la ricerca scientifica, perché parlando di questi temi il rischio vero è di finire nel banale oppure di diventare degli apocalittici….”

…Due estremi che spesso finiscono con l’essere due facce della stessa medaglia…

“Proprio per questo una delle sfide più importanti del nostro laboratorio è riuscire a sviluppare “tecnologie positive” per l’esperienza umana, cioè tecnologie che siano in grado di modificare le caratteristiche della nostra esperienza personale – strutturandola, aumentandola o sostituendola con ambienti sintetici – al fine di aumentare il benessere in individui, organizzazioni e società.

Per esempio?

“Per esempio, in collaborazione con l’amico Andrea Gaggioli, abbiamo cercato di sviluppare una serie di tecnologie che fossero in grado di ridurre ansia e depressione, che sono significativamente aumentate dopo la pandemia. Il primo dei risultati raggiunti è COVID Feel Good, un’esperienza virtuale da sperimentare sul proprio cellulare, che è stata riconosciuta Dispositivo Medico dal Ministero della Salute.”

Quindi ricerca inedita e sviluppo di tecnologie positive per non restare confinati tra studiosi e da accademici…

“Il nostro obiettivo è anche quello di rendere consapevole il grande pubblico degli effetti della tecnologia sull’esperienza umana. Per questo organizziamo periodicamente in modalità ibrida – sia fisica e online – una serie di eventi divulgativi che vogliono affrontare in maniera chiara e non specialistica questi argomenti. Negli ultimi mesi, per esempio, abbiamo organizzato in collaborazione con Login, l’inserto tecnologico del Corriere della Sera, un ciclo di incontri per analizzare l’impatto del Metaverso.”

Se dovesse indicare il vostro punto di forza, la vostra peculiarità, su cosa punterebbe?

“La nostra specificità è l’avere un approccio olistico e multidisciplinare. Noi prendiamo in considerazione gli aspetti psico-sociali, pedagogici, economici, giuridici e filosofici legati alla diffusione e all’impatto sulle nostre vite delle tecnologie digitali. Non lo si può fare esaminando la situazione solo da un unico punto di vista. Serve un approccio più complessivo e quindi più completo. Per questo all’interno del nostro laboratorio abbiamo filosofi ed economisti, giuristi, pedagogisti e perfino un teologo. Vogliamo arrivare a uno sviluppo umano della tecnologia, soprattutto per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale e la Robotica.”

A proposito. L’antropomorfizzazione dell’intelligenza artificiale generativa e conversazionale può coincidere con la definitiva negazione dell’anima, cioè la fine della trascendenza, della religiosità?

“Quello che l’intelligenza artificiale ha dimostrato è che a caratterizzare l’uomo non è l’essere “sapiens”. Oggi anche un sistema di intelligenza artificiale come ChatGPT è in grado di imparare, di costruire e mostrare conoscenza. Ma quello che l’intelligenza artificiale non è in grado di fare è avere una coscienza.”

Che cos’è la coscienza?

“È il processo cognitivo che trasforma i segnali provenienti dal mondo fisico in sentimenti, sensazioni, significati. Per noi una mela non è solo un insieme di percezioni e segnali che riceviamo attraverso la vista, il tatto e l’olfatto. È un’esperienza…”

…Un’esperienza umana che la tecnologia oggi non è in grado in alcun modo di replicare…

“Esattamente. Su dove nasca la coscienza c’è oggi un grande dibattito. Secondo alcuni è il risultato delle computazioni del nostro cervello. Ma se così fosse, un cervello artificiale con i calcoli giusti dovrebbe riuscire a riprodurla. Secondo altri, tra cui un grande studioso come Roger Penrose, la coscienza è invece al di fuori del nostro cervello, collegata ad esso mediante vibrazioni quantistiche nei microtubuli all’interno dei neuroni cerebrali. E’ chiaro che in questa visione la trascendenza non scompare affatto, anzi…”

Passando dalla trascendenza a realtà più vicine a noi. Nel 2018 lei ha scritto il libro “Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità”. Non teme che stiamo per arrivare all’impossibilità di distinguere il vero dal falso? Non teme che l’intelligenza artificiale generativa e conversazionale possa consentire di produrre e diffondere non solo fake news, ma soprattutto deep fake, facendo dire la qualunque ai vari leader ed esponenti politici, in modo assolutamente indistinguibile dalla realtà?

“Secondo me questo è in effetti il principale rischio delle forme di IA. Questa tecnologia è infatti in grado di replicare qualunque caratteristica dell’umano senza esserlo. Per cui, all’interno del mondo digitale diventa praticamente impossibile riuscire a distinguere una persona vera dal suo clone. Solo per darle un’idea di quanto sia diffuso l’uso di bot – sistemi AI che simulano il comportamento di una persona umana – nel 2022 Facebook ha cancellato quasi sei miliardi di utenti falsi, molti di più degli utenti che tutti i giorni usano i loro social media.”

Andiamo bene. Come se ne può uscire?

“Probabilmente, da un lato questa situazione, con la tecnologia che influenza l’esperienza umana, obbligherà ciascuno di noi a ritornare nel fisico per essere sicuro di avere davanti a sé una persona vera e non un programma per computer. Solo guardandoci negli occhi possiamo capire chi abbiamo davanti. Per quanto riguarda la politica, in attesa di future leggi, serviranno grossa attenzione da parte dei media a non rilanciare fake news o deep fake prendendoli per veri e una accentuata vigilanza da parte delle piattaforme digitali.”

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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