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Politiche dell’innovazione, l’insegnamento dell’Australia: concentrare gli investimenti su pochi settori strategici



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In Australia ci sono oltre 1500 scaleup, che hanno raccolto una cifra equivalente al 2% del PIL. La ricetta? La specializzazione su pochi verticali (a partire dall’infratech), che attira gli investitori internazionali

Pubblicato il 21 ott 2025



Australia

Da un po’ di tempo segnalo come l’Australia stia facendo progressi significativi, posizionandosi come un forte competitor tra gli ecosistemi di innovazione della regione dell’Asia-Pacifico. Lo Scaleup Summit Australia, che Mind the Bridge organizza tutti gli anni ad ottobre con il supporto di Investment NSW, rappresenta una buona occasione per fare il punto, anche grazie ai dati e alle analisi del report “Tech Scaleup Australia 2025 ” pubblicato con il supporto di ACCIONA.

Innovazione in Australia: i numeri

L’Australia ospita 1.582 scaleup – quasi 6 scaleup ogni centomila abitanti, un numero notevole considerando la popolazione ridotta – che hanno raccolto complessivamente oltre 36 miliardi di dollari di capitale (circa il 2% del PIL nazionale).

A parte le grandi economie asiatiche (i due paesi da oltre un miliardo di abitanti come Cina e India, che giocano sostanzialmente in un’altra categoria, contando rispettivamente 12.403 e 4.112 scaleup), l’Australia presenta valori non molto inferiori a Corea del Sud (2.127 scaleup) e Giappone (2.268), in linea con Singapore (1.660 scaleup) e ha dimensioni tre volte maggiori di ecosistemi emergenti come gli Emirati Arabi Uniti (503).

In particolare l’Australia si conferma inoltre un terreno fertile per le grandi scaleup (quelle che noi chiamiamo scalers). Abbiamo identificato 71 scaleup australiane che hanno raccolto oltre 100 milioni di dollari ciascuna, un numero paragonabile a quello del Giappone (86) e della Corea del Sud (96).

Qui la spiegazione è che il relativo isolamento dell’ecosistema australiano è un incentivo alla creazione di campioni nazionali sui settori strategici per il continente quali costruzioni, estrazioni minerarie ed energia (il cosiddetto infratech).

L’Infratech è la specialità dell’Australia

Un’analisi più approfondita del panorama infratech mostra difatti una crescita costante negli ultimi cinque anni (investimenti di venture capital aumentati da $100 million nel 2020 a quasi $500 million nel 2025). Delle scaleup australiane, quasi un decimo (107) operano in questo verticale, coprendo l’intera value chain: dalle critical resources (21%) alle construction (57%), fino agli energy systems (22%).

Come evidenziato nel report “Unlocking the future of mining” realizzato da Mind the Bridge con il supporto di BHP, Austmine e Hub de Innovación Minera del Perú a partire da decine di interviste con esperti del settore minerario, i grandi progetti infrastrutturali, promossi da corporation locali e internazionali (tra cui ACCIONA, BHP e Rio Tinto), stanno integrando sempre più le nuove tecnologie come AI, robotica avanzata, computer vision e digital twins.

Anche gli investitori si stanno muovendo verso aree tecnologiche come space tech, UAV, droni e autonomous mobility, soprattutto nei casi in cui queste si intersecano con applicazioni nel settore delle costruzioni e dell’estrazione mineraria.

Il panorama australiano degli investitori, per quanto ampio – ci sono 491 VC e CVC attivi che al momento hanno circa 32 miliardi di dollari di dry powder a disposizione per investimenti nell’economia scaleup locale (qui il link per consultare la mappa su MTB Ecosystem), è ancora prevalentemente focalizzato sul seed e early stage (la grande maggioranza dei fondi – il 73% – è sotto i $50 milioni). Tuttavia, il dato interessante – coerente con il forte orientamento industriale dell’ ecosistema australiano – è che la maggioranza dei mega funds da oltre $1 billion siano CVC (Rio Tinto in primis, ma anche banche come Macquarie Group, ANZ, National Australia Bank (NAB) e Commonwealth Bank of Australia).

La specializzazione attira player internazionali

La forte specializzazione su certi verticali stimola l’interesse delle corporate globali: 26 grandi aziende internazionali hanno avviato degli innovation outposts down under (qui la mappa consultabile su MTB Ecosystem). Questo è un messaggio forte in un mondo dell’innovazione ove la forte concentrazione degli investimenti su pochi ecosistemi di grande dimensione di fatto riduce la visibilità di quasi tutti gli altri ecosistemi che tendono alla marginalizzazione e all’irrilevanza. La specializzazione su ambiti tecnologici o di applicazione industriale può aiutare a fare emergere qualcuno di questi. Scelta che non mi sembra sia stata perseguita nel nostro paese ove la politica dell’innovazione (sempre che così si possa definire un qualcosa che mobilizza pochi capitali) ha privilegiato frammentazione e dispersione delle risorse (esempio emblematico in Italia è la Rete Nazionale di Acceleratori).

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