Open innovation, SNAM: nel 2016 una call per startup e un hackathon

L’innovazione è un’attività strutturata collettiva e frugale, dice il Direttore ICT del gruppo energetico. Per tre anni ha seguito un metodo che sta per essere “capitalizzato” in altri settori dell’azienda. Parola d’ordine: apertura all’interno e all’esterno. Ecco come vengono valutate le nuove imprese

Pubblicato il 26 Gen 2016

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Gloria Gazzano, direttore ICT del gruppo SNAM

Una call for ideas per startup, un hackathon e, soprattutto, la “capitalizzazione” del modello di innovazione della divisione IT in altri settori dell’azienda. Ecco quello che succederà di importante nel corso del 2016 all’interno del gruppo SNAM sul fronte dell’innovazione. Lo anticipa a EconomyUp Gloria Gazzano, direttore ICT del gruppo che tre anni fa si è separato da ENI e da allora ha intrapreso un autonomo percorso di innovazione nelle aree tipiche del proprio business, trasporto, stoccaggio e distribuzione del gas: quindi sicurezza, mobilità, ottimizzazione.

Gloria Gazzano ha vissuto professionalmente diverse fasi del lavoro

dell’innovazione. Laureata in matematica, ha fatto la sua prima esperienza in Olivetti, erano gli anni 80, quando nasceva Mos, l’ultimo dei sistema operativi progettato in Europa. Poi ha lavorato in Etnoteam, dove ha seguito nella funzione marketing la quotazione di iNet nel 2000, poco prima della fine della New Economy; quindi il lavoro di “affrancamento” di una grande società da un colosso dell’energia. Dall’informatica, insomma, all’incontro con la Rete, quando ancora non si parlava di trasformazione digitale, fino alle nuove frontiere dell’open innovation. Con lei si può quindi cominciare la conversazione ragionando sullo scenario e sulle questioni lessicali che possono aiutare a compredere i cambiamenti in atto all’interno delle aziende nella ricerca dell’innovazione.

Responsabile IT, Chief Information Officer o Chief Innovation Officer?
“Io sono direttore Information Communication and Technology. E per noi è sinonimo di Chief Information Officer. Per il momento non abbiamo un’altra casella dedicata all’innovazione. Ma al di là delle questioni terminologiche stiamo assistendo a un cambiamento di paradigma molto forte.

Proviamo a descriverlo…
Quando ancora non si parlava cosi tanto e così enfaticamente di digitale molta dell’innovazione delle aziende veniva abilitata dall’Information Technology. Negli ultimi anni a sconvolgere questo quadro è stata la rivoluzione digitale. L’attenzione è cresciuta e da più parti s’è cominciato a domandare se il digitale fosse ancora dell’ItTo non più dell’IT. La pervasività stessa del fenomeno, il potere che ha portato allo scoperto, la stessa comunicazione hanno fatto sì che l’appetito venisse in diversi ruoli aziendali. Da qui i i dibattiti sul CIO, su quale CIO, se bimodale o schiacciato sulle operations e via polemizzando.

Come si esce positivamente da questa competizione interna?
Questa competizione sul digitale in realtà dovrà andare, sta andando a spegnersi, a organizzarsi un po’. Non c’è più la giungla, o almeno si spera che non ci sia più la giungla, in cui, ad esempio, il marketing contatta aziende esterne per prendere autonomamente soluzioni senza sentire l’IT, soluzioni che poi falliscono perché non si integrano o non sono sicure e ritornano sul tavolo del CIO quando succede il patatrac. La deregulation dovrebbe essere vicina alla fine.

E qual è secondo lei la soluzione ideale?
L’innovazione digitale è legata a delle tecnologie ma non è la tecnologia in sé ad essere disruptive ma il modo in cui viene usata. Per poter fare questo, per usare quella tecnologia nel migliore modo possibile in quella specifica azienda, ci vogliono le competenze sia degli informatici sia del business. Quindi la probabilità che scatti la scintilla di una vera disruptive application è tanto più alta quando le due principali funzioni collaborano in modo simbiotico dal momento dell’ideazione della soluzione. È questa la chiave di volta. Collaborazione e fiducia paritetica.

La vera innovazione, quindi, prevede la fine dei silos di cui sono composte le aziende?
Dovrebbe. È semplice a dire, molto più difficile da fare. La rivoluzione digitale ha certamente un impatto sull’attitudine organizzativa e accresce la necessità di lavorare insieme senza barriere nel rispetto reciproco delle competenze.

Se le dicessi che il vero definitivo Chief innovation officer dovrebbe essere l’amministratore delegato?
Posso anche essere d’accordo che la spinta all’innovazione deve arrivare dal punto più alto possibile in azienda. Ma la collaborazione di cui parlavo prima è proprio necessaria per evitare di andare dall’ad per mettere insieme le diverse funzioni. Non posso bussare alla sua porta per un progetto digitale, mi viene da ridere. Che il commitment debba essere alto ok, ma la soluzione è lavorare pariteticamente ai livelli più bassi.

Entriamo in Snam. Quanta gente lavora nella sua divisione?
Circa 140 persone. Un IT tutto somatto snella con una grande ricorso a risorse esterne. Noi copriamo la parte alta, tutta la componente di governo dei processi, dei sistemi e dei fornitori, la parte di conoscenza dei processi di business e le architetture software, la parte realizzativa è data all’esterno. E questo ha avuto un’influenza importante nel programma di innovazione.

In che senso?
Quando ho deciso 3 anni fa, nel momento in cui siamo diventati indipendenti dall’ENI, di lanciare il Programma di Innovation la mia principale preoccupazione era: con una It relativamente piccola e un volume di attività molto importante – abbiamo circa 300 progetti l’anno più le evolutive e un parco di quasi 300 applicazioni – come faccio a stare dietro all’evoluzione digitale che corre fuori? Come faccio ad avere leadership all’interno dell’azienda?

Quale risposta ha trovato e testato in questi 3 anni?
Abbiamo messo a punto una ricetta che mi viene riconosciuta ancora valida e originale. All’inizio c’è una domanda: che cos’è l’innovazione? Per me è un processo strutturato e organizzato che deve essere ripetibile. Non sono interessato a fare una fiammata su un certo tema e poi basta. Quindi deve essere un’attività collettiva, un percorso continuo in grado di permeare tutta l’organizzazione.

Ecco tutti i dettagli dell’ Innovation Management in SNAM

Ha funzionato?
Gli effetti si devono vedere sugli individui, sull’azienda e sull’immagine dell’ICT all’interno dell’azienda. Evidentemente ha funzionato se adesso il gruppo ha pensato di capitalizzare la nostra esperienza in altri settori nel momento in cui ha deciso di consolidare e strutturare un percorso di innovazione. Vuol dire che abbiamo portato nuove soluzioni, ma anche un metodo di lavoro. Attivarlo in altre aree del gruppo sarà il lavoro del 2016. Siamo ormai dentro il business. Prima non era cosi…

Quali altre attività avete in programma per quest’anno?
Stiamo valutando di lanciare una Call4Startup, di coinvolgere gruppi di startup per confrontarsi su specifici temi anche mediante l’utilizzo di una piattaforma di idea management. Allo studio anche un Hackathon che coinvolga risorse interne ed esterne volte per trovare soluzioni a specifici temi.

I numeri di SNAM ICT Innovation

Come avete organizzato le vostre relazioni con le startup?
L’attività di scouting ha portato alla creazione di un quadrante di posizionamento Snam per la classificazione delle startup che incontriamo periodicamente mediante eventi dedicati . Il quadrante mette in evidenza le soluzioni immediatamente implementabili, quelle molto innovative, quelle non interessanti. Attualmente abbiamo 3 startup in produzione (Bitsigh, App Quality, Air Watch) che sono state valutate attraverso il nostro percorso di selezione.

Startup, il quadrante magico SNAM

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