CASE STUDY

Anche la Nasa fa open innovation e si è reinventata per puntare su Marte

Dagli anni Sessanta a oggi l’agenzia governativa responsabile del programma spaziale USA ha subito una profonda trasformazione: da organizzazione autoritaria e gerarchica, ha imparato a lavorare con i partner, a non mantenere l’esclusiva delle tecnologie, a cercare innovazione all’esterno. E oggi è pronta per nuove sfide

Pubblicato il 21 Mag 2018

nasa

La Nasa è un esempio di come un’istituzione del secolo scorso può mantenersi al passo con i tempi grazie all’innovazione e all’open innovation.

Fondata a luglio 1958, la National Aeronautics and Space Administration, agenzia governativa civile responsabile del programma spaziale degli Stati Uniti d’America e della ricerca aerospaziale, è oggi molto diversa da come era negli anni Sessanta. Come evidenzia questo articolo della Harvard Business Review, può sembrare che i primi anni di vita della Nasa siano stati il periodo d’oro, invece la sua capacità di innovazione è ancora maggiore ai giorni nostri. Non solo negli ultimi decenni l’agenzia statunitense ha contribuito a sviluppare tecnologie essenziali alla società quali, solo per fare qualche esempio, sistemi di filtraggio dell’acqua o sistemi satellitari di ricerca e salvataggio, ma ha anche saputo evolvere la sua logica dominante e il suo business model. È infatti passata da un sistema chiuso e gerarchico che sviluppava le tecnologie all’interno a un’organizzazione aperta che abbraccia innovazione, agilità e collaborazione.

Questa capacità di reinventarsi – sottolinea Loizos Heracleous,  docente di strategia alla Warwick Business School – dimostra che è possibile introdurre un cambiamento organizzativo sostanziale, nonostante gli ostacoli di tipo regolatorio e politico. È un esempio di quello che gli studiosi chiamano agilità strategica, ovvero la capacità di adattare in modo efficace e continuativo il modo in cui un’azienda opera e compete con le altre. Questo processo non è mai guidato da un singolo leader, ma da una moltitudine di “campioni” disseminati all’interno dell’organizzazione che portano avanti iniziative in grado di creare gradualmente il cambiamento.

COME LA NASA SI È ADATTA AL CAMBIAMENTO: LE TRE FASI

Durante il programma Apollo, quello che portò allo sbarco dei primi uomini sulla Luna, i finanziamenti alla Nasa arrivarono a toccare il 4,5% del budget federale, per un totale di 5.250 milioni di dollari nel 1966. Tuttavia, poco dopo lo sbarco sulla Luna del 1969, i finanziamenti cominciarono a scendere. Ad oggi ammontano a meno dello 0,5% del budget della federazione. Potrebbe sembrare una parabola discendente, invece si tratta di un percorso di trasformazione ed evoluzione.  La “reinvenzione” dell’agenzia spaziale statunitense ha attraversato tre fasi evolutive, ciascuna caratterizzata da differenti obiettivi e particolari strategie tecnologiche, valori culturale e modalità di collaborazione con partner esterni.

IL MODELLO TRADIZIONALE (1960-1990)

All’inizio la Nasa era sia primo contractor sia cliente esclusivo delle tecnologie spaziali. Questo per una serie di motivi: le sue tecnologie all’avanguardia non erano disponibili altrove sul mercato; la Guerra Fredda e la corsa allo spazio rendevano necessario che la Nasa avesse pieno controllo sulle tecnologie; la sua eredità militare e le procedure la portavano a lavorare mantenendo la proprietà della tecnologia sviluppata. L’approccio era dunque in prevalenza autoritario e gerarchico. Gli ingegneri dell’ente spaziale avevano ampia supervisione su quello che stavano facendo i contractor, la strategia tecnologica era focalizzata sugli investimenti e sullo stretto controllo sulle tecnologie sviluppate all’interno. Si avvertiva un senso di “superiorità tecnologica” e di eccellenza che derivava dall’impegno del governo per attirare i migliori scienziati.

IL MODELLO DI TRANSIZIONE (1993 – 2006)

Nel 1993 la Nasa fu invitata dalla Casa Bianca a collaborare con altre nazioni al design e alla costruzione della International Space Station (ISS). Le altre agenzie coinvolte erano l’Agenzia Spaziale Europea (Esa), l’Agenzia di Esplorazione Aerospaziale Giapponese (Jaxa), l’Agenzia Spaziale Canadese (Csa) e Roscomos. L’ISS rappresentò un passo indispensabile verso l’ambizioso obiettivo di lanciare missioni con esseri umani su Marte. Durante questa fase di transizione, la Nasa, che fino a quel momento era stata il player dominante nelle relazioni tra fornitori e acquirenti, imparò a collaborare con un insieme di partner. Questo richiese un cambiamento nei valori culturali, nell’approccio relazionale e nella strategia tecnologica.

Da un punto di vista culturale, il senso di superiorità tecnologica sviluppato durante il programma Apollo, seppure ancora presente, dovette in parte cedere il passo alla necessità di imparare a collaborare con più player, ciascuno con la sua cultura, tecnologia e modelli operativi.

Dal punto di vista relazionale, il tradizionale modello gerarchico dovette adattarsi alla presenza di un gruppo di organizzazioni governative internazionali. La Nasa coordinò e guidò il network costituito da queste agenzie per riuscire a dar vita all’ISS. Il lavoro era distribuito: i Program Manager di Nasa ISS guidarono il lavoro a livello operativo e collaborarono con le controparti internazionali per implementare l’iniziativa.

Anche in ambito tecnologico si verificò un’evoluzione: la strategia comportò il rafforzamento degli investimenti dei partner statali e la condivisione delle responsabilità tecnologiche. L’agenzia lavorò con i collaboratori allo sviluppo di interfacce tecniche condivise, agli standard, ai protocolli, imparando a operare nell’ambito di partnership pubblico-private.

IL MODELLO NETWORK (dal 2006 a oggi)

Il modello network è cominciato con il programma Commercial Resupply Services lanciato nel 2006 per portare i cargo all’International Space Station dopo il ritiro dello shuttle: un ritiro che significava che la Nasa doveva trovare altri modi per rifornire l’ISS che fossero non solo affidabili, ma richiedessero anche risorse inferiori. Questo e una serie di altri fattori – esigenze di budget, l’interesse del governo nel promuovere lo spazio commerciale e l’expertise commerciale in rapida crescita – portarono la Nasa a ricercare partner commerciali adeguati. L’ente cominciò a ricercare collaboratori esterni perché si rese conto che l’expertise era reperibile sul mercato aperto e a costi inferiori rispetto a quelli che poteva proporre la Nasa dal suo interno. Nel 2008 la Nasa strinse contratti con Space X e Orbital Sciences per trasportare cargo all’ISS.

Questo modello ha contribuito a cambiare la strategia tecnologica della Nasa. Adesso prevede contratti a prezzo fisso con partnership pubblico-private, nell’ambito delle quali l’ente non possiede in esclusiva la tecnologia. I partner commerciali possono vendere servizi e tecnologia agli altri clienti. I costi sono condivisi e la Nasa paga per obiettivi raggiunti. Invece di fornire specifiche sul cosa e sul come, l’ente spaziale statunitense definisce gli obiettivi di alto livello (il cosa), lasciando il come ai partner commerciali. Gli innovatori possono così sfruttare commercialmente queste tecnologie, contribuendo allo sviluppo della tecnologia spaziale e al rafforzamento del valore dell’industria nel suo complesso.

Dal punto di vista culturale questo ha fatto sì che l’agenzia guardasse maggiormente all’esterno e fosse capace di riconoscere la capacità innovativa del mercato. Trattando con gli attori commerciali, la Nasa ha anche acquisito una maggiore consapevolezza del mercato, focalizzandosi sulla realizzazione di progetti il più efficienti possibili e restando consapevole dei costi di ogni specifica attività. Qualcosa di molto lontano dalle risorse illimitate che erano state riversate nel programma Apollo.

LA NASA E L’OPEN INNOVATION

Nell’ambito di questo nuovo modello basato sul network, la Nasa ha abbracciato l’open innovation.

Attualmente l’agenzia sta lanciando sfide online per competizioni aperte, sta ricercando soluzioni attraverso il crowdsourcing e idee come complemento all’impegno di innovazione interno. Tra i challenge di successo ci sono state gare sul design di guanti da astronauta pressurizzati ma flessibili, sui modi più accurati di misurare l’allargamento dei materiali usati nello spazio come le strisce Kevlar e una migliore previsione dei raggi solari potenzialmente distruttivi.

In seguito a una recente direttiva del governo Usa che richiede alla Nasa di tornare a missioni di esseri umani sulla Luna e altrove, le nuove capacità e la nuova struttura dell’organizzazione sono diventate ancora più importanti. Adesso la Nasa è in grado di utilizzare le innovazioni dovunque emergano all’interno del proprio network, in modo da raggiungere obiettivi quali l’esplorazione dello spazio profondo, la ricerca di vita extraterrestre e il viaggio dell’uomo su Marte.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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