L'ANALISI

Henry Chesbrough, il paradosso dell’innovazione: il progresso tecnologico accelera, la produttività cala

Mentre la tecnologia cresce in maniera esponenziale, il tasso di crescita della produttività cala. È il paradosso dell’innovazione segnalato da Henry Chesbrough, studioso californiano “padre” dell’open innovation, che ne individua alcune ragioni. Ecco la sua prefazione al rapporto Cotec sull’open innovation in Italia

Pubblicato il 25 Feb 2021

Henry Chesbrough

Paradosso innovazione Henry Chesbrough

“Ci troviamo di fronte a un paradosso dell’innovazione: il progresso tecnologico accelera, ma la crescita della produttività cala”

Su questo stimolante paradosso si è concentrato l’intervento di Henry Chesbrough, padre dell’open innovation, in occasione della presentazione del rapporto COTEC sull’Open Innovation, ricerca realizzata da COTEC con il supporto di Enel Foundation e LUISS University ( qui è possibile rivedere l’evento).

Noto per aver definito il paradigma dell’innovazione aperta (le aziende che cercano idee, prodotti e soluzioni innovative al di fuori del proprio perimetro), Henry Chesbrough è professore e direttore esecutivo del Garwood Center for Corporate Innovation presso l’University of California a Berkeley, ed insegna Open innovation alla LUISS University.

Che cos’è il paradosso dell’innovazione? Quali sono le ragioni che lo determinano? Ecco le risposte nella prefazione di Henry Chesbrough al Rapporto COTEC. 

Che cos’è il paradosso dell’innovazione

Stiamo vivendo un momento interessante per l’innovazione in diverse regioni del mondo. La Cina cresce, mentre gli Stati Uniti sono profondamente polarizzati. Paesi europei come l’Italia si trovano intrappolati tra i due. Tutto ciò avviene in un contesto dinamico di sconvolgimenti tecnologici. Tecnologie digitali, blockchain, AI, robot, aziende spaziali private e veicoli autonomi, tutti promettono di trasformare le nostre vite. Queste tecnologie avanzano a ritmo crescente, tanto che alcuni la chiamano “tecnologia esponenziale“.

Un buon auspicio per il nostro futuro, perché un’accelerazione del progresso promette di portare un’era di abbondanza. Immaginate il nostro mondo tra vent’anni, secondo come lo dipinge Jim Spohrer di IBM: tecnologie di intelligenza artificiale disponibili a tutti che possano dare a ciascuno l’accesso all’equivalente di 100 esperti umani, formati personalmente da ognuno di noi per fornire tutte le informazioni e i consigli di cui abbiamo bisogno per vivere la nostra vita quotidiana.

Tuttavia, un momento di riflessione rivela che in questo futuro di abbondanza mancano alcuni dettagli essenziali. Il nostro tasso di crescita della produttività economica, ad esempio, sta scendendo anziché aumentare. Secondo la US Bureau of Labor Statistics, il tasso di crescita della produttività negli Stati Uniti è solo dell’1,1%, molto al di sotto del 3,7% raggiunto dal 1947 al 2007. In tutti i paesi del G7, italia compresa, una simile tendenza al ribasso della crescita della produttività è stata osservata. Questo non è quello che la tecnologia esponenziale ci ha promesso. Infatti, lo considero un paradosso esponenziale: il progresso tecnologico sta accelerando, mentre la crescita della produttività economica è in calo.

Quali sono le ragioni del paradosso dell’innovazione?

Per spiegare questo paradosso, aiuta considerare alcuni punti chiave. Uno è un possibile problema di misurazione, dove le nuove tecnologie richiedono l’utilizzo di nuove misure per riuscire a catturare il loro vero valore per la società. Questo è un pensiero confortante, perché suggerisce che i vantaggi stanno arrivando, abbiamo solo bisogno di essere pazienti. Ma misurare la produttività ha sempre avuto le sue sfide, e non è affatto chiaro perché la crescita della produttività sia ora in calo, rispetto alla sua media storica.

Un’altra possibile causa, individuata in un recente studio dell’OCSE, è un divario crescente tra “the Best and the Rest”, il Meglio e tutto il Resto: le migliori organizzazioni stanno effettivamente accelerando la loro crescita e produttività, ma il resto è sempre più indietro. Questo è un pensiero più preoccupante, perché implica che la disuguaglianza economica che già osserviamo possa intensificarsi ulteriormente, proprio a causa della diffusione irregolare delle tecnologie esponenziali.

Una terza possibilità, che a mio avviso lascia più speranze per il futuro, è che, come società, ci troviamo a convivere con l’incapacità di rinnovare i nostri investimenti in infrastrutture per l’innovazione. La nostra infrastruttura dell’innovazione è costituita dai cosiddetti “hard e soft asset”, necessari a generare, diffondere e assorbire nuove conoscenze innovative. Ciò richiede investimenti in “hard asset”, i beni materiali come la connettività 5G o aeroporti, strade e stazioni ferroviarie al passo con i tempi, e anche investimenti in “soft asset”, beni immateriali, come la formazione, le competenze, le università e altre forme di sviluppo del capitale umano. L’infrastruttura inizia con gli investimenti pubblici, che a loro volta attirano una maggiore quantità di investimenti privati, che culminano in una maggiore capacità di innovazione per l’intera società. L’innovazione aperta funzionerà meglio se il mondo investirà nel suo futuro, per consentire una vita migliore per tutti.

Il ponte di Genova come metafora dell’Italia

Abbiamo assistito ad una testimonianza del valore degli investimenti infrastrutturali in Italia all’inizio del 2020, dopo che la pandemia aveva colpito. Nel 2018, la città italiana di Genova aveva subito il terribile crollo di un ponte nel centro della città. Il ponte non era poi così vecchio, costruito nel 1967. Ma la struttura non era stata correttamente manutenuta, e alcune debolezze interne si erano così diffuse, riducendone la forza strutturale. Sembrava una metafora dell’Italia stessa: un bel disegno con un passato glorioso, ma non abbastanza manutenzione per sostenere la forza del Paese e la sua economia. Tuttavia, nell’aprile del 2020, un nuovo ponte è stato completato, riunendo le due metà di Genova.

Il rapido ed efficace completamento del ponte ha dimostrato ciò che l’ingegneria italiana poteva ottenere, se supportata da design creativo, uno sviluppo mirato e disciplinato, e dal sostegno e dagli investimenti delle istituzioni pubbliche.

Innovazione aperta, la strada per il futuro

È da questo contesto che nasce il nuovo rapporto della LUISS e della Fondazione Enel. Una ricerca su come misurare l’impatto dell’innovazione in Italia è fondamentale, se vogliamo capire il paradosso italiano. Come dimostra la ricerca, l’open innovation può contribuire positivamente alle prestazioni in materia di innovazione. Eppure ci sono limitazioni e preoccupazioni di cui dobbiamo essere consapevoli, se vogliamo sfruttare pienamente la sua promessa.

Ricerche come questa, e le storie individuali di organizzazioni italiane innovative che esemplificano le sue scoperte, promettono di aiutarci a trovare la nostra strada da seguire. La pandemia non durerà per sempre, e una nuova economia e nuove idee per l’innovazione nasceranno dai processi di ripresa già in corso.

Per me è chiaro che questa nuova economia e questi nuovi processi saranno più aperti nella loro natura.

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Henry Chesbrough
Henry Chesbrough

Economista, è direttore del Garwood Center for Corporate Innovation della Haas School of Business presso la University of California, Berkeley. Nel 2003 ha battezzato il concetto di open innovation nel libro "Open innovation: the new imperative for creating and profiting from technology"

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