LA STORIA

Enthera, storia di tenacia e ambizione: cosa farà la biotech italiana anti-diabete con 28 milioni

Parla Giovanni Amabile, 40 anni, CEO di Enthera, società che ha chiuso il più grande round A nel biotech italiano. “Lavoriamo a una cura rivoluzionaria per il diabete di tipo 1 e per le patologie infiammatorie intestinali. Tra 5/6 anni la commercializzazione”. Le esperienze negli Usa e i prossimi finanziamenti

Pubblicato il 31 Lug 2020

Giovanni Amabile, CEO di Enthera

Quando a 20 anni studiava Biotecnologia medica all’Università Federico II di Napoli, Giovanni Amabile aveva come sfondo nel desktop del pc una foto del CEO di Novartis, il colosso farmaceutico internazionale. Qualcuno ne sorrideva. Oggi, che di anni ne ha 40, la società biotech di cui è CEO, Enthera, che si occupa di diabete di Tipo 1 e patologie infiammatorie intestinali, ha appena ricevuto 28 milioni di euro di finanziamenti. E nessuno sorride più, semmai applaude.

Quello di Enthera è uno degli investimenti più cospicui nel settore biotech per l’Italia, forse il record dell’anno. E potrebbero presto arrivare ulteriori risorse finanziarie, anticipa lo stesso CEO. “Sono sempre stato molto ambizioso” commenta Giovanni Amabile nell’intervista rilasciata a EconomyUp, rievocando quel passato in cui sognava di emulare l’amministratore delegato di una multinazionale svizzera. Passato che gli sembra giustamente lontanissimo, perché di strada ne ha fatta davvero tanta.

Famiglia di modeste origini, la laurea a Napoli, ha trascorso un semestre di studi ad Oxford per poi approdare alla Harvard Medical School, un’eccellenza mondiale. “Ho fatto 34 colloqui di lavoro per laboratori di ricerca ad Harvard e mi hanno risposto sempre no. Allora ho scritto a tutti e 34 proponendomi gratis. Mi ha risposto di nuovo ‘no, grazie’. Solo uno ha accettato. Alla fine ce l’ho fatta”.

Il segreto? “Tenacia e fortuna” dice con un lieve accento napoletano che Harvard non è riuscito a cancellare. E per fortuna. Oggi Amabile, con i ricercatori e il team di Enthera, ha nelle mani la salute – e forse la vita stessa – di centinaia di migliaia di malati in tutto il mondo e delle loro famiglie. Una malattia che, allo stato attuale, non può regredire o scomparire, ma può solo essere curata, con dispendio di energie e denaro. La scommessa di Enthera è trovare una cura che la faccia regredire. Loro ci credono, ci stanno riuscendo. E ci credono anche gli investitori.

Enthera, la startup nata dalla ricerca scientifica

Enthera nasce nel 2016 come startup sulla base delle ricerche dei fondatori scientifici, Paolo Fiorina, medico e ricercatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano e del Boston Children’s Hospital della Harvard Medical School, e Francesca D’Addio. La società è il primo spin-off dell’acceleratore biotecnologico italiano BiovelocITA, fondato da Sofinnova Partners, Silvano Spinelli e Gabriella Camboni.

Proprio BiovelocITa fornisce l’investimento iniziale per far decollare l’impresa. Nel 2018 Enthera ottiene una estensione dei propri fondi, oltre che da parte di Sofinnova Partners, anche dal fondo JDRF T1D (fondo di venture capital di “Juvenile diabetes research foundation”) e di altri investitori italiani.  Obiettivo della giovane società è lo sviluppo di un farmaco e di una cura per il diabete di tipo 1, malattia autoimmune che si manifesta prevalentemente nel periodo dell’infanzia e nell’adolescenza.

Ad oggi non esiste nessun farmaco in grado di bloccarla o rallentarla: l’unica cura è assumere l’insulina, chi non lo fa può rischiare la vita. Enthera sta trovando il modo di farla regredire. “La molecola che abbiamo identificato – assicura Amabile – è in grado di causare la reversione della malattia nei modelli animali. Non solo di preservare la popolazione di cellule che produce l’insulina ma di espanderla, quindi di riportare la situazione a quella originaria. Abbiamo dati preliminari, l’abbiamo dimostrato negli animali, la prova finale sarà dimostrarlo nei pazienti”.

Tempistiche? Ancora il percorso è lungo. Almeno 5/6 anni affinché si cominci a valutare la commercializzazione del farmaco. Che, chiaramente, rappresenterebbe una svolta nella vita di tante persone. “Molti già mi chiedono, vogliono sapere, vorrebbero sperimentare, ma bisogna attendere”.

Chi sono i finanziatori di Enthera

Non hanno atteso i finanziatori, che si sono dimostrati da subito alquanto interessati. Il round per Enthera è stato guidato, come già detto, da Sofinnova Partners ma anche da Abbvie, colosso americano del biotech (poi spiegheremo le ragioni di questo interesse). Sono stati manifestati ulteriori impegni da parte di Jdrf T1d e altri investitori italiani, tra cui un gruppo coordinato da Banor Sim e un altro da Banca profilo attraverso Arepo fiduciaria e Indaco Venture Partners.

L’operazione rappresenta la più grande raccolta fondi di serie A, destinati al biotech e supportata da un venture capital, realizzata in Italia. In tutto, ad oggi, sono 33,4 milioni di euro i finanziamenti raccolti dalla startup. “E il round potrebbe non essere concluso. Ci sono persone fortemente motivate che sono interessate alla nostra realtà” anticipa l’uomo che da Napoli è arrivato ad Harvard per poi fare ritorno in Italia.

Chi è Giovanni Amabile, CEO di Enthera

Oltre a un dottorato in Genetica umana presso l’IRBM a Roma, Amabile ha un’esperienza di ricerca di più di dieci anni presso il Whetherall Institute of Molecular Medicine e la già citata Harvard Medical School. È stato Direttore degli Affari Medici presso Biogen Idec e più di recente CSO presso ADIENNE Pharma & Biotech SA. Ma la sua sliding door, il momento che ha cambiato per sempre la sua vita, è avvenuto molto prima.

È stato un incontro a New York, al quale, come nella più classica narrativa dell’innovazione (e non solo), Giovanni Amabile non voleva andare. “Ero riuscito a rimanere negli Stati Uniti, a Boston, grazie a una borsa di studio dell’American Italian Cancer Foundation di Umberto Veronesi. Al termine mi invitarono a New York per una serata di gala. Non avevo alcuna voglia, il viaggio era lungo, ma il mio capo fu inflessibile. Non avevo mai indossato uno smoking in vita mia, fui costretto a noleggiarlo. Al mio tavolo c’era un manager che lavorava nel biotech: parlammo, gli piacqui. Da allora il mio mondo sono state le biotecnologie”.

Nel 2018 Amabile abbraccia la causa di Enthera. “Abbiamo avuto un’estensione del finanziamento di 4 milioni e abbiamo fatto in 18 mesi cose che necessitano diversi anni di ricerca e lavoro”.

Biotech e diabete: cosa può fare l’innovazione

Perché gli investitori hanno creduto e stanno credendo in una società che promette una cura rivoluzionaria contro il diabete? C’entrano qualcosa il nostro tipo di alimentazione spesso poco equilibrato e gli stili di vita poco sani? “Il diabete di tipo 1 – spiega l’esperto di biotecnologie – non è quello che colpisce generalmente gli adulti e le persone in sovrappesoè noto per essere una patologia a carico della popolazione pediatrica.

Tuttavia, nonostante la genetica  giochi un ruolo importante in  questa condizione, abbiamo constatato che la sua incidenza aumenta anno dopo anno nella popolazione adulta, quindi è certo che lo stile di vita può essere un fattore ‘precipitante’ in chi possiede un background genetico atto a indurre l’insorgenza della malattia”.

Cosa c’entrano le ricerche sul diabete con le malattie gastrointestinali?

Esiste un collegamento tra diabete e malattie gastrointestinali. Pazienti con una lunga storia di diabete sviluppano l’enteropatia diabetica, che si associa a un’infiammazione cronica dell’intestino, molto simile alla colite ulcerosa. Quattro anni fa Paolo Fiorina e il suo team di ricercatori hanno scoperto che il meccanismo alla base dell’infiammazione nell’enteropatia diabetica era lo stesso della colite ulcerosa e del morbo di Crohn. Scoperta brillante. Alla quale è seguita un’idea altrettanto brillante.

Le malattie gastrointestinali quali morbo di Crohn e colite ulcerosa sono molto diffuse tra la popolazione adulta e la loro insorgenza è collegata allo stile di vita. Il sistema immunitario gioca un ruolo nel loro sviluppo, ma non è l’unico a determinare insorgenza e progressione. Tutte le aziende farmaceutiche – prosegue Giovanni Amabile – hanno provato a curare questo tipo di malattie modulando il sistema immunitario. 

Invece Enthera ha scelto un approccio diverso che si basa sulla rigenerazione, e in particolare nella riparazione della mucosa dell’intestino, che in questi pazienti viene progressivamente distrutta. È successo che, riparando la mucosa, anche il sistema immunitario veniva ‘riparato’”.

Una sorta di approccio “rovesciato” al problema, che evidentemente ha dimostrato di funzionare. Da qui l’interesse di AbbVie: la multinazionale americana nata nel 2013 dallo spin-off di Abbott Laboratories, un colosso del settore biofarmaceutico quotato alla Borsa di New York, ha deciso di investire nella (relativamente) piccola realtà italiana perché uno dei suoi core-business (e settore in cui è leader) sono per l’appunto le cure per le malattie gastrointestinali. Non a caso è, per ora, l’unico investimento di AbbVie in Italia.

Biotech e Covid19: cosa sta succedendo?

In realtà, in questo difficile momento storico, gli occhi dei più sono puntati su un’altra malattia, il Covid19. Il biotech è in prima linea nella lotta al virus, ricerca e innovazione possono contribuire a difenderci dal contagio. È possibile che il mega-finanziamento ricevuto da Enthera sia stato più agevolmente veicolato dal rinnovato interesse per il mondo delle biotecnologie e per il settore farmaceutico in generale?.

“A mio parere – risponde Amabile – ci sono due gruppi di investitori: uno che è stato spronato a investire ancora di più nel biotech perché l’avvento della pandemia ha fatto emergere l’importanza di investire in un settore che cerca di curare malattie incurabili, e genera prodotti e terapie innovativi. Un altro gruppo, più cauto, ha deciso di ridurre gli investimenti a causa del Covid19, forse perché, a causa del lockdown e quindi dello standby degli studi clinici, si è verificato un aumento dei costi della ricerca delle biotech su cui avevano già investito e che in alcuni casi hanno dovuto ricapitalizzare. Un quadro un po’ complesso, insomma”.

Quando arriverà il farmaco di Enthera contro il diabete? “Siamo agli inizi” ammette Amabile. Ma, è noto, nella ricerca i tempi sono necessariamente lunghi. “Negli Usa e nella Ue portare a mercato una nuova molecola è un percorso complesso che può durare anche 8 o 9 anni . Per il farmaco di Enthera stimiamo una contrazione dei tempi in quanto il diabete di tipo 1 non ha al momento alternative terapeutiche e quindi potrebbero servire 5 o 6 anni per la valutazione  della commercializzazione”.

L’ambizione di Amabile e del team di ricerca resta viva, ma sempre accompagnata da una grande passione per quello che stanno facendo. E dalla voglia, ora più che mai, di crescere. Sono previste 10 nuove assunzioni. Un ulteriore segnale positivo per gli investitori. E soprattutto per i malati.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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