Stanislao Di Piazza

Da Adriano Olivetti a Papa Francesco, ecco il valore dell’economia sociale

Stanislao Di Piazza, Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, spiega perché l’economia sociale può essere considerata innovativa: un ecosistema di imprese profit e non profit, tra cui le B-Corp e le aziende dell’economia circolare, che generano ricchezza anche per la collettività. E che vanno suppo

Pubblicato il 01 Dic 2020

Il senatore Stanislao Di Piazza sostiene l'importanza dell'economia sociale

In una crisi mondiale come quella generata dalla pandemia vanno individuate, riconosciute e supportate quelle imprese che, pur perseguendo legittimamente il profitto, riescono a generare benessere per la comunità. Una miriade di realtà, non profit e profit, attive nei campi più svariati, dal sociale all’economia circolare, che devono essere messe al centro degli interventi della politica. Ne è convinto Stanislao Di Piazza, senatore dei 5 Stelle e Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ricorda come nei prossimi anni l’Italia dovrà gestire i 209 miliardi di euro previsti dal Recovery Plan. In quali settori impiegarli e con quali criteri scegliere i destinatari delle risorse? Di Piazza – palermitano di nascita ed ex referente per il Sud di Etica Sgr, società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica – non ha dubbi: almeno una parte dovrà essere destinata a chi si impegna per contribuire al miglioramento della società. Come Adriano Olivetti negli anni Cinquanta. Come i giovani imprenditori ed economisti riuniti da Papa Francesco nel 2020.

Senatore Di Piazza, l’economia sociale può essere considerata innovativa?
Purtroppo con la pandemia sono aumentate le diseguaglianze sociali e la ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di pochi. Ma il fenomeno va avanti da tempo: nel 2018 soltanto 26 individui al mondo possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone. Questo ci fa riscoprire l’importanza dell’economia sociale e la sua capacità di trasformare le cose.

Come descriverebbe l’ecosistema dell’economia sociale?
Una biodiversità di organizzazioni che decidono di fare impresa non profit, non prevedendo la distribuzione degli utili, agendo nell’interesse della collettività e mettendo al centro la persona. Stiamo parlando di cooperative, associazioni, fondazioni, imprese sociali. Negli ultimi 3 o 4 anni si è sviluppato un ulteriore fenomeno positivo: sono nate imprese attive nel sociale ma profit, come le B Corporation, aziende che si impegnano a rispettare determinati standard quali performance, trasparenza e responsabilità e operano per ottimizzare l’impatto positivo verso i dipendenti, le comunità e l’ambiente. Sono nate le società benefit, che integrano nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera. Per non parlare di tutte quelle realtà attive nell’economia circolare, impegnate a contribuire ad un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo garantendo così anche la sua ecosostenibilità. Sono tutte imprese per le quali il profitto è una caratteristica fondamentale, ma che si impegnano anche per redistribuire la ricchezza alla comunità.

Esempi di economia sociale messa in pratica con successo?
Le imprese olivettiane. Adriano Olivetti era un imprenditore del profit, ma sosteneva che fare impresa è importante per far crescere la comunità. Gli imprenditori civili del dopoguerra che hanno risollevato l’Italia. Le aziende che sanno dare risposte ai bisogni delle persone. A 80 anni di distanza, in un nuovo periodo di crisi internazionale, per la prima volta nella storia un Papa ha riunito le persone per parlare di economia. A novembre, all’evento digitale “The Economy of Francesco”, il Pontefice ha invitato giovani economisti, imprenditori e changemaker a fare un patto affinché l’economia sia più giusta, fraterna, sostenibile, inclusiva. Un gesto innovativo e rivoluzionario. Come ha detto Papa Francesco a conclusione del Forum di Assisi “non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti come unità di misura e sulla ricerca di politiche pubbliche simili che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale”.

Quindi cosa può fare la politica?
Intanto deve tornare ad essere centrale e a non farsi dominare dall’economia. Quante volte, negli ultimi 25 anni, abbiamo sentito dire: “È il mercato che lo vuole…”.  Io invece credo che sia la politica a dover decidere gli obiettivi e le categorie di persone che devono essere maggiormente aiutate, ma in maniera strutturale, non emergenziale. È necessario avere una visione, anche in previsione del Next Generation EU, o Recovery Plan, il pacchetto di misure messe in campo dall’Unione europea per l’uscita dalla crisi causata dal Covid19. Sono attesi 209 miliardi di euro tra finanziamenti e contributi: dobbiamo investirli in operazioni che generino ricchezza. Non ricchezza per pochi, ma benessere per tanti.

Come il governo intende definire le strategie di distribuzione dei futuri finanziamenti?
Esiste una cabina di regia, “Benessere Italia”, presieduta dalla professoressa Filomena Maggino, incaricata di studiare e preparare gli indicatori per il monitoraggio delle politiche. Servono misuratori per individuare quelle imprese che utilizzano il profitto non solo per ripagare il talento dell’imprenditore, come è giusto, ma anche per la crescita della collettività. Per parte mia ho presentato qualche settimana fa un disegno di legge al Senato sulle imprese di comunità. È firmato dai 4 partiti di maggioranza, conto che sia presto incardinato e che venga discusso nel 2021. Obiettivo:  sviluppare i territori trasferendo il benessere alle comunità.

A novembre è stato lanciato “Sostegno al Terzo Settore” che prevede l’erogazione di 30 milioni di euro di finanziamenti agevolati per l’emergenza Covid. Cosa pensa di iniziative di questo genere?
Trovo positiva questa iniziativa organizzata da Fondazione Cariplo insieme ad altri: l’attività delle fondazioni bancarie è nobilissima. Ma, se vogliamo che il terzo settore, o meglio la terza economia, diventi un modello economico riconosciuto dal sistema politico, servono interventi strutturali. Non vorrei che determinati interventi fossero interpretati come filantropici e rischiassero di rimanere operazioni di nicchia. In definitiva dobbiamo premiare quel tipo di finanza che ha un impatto nei confronti della collettività e aiuta le imprese a produrre e crescere, mantenendo al centro l’uomo che produce, non l’individuo che consuma. Perché solo così possiamo garantire un futuro ai nostri figli.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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