LA STORIA

Cristiano Boscato, dalla semiotica di Umberto Eco al social per le aziende

“Credo che questo mix tra una cultura umanistica e una di tipo STEM sia fondamentale”., dice Cristiano Boscato, Executive Vice President di Injenia, che qui racconta il suo percorso imprenditoriale, fino al social usato da aziende come Barilla e Saipem

Pubblicato il 18 Nov 2022

Cristiano Boscato, Executive Vicepresident di Injenia

L’ultimo premio, in ordine di tempo, è stato quello ottenuto agli inizi di ottobre nella categoria Machine Learning e Intelligenza Artificiale, una delle otto previste dai Digital360 Awards 2022. Injenia, la società di cui Cristiano Boscato è Executive Vice President, è stata insignita più volte con analoghi riconoscimenti. Nel 2018 e nel 2020 sempre all’interno dei Digital360 Awards e per due anni consecutivi con il Premio Innovazione Smau. Oggi parte del Gruppo Maggioli, Injenia non è l’unica azienda che Boscato ha condotto al successo o a cui ha dato vita nell’arco di un ventennio. Tant’è vero che Forbes l’ha inserito fra i 100 manager e imprenditori italiani che si sono distinti perché “guidano le loro imprese verso le sfide del futuro con spirito d’innovazione e attenzione alla sostenibilità” dice la classifica.

Leggendo, o ascoltando, il suo libro, In una notte d’estate ho visto il futuro (Franco Angeli, 2022), queste due parole – innovazione e sostenibilità – acquistano concretezza, nonostante la complessità dello scenario tecnologico in cui si muovono Injenia e le altre “creature” frutto della sua vena imprenditoriale.

La nascita di un imprenditore tech prima dello smartphone

Cristiano Boscato è nato a Treviso 43 anni fa, ma vive a Bologna da quando vi si è trasferito per seguire i corsi di semiotica di Umberto Eco. Giornalista mancato, coltiva comunque una passione per il “mestieraccio”, come si ricava dalle interviste contenute nel suo libro a tre protagonisti del panorama economico italiano sui temi dell’innovazione tecnologica, della formazione e della crescita. Si definisce “umanista”, in onore dei suoi grandi maestri, di cui Eco è il più noto, ma anche nel solco di altri illustri uomini d’azienda. “Ricordo un’intervista a Sergio Marchionne – dice – in cui sosteneva che delle sue tre lauree quella più importante era la laurea in Filosofia, perché gli aveva permesso di aprire la mente, di avere una visione più ampia. Credo che questo mix tra una cultura umanistica e una di tipo STEM sia fondamentale”.

Quali sono stati i suoi primi passi da imprenditore?

Dopo gli studi di Semiotica all’Università di Bologna, ho cominciato a lavorare all’ufficio stampa della Provincia, ma di lì a poco con un paio di amici nei primi anni Duemila ho fondato una startup sul modello ‘garage’. Fornivamo servizi per la pubblica amministrazione tramite uno strumento di accentramento e aggregazione delle informazioni, in particolare riguardanti gli eventi dei vari Comuni che si potevano consultare in chiave georeferenziata.

Aveva già competenze da programmatore?

No, ma ero e sono molto bravo a dialogare con i tecnici, che è una delle chiavi nel mio settore: essere un buon interprete-mediatore culturale tra tecnologia e business. E poi la mia formazione in semiotica mi aiutava a capire quali fossero i bisogni.

In che modo?

Ad esempio, in quegli anni avevo captato, insieme a uno dei miei soci di allora, l’esigenza della criptazione dei messaggi. Tenga presente che siamo in un’epoca pre-smartphone e quindi si parlava di criptare mail o SMS, ma la cosa piacque e cominciò a essere utilizzata sia nel B2B sia nel B2C perché permetteva che ci fosse una comunicazione sicura e garantita.

È sempre riuscito a intercettare i bisogni del mercato? Non c’è mai stato qualche progetto che poi non si è realizzato?

Tra le mie avventure di quegli anni ho un grande cruccio. Sono un appassionato di cucina e volevo lanciare un social che si chiamava Chefspeare nell’epoca in cui Facebook era agli inizi. Purtroppo, la compagine dei soci non era quella giusta per avviare quel progetto.

E come è finita?

Nel 2008 venni liquidato e mi ritrovai a spasso. L’anno successivo mi contattò per un ruolo di funzionario commerciale una piccola azienda bolognese che faceva consulenza commerciale applicativa nell’ambito della pubblica amministrazione. Si chiamava Injenia, c’erano 4-5 persone e fatturava attorno ai 500 mila euro. Risposi: no, grazie.

Evidentemente, però, poi ha cambiato idea. Che cosa la spinse ad accettare?

Il fatto che ero a casa a far nulla, ma soprattutto la mia ragazza, che oggi è diventata mia moglie, che me lo fece notare dandomi un “cuccio” (colpetto in dialetto bolognese, ndr).

La scoperta del cloud e dell’intelligenza artificiale

Oggi in Injenia lavorano un centinaio di persone e il fatturato del 2021 ha sfiorato i 24 milioni di euro. Cerved l’ha collocata tra le prime 10 aziende italiane del settore technology che sono cresciute maggiormente e in modo costante tra il 2014 e il 2019. In seguito all’acquisizione da parte del Gruppo Maggioli, le prospettive di crescita del 2022 dovrebbero confermare al rialzo l’andamento degli anni precedenti.

Da una piccola realtà, qual era Injenia nel 2009, si è arrivati all’attuale esempio di innovazione che fa leva su machine learning, data management, cloud transformation e app modernization. Come è potuto succedere?

Quando sono arrivato, uno dei soci stava cercando la “mattonella” su cui appoggiare il futuro dell’azienda. E allora andammo a parlare con Google Italia e iniziammo a commercializzare Gmail insieme a quello che si chiamava Google Apps for Business e che oggi si chiama Google Workspace. Nel fare questo, mi resi conto che andavamo a proporre un modo diverso di collaborare in azienda.

Che tipo di risposte riceveva rispetto a questo nuovo modello?

Erano del tipo: ma cosa me ne faccio? Dove sono i miei documenti? A che serve condividerli? Insomma, prendevamo un po’ di sberle. Nel frattempo, uno dei tre soci decise di andare via e mi chiesero di prendere il suo posto. Accettai, ma a condizione che si cambiasse il go to market, anche perché la nostra offerta tradizionale rivolta alla pubblica amministrazione stava andando in crisi, non ultimo perché si ventilava la trasformazione delle Province. Nel giro di un anno, un anno e mezzo abbiamo avuto un boost incredibile, fino a diventare il principale partner italiano di Google. Questo perché non vendevamo soltanto la sua suite, ma un modo diverso di ragionare attraverso strumentazione tecnologica che permettesse alle persone di collaborare in maniera diversa nelle aziende del futuro.

E poi cosa è successo?

Abbiamo aperto un centro di sviluppo applicativo, iniziando a metterci dentro l’innovazione vera: cloud, intelligenza artificiale e machine learning. Tra il 2015 e il 2016 cominciammo a partecipare a progetti importanti con grandi aziende come Enel e Unipol che si affacciavano su questo mondo.

In cosa consistevano questi progetti?

Uno dei primi riguardava l’image recognition, in particolare la gestione delle manutenzioni a partire dalle immagini. Enel, ad esempio, per verificare lo stato della sua rete elettrica e pianificare gli interventi, si affidava alle foto prese dall’alto con gli elicotteri. Per analizzare questo materiale, qualcosa come 65mila foto al giorno, ci impiegava all’incirca due anni. Noi invece riuscivamo a processarne 300 mila in 8 ore.

Parlare di intelligenza artificiale e machine learning in quel periodo era pioneristico. Come riuscivate a convincere dei suoi benefici le aziende?

Il ragionamento, che è poi lo stesso che mi ha portato a diventare direttore didattico alla Bologna Business School, non era tanto sulla tecnologia o sull’algoritmo, ma sui KPI e sul valore del business. Checché se ne pensi, AI e machine learning sono attività artigianali. Ci sono dei dati, vanno ‘puliti’ con il data cleaning e inseriti in degli algoritmi per poi vedere i risultati. È ovvio che oggi è aumentata la potenza di calcolo e questa attività non dico che stia diventando una commodity, ma poco ci manca. Mi ricordo che i primi progetti legati all’ambito linguistico e semantico se li paragoniamo a quelli di oggi è come mettere a confronto un tennista della domenica con Roger Federer. E sono passati soltanto 6-7 anni.

Semplificare comunicazione e collaborazione in azienda con un social

Il progetto per il quale Injenia è stata premiata all’ultimo Digital360 Awards è uno Smart Data Hub realizzato per Saipem che consente di indicizzare, etichettare e cercare documenti provenienti da fonti disparate in modo rapido e semplice, sfruttando le più recenti tecnologie di ricerca cognitiva e di Natural Language Processing. La gestione delle informazioni e, soprattutto, il suo impatto nel modo di lavorare delle persone è una delle frontiere su cui si concentra l’interesse di Boscato che per questo ha creato Interacta, una piattaforma che serve a semplificare la comunicazione e la collaborazione nei processi aziendali.

Come è nata l’idea di Interacta?

Tra il 2016 e il 2017 sono stato chiamato da Barilla per un progetto di knowledge management da implementare in fabbrica. La difficoltà, in particolare nel passare le informazioni dai manutentori al reparto e viceversa, comportava dei ritardi che si ripercuotevano sulla produzione. L’idea di fondo era che la popolazione dei field worker non fosse sufficientemente digitalizzata, mentre io mi resi conto fin da subito che lo era più di quanto si pensasse. Banalmente, tutti usavano Whatsapp e Facebook. Loro e noi abbiamo subito, o vissuto, il più grande esperimento di ingegneria sociale della storia, che ha cambiato il nostro modo di comunicare. Eppure, in azienda continuiamo a utilizzare sistemi farraginosi, come se non fosse successo.

E quindi?

Quindi ho creato Interacta, un social che si fonda sull’interazione naturale anche nei processi aziendali: da quelli manutentivi a quelli in ambito commerciale, dal retail per la gestione degli store ai processi delle PMI che non sono legati ai classici sistemi gestionali. Siccome Interacta genera una community, tutta la conoscenza aziendale rimane patrimonio dell’organizzazione e, contemporaneamente, tutte le persone che sono a bordo e vedono le pratiche migliori crescono, si formano, imparano. Barilla ha dichiarato di aver ridotto del 50% i tempi di manutenzione e ha deciso di introdurlo in una ventina di stabilimenti.

Come ha fatto Interacta, dall’esperienza di Barilla, a espandersi ad altre situazioni e contesti?

Il need che avevo riscontrato in fabbrica è di chiunque lavori. Negli stessi anni in cui l’abbiamo implementato in Barilla, si è cominciato a parlare sempre più spesso di engagement, di Yolo Economy e di temi connessi alla retention delle persone. E questo strumento ‘ha fatto scopa’ perché mette le persone nelle condizioni di collaborare e comunicare meglio. Di conseguenza, crea engagement. L’interazione naturale, come abbiamo scritto nel primo punto del manifesto alla base di Interacta, favorisce la ricerca della felicità e la realizzazione personale.

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Carmelo Greco
Carmelo Greco

Giornalista e scrittore

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