L’INTERVISTA

Cecilia Visibelli, Snaminnova un anno dopo: che cosa abbiamo imparato su startup e innovazione

A poche settimane dalla seconda call for ideas rivolta ai dipendenti del colosso dell’energia Snam, la Head of Open Innovation Hub Cecilia Visibelli tira le fila di quanto è stato fatto finora nell’ambito di Snaminnova, raccontando le lezioni apprese e i progetti per il futuro

Pubblicato il 07 Mar 2022

Cecilia Visibelli, Head of Open Innovation Hub di Snaminnova

Anche l’azienda più tecnologica e con uno spirito pionieristico nella sua tradizione ha da imparare dalle attività di innovazione aperta. Snam, azienda dell’energia con un fatturato di circa 2,8 miliardi di euro nel 2020, ha una storia lunga oltre 80 anni, ha avuto un ruolo chiave nella creazione dei corridoi energetici che ancora oggi fanno viaggiare il gas in Europa e nel nostro Paese. E adesso, alle prese con la sfida della transizione energetica, sta lavorando su dati, digitalizzazione, efficienza energetica, mobilità sostenibile e nuove fonti di energia come idrogeno e biometano. A piano c’è mezzo miliardo da investire entro il 2025 su digitalizzazione e innovazione.

Snam ha creato un’unità dedicata all’open innovation: un team giovane con competenze eterogenee, che lavorano all’interno della direzione Digital Transformation and Technology e si interfacciano costantemente con il business. La scorsa primavera ha lanciato un programma, Snaminnova, per valorizzare le competenze interne dell’azienda a vantaggio dell’innovazione del business. Nelle prossime settimane partirà la seconda call for ideas rivolta ai dipendenti. È il momento giusto per un primo bilancio. Lo facciamo con Cecilia Visibelli, che guida Open Innovation Hub di Snam.

Il gruppo team Opin e Innovation Ambassador 2021

Che cosa c’è dentro Snaminnova?

Snaminnova è un programma articolato che si sviluppa secondo tre filoni: l’innovazione interna con call for ideas su diversi temi: dal net zero carbon ai nuovi stili di vita, dall’uso di fonti energetiche rinnovabili alla mobilità green e al riutilizzo degli scarti. Un vero e proprio laboratorio di innovazione collaborativa.

Che cosa ha prodotto questo laboratorio?

La prima sessione, diciamo così, è durata sette mesi, ha visto arrivare in finale 10 team attraverso due eventi di selezione con una giuria composta dai vertici dell’azienda. È stato entusiasmante vedere colleghi trasformati in startupper che facevano il tifo per il proprio team dopo aver lavorato ed essersi confrontati con grande partecipazione sulla loro idea di impresa. Abbiamo un’idea vincitrice che sta diventando un progetto e a breve partirà la seconda call: siamo nella fase di raccolta delle esigenze del business per scegliere i temi. Questa esperienza ha confermato l’importanza e il valore del capitale umano anche nelle attività di innovazione.

Quindi avete lavorato sulla corporate entrepreneurship. Passiamo al secondo filone. Qual è?

L’innovazione esterna, lo scouting di startup ma anche la relazione con università e centri di ricerca. In un anno abbiamo visionato 1550 startup, in questo momento 16 stanno lavorando con noi sul POC e tre progetti sono stati già scalati a livello di produzione.

In quali aree avete già portato l’innovazione delle startup in azienda?

Nella sicurezza dei lavoratori e nella manutenzione degli impianti attraverso l’Augmented Reality ma anche nell’HR con l’implementazione dell’intelligenza artificiale per supportare i processi di valutazione dei profili.

Sono startup italiane?

Due sono italiane e una internazionale: una proporzione che rispecchia quella dello scouting.

Non dimentichiamo il terzo filone…

No di certo, perché è un pilastro del nostro progetto di open innovation: la cultura dell’innovazione. Abbiamo creato una community di innovation ambassador, 50 persone diventate diffusori della cultura dell’innovazione all’interno dell’azienda ma concretamente, portando anche un nuovo modo di lavorare nelle loro aree di attività. Questo è stato possibile dopo averle coinvolte in un percorso di formazione che prevede anche attività di networking con l’ecosistema dell’innovazione utile per alimentare quella contaminazione necessaria per far emergere il potenziale di imprenditorialità interna, valorizzare le competenze esistenti e farne emergere di nuove e quindi favorire la crescita professionale dei dipendenti. Un progetto che ci ha consentito anche di rafforzare il legame tra le persone, sfruttando la tecnologia per ridurre le distanze a cui eravamo costretti dal periodo di pandemia.

Come sono stati selezionati gli ambassador?

È stata lanciata una challenge sulla Intranet, con un questionario e l’indicazione di un profilo ideale ma senza alcun vincolo. Tra gli ambassador ci sono persone di tutti livelli aziendali e anche questa è stata un’esperienza straordinaria. Per noi tutte le nostre persone sono il vero motore per accelerare l’innovazione in azienda. Per questo continueremo con le nostre attività di corporate entrepreneurship.

Che cosa si impara nel primo anno di un percorso di open innovation?

Tante cose e tutte importanti.

Cominciamo dalla prima…

L’importanza del confronto e dell’ascolto. Due anni fa abbiamo cominciato a parlare con chi aveva cominciato prima di noi e aveva fatto attività di open innovation. Abbiamo capito che non c’è una formula magica, una ricetta buona per tutti. Importante è parlare con onestà degli errori commessi. È l’unico modo per evitare di rifarli.

Seconda lezione?

La necessità di essere aperti e leggeri. Ci siamo resi conto che per dialogare con le startup ed essere più attraenti era necessario velocizzare e semplificare i processi soprattutto lato procurement.

Avete lavorato solo sui processi del procurement?

In verità no. Abbiamo capito, in generale, che avremmo dovuto promuovere approcci più spontanei e inclusivi, di tipo bottom-up, per favorire la partecipazione. Si può fare, ha funzionato e l’energia delle persone ha finito per trascinare anche il top management dell’azienda.

Quindi l’innovazione aperta non è stata solo aprire l’azienda verso l’esterno ma anche al proprio interno?

Assolutamente sì. Abbiamo imparato ad essere più inclusivi e pervasivi. Abbiamo fatto la mappatura delle esigenze di tutte le business unit dopo un grande lavoro di ascolto per poter lavorare con un obiettivo concreto e strategico: mettere a terra l’innovazione, scalare nel business.

Progetti per il 2022?

Innanzitutto, ci auguriamo che il superamento dell’emergenza sanitaria ci porti a ritrovarci più spesso anche di persona. Sentiamo l’esigenza di far respirare la contaminazione agli ambassador, fare community building: è anche questo il bello dell’open innovation. Poi puntiamo ad allargare ancora il perimetro di Snaminnova sia ad altre società e persone del gruppo ma anche oltre i confini aziendali. Ci piacerebbe infatti rafforzare l’ecosistema dell’innovazione attraverso partnership e iniziative di co-innovazione. Continueremo a mettere sempre le persone al centro della nostra strategia ma per ora preferiamo lasciarvi con qualche curiosità.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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