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Claudio Farina (Snam): grande azienda o startup, l’autoreferenzialità è nemica dell’innovazione

“Se sei leader, pensi di poter continuare a vincere comunque. Nelle startup, invece, vedo spesso un eccesso di self confidence”, dice Claudio Farina, Executive Vicepresident Digital Transformation, Technology & Innovazione industriale di Snam. Che racconta come un leader la trasformazione del business

Pubblicato il 24 Giu 2021

Claudio Farina, Executive Vicepresident Digital Transformation, Technology & Innovazione industriale di Snam

Con giugno si conclude la prima raccolta di idee di SnamInnova, il programma di open innovation della società di infrastrutture energetiche. Innovazione aperta verso l’esterno, con le startup, ma anche verso l’interno, stimolando la creatività e l’imprenditorialità dei dipendenti.

Non è un’impresa semplice per un leader come Snam, nella top ten nazionale per capitalizzazione di Borsa, il più grande player europeo del settore con 32 mila chilometri di rete per il trasporto del gas solo in Italia. Da circa tre anni a gestire questa attività c’è un Executive Vicepresident Digital Transformation, Technology & Innovazione industriale: Claudio Farina, 46 anni, un manager che arriva dalla consulenza attraverso le telco, che fa il mentor di startup nel network internazionale Endeavor e che ha creato con un gruppo di amici anche una boutique per investimenti seed (Moffu Labs). Insomma, uno che conosce ansie ed esigenze delle corporate ma anche delle startup.

A Claudio Farina abbiamo chiesto di raccontarci da dove arriva e dove vuole andare Snaminnova e soprattutto: che cosa c’è adesso di diverso per un’azienda in cui la tecnologia è sempre stata importante?

Oggi siamo in piena trasformazione digitale.

D’accordo, ma voi trasportate gas, oggi naturale in futuro sempre più bio e idrogeno verde. Come può il gas diventare smart?

Faccio due esempi. La digitalizzazione degli ordini di lavoro e la manutenzione. Oggi il routing, le disposizioni per le squadre sul campo, arrivano su tablet e sono ottimizzate con un algoritmo. Con la realtà aumentata si riescono a vedere i tubi che passano sottoterra attraverso gli stessi tablet. E poi c’è la predictive maintenance, che ci permette di ottimizzare gli interventi prima che si crei il problema.

Non avete pensato a diversificare il vostro business?

Il nostro obiettivo è continuare a fare bene il nostro business e supportare la transizione energetica sostenibile, in modo data driven. È molto probabile che i dati che trasporteremo sulla nostra rete (temperatura, movimenti del terreno, etc.) possano essere importanti per altre Industry, penso all’agricoltura o alle grandi costruzioni. Quindi in un’ottica di sistema ci potrà essere nuovo valore che adesso ancora non è espresso.

Come siete arrivati a Snaminnova?

Mettendo a sistema tante attività fatte nel corso di questi ultimi anni. Snaminnova è un modello che comincia adesso, una piattaforma nell’accezione più aperta possibile: abbiamo un partner come Cariplo Factory e tanta energia interna, i coordinatori sono tutte figure interne.

È un sistema perché prevede call for startup, attività di corporale entrepreneurship, azioni per la diffusione della cultura dell’innovazione. Ma come si connette questo sistema con il business?

Il processo parte sempre dalla raccolta dei need del business. Il team Innovation & technology guidato da Cecilia Visibelli funziona come un agente interno che cerca dentro e fuori l’azienda le risposte e gli spunti innovativi per rispondere alle domande del business.

A giugno si conclude la prima call for ideas di Snaminnova. Che cosa ve ne farete?

Il comitato di valutazione selezionerà 10 idee che verranno sviluppate fino alla fine di quest’anno: dedichiamo molta attenzione e tempo a questa fase. Una sola idea sarà portata avanti: per il team di dipendenti il rewarding sarà un corso di formazione sull’innovazione di una business school.

Snaminnova prevede anche degli ambassador. Quale profilo hanno? Quanti sono?

Sono 50 colleghi, selezionati fra oltre i 100 che si sono candidati. La valutazione non è stata fatta sulle competenze tecniche o il ruolo ricoperto ma sull’attitudine. Abbiamo preferito la voglia di fare, lo spirito imprenditoriale, le softskill. Il ruolo degli ambassador è in qualche modo di sfidare i tecnologi, portare il punto di vista del cliente finale.

Startup, pensate di fare investimenti in equity?

Abbiamo fatto investimenti in aziende di diverse dimensioni, attive nei mondi dell’idrogeno, del biometano, dell’efficienza energetica e della mobilità sostenibile, molto tecniche. Sulle startup stiamo facendo diverse riflessioni. Non abbiamo in programma un Corporate Venture Capital, ma potremmo valutare altre formule.

Qual è l’errore più frequente e rischioso quando si fa innovazione?

L’autoreferenzialità, sia nelle startup sia nelle grandi aziende. Se sei leader, pensi di poter continuare a vincere comunque. Nelle startup, invece, vedo spesso un eccesso di self confidence che può giocare brutti scherzi. L’errore più pericoloso è sempre non accettare le sfide, non ascoltare e non mettersi in discussione.

E l’errore che hai fatto a livello personale e più ti ha aiutato a crescere?

Rimanere ancorato al ruolo, all’esperienza precedente. Ad esempio quando cambiando lavoro ti porti dietro il retaggio dell’esperienza passata, pensando che debba funzionare solo perché prima hai avuto successo. Ma non è sempre così.

Che cosa pensi delle startup italiane?

Non sono gracili le startup italiane, come a volte sento dire. È gracile il sistema di supporto e di finanziamento. L’intelligenza, la passione per la tecnologia, la creatività è distribuita in modo omogeneo nel mondo. Ma i tempi e i costi per creare e gestire una società, le opportunità di accesso ai capitali, il peso della fiscalità, la possibilità di fallire non sono uguali in tutti i Paesi.

Quindi c’è un problema di sistema economico?

Io penso che le startup abbiano democratizzato tra i Paesi la possibilità di sviluppo economico. Sta ai singoli Paesi comprendere questa opportunità. I mercati piccoli non hanno più gli svantaggi di un tempo nel mondo digitale e globale, le barriere d’ingresso sono più basse, i limiti strutturali sono più facilmente superabili. Certamente la certezza del diritto e della tassazione e mercati finanziari flessibili ed efficienti sono elementi chiave.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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