l’intervista

Caroline Giegerich (IAB): “Dall’intelligenza artificiale sfide e opportunità per i brand, ma i creativi non moriranno”



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La Vice President AI & Marketing Innovation dell’Interactive Advertising Bureau spiega a EconomyUp come l’AI stia riscrivendo il marketing e la comunicazione digitale nelle aziende attraverso sfide da risolvere (la governance, la necessità di upskilling) e vantaggi, quali un forecasting più accurato. Ma la creatività umana resta fondamentale

Pubblicato il 4 nov 2025

Luciana Maci

Giornalista



Caroline Giegerich
Caroline Giegerich parla di marketing e AI

L’intelligenza artificiale ha portato un forte vento di cambiamento tra i brand, che cercano di stare al passo, affrontare le nuove sfide e cogliere tutte le opportunità. Ma come? Quali sono le criticità? E quali i trend del momento per quanto riguarda l’adozione dell’AI nelle aziende? Ne parla a EconomyUP Caroline Giegerich, Vice President AI & Marketing Innovation dell’Interactive Advertising Bureau (IAB), l’associazione internazionale che definisce standard, fa ricerca e tutela l’ecosistema della pubblicità digitale in raprresentanza di centinaia di aziende del settore.

Con oltre 20 anni di esperienza tra marketing e innovazione in realtà come Warner Music Group, HBO, Showtime e Smashbox Cosmetics, Giegerich oggi guida l’integrazione responsabile dell’AI nell’ecosistema pubblicitario. Sarà tra gli speaker di Intersections 2025, grande evento dedicato a marketing, comunicazione, creatività e tecnologia che si tiene a Milano (Allianz MiCo) il 5–6 novembre 2025.

Vediamo dunque quale visione questa giovane innovatrice di New York è in grado di dare sul variegato mondo dell’AI in azienda.


Dalla SEO alla “AI Engine Optimization”: perché anche i grandi brand non sono pronti

Dal suo osservatorio in IAB, come vede evolvere nei prossimi anni il rapporto tra i metodi di marketing tradizionali e l’innovazione guidata dall’intelligenza artificiale?

I cambiamenti nel marketing si muovono velocissimi, in modo esponenziale, e se oggi parli con un marketer ti dirà che il cambiamento più stressante è lo shift tecnologico dell’AI. Ne ho osservati e sperimentati tanti di cambiamenti in questi anni di lavoro: c’è sempre qualcosa di nuovo, ma in questo caso le cose cambiano così in fretta che i marketer non riescono a fare upskilling abbastanza rapidamente per prenderne il controllo.

Proprio oggi stavo parlando con l’esponente di un brand di come sta cambiando la search sui motori di ricerca: si passa da Google inteso come ricerca tradizionale alle risposte fornite da AI Overview e alle piattaforme basate su LLM (Large Language Models). Cosa significa? Questa persona mi raccontava che avevano appena finito di aggiornare tutte le pagine per la SEO e, ovviamente, lo hanno fatto troppo tardi, perché il meccanismo sta cambiando. E stiamo parlando di un grande brand. In molte aziende in cui ho lavorato non hanno nemmeno ottimizzato davvero la ricerca tradizionale: sembra strano, invece è la realtà del business. E ora queste imprese vengono investite da una serie di nuove esigenze sul fronte AI.

È un po’ come se stessimo andando a destra e improvvisamente oggi dovessimo girare a sinistra. In realtà è qualcosa di aggiuntivo più che sostitutivo, quindi non è così stressante come sembra. Ma credo che questo sia il primo, grande fronte su cui oggi i marketer si stanno interrogando.

Governance, team legale e ROI: l’AI è (anche) change management

Lei ha lavorato con clienti del calibro di Warner Music o HBO, aiutando i brand a sfruttare le nuove tecnologie per connettersi con il pubblico: qual è la prossima grande sfida nell’integrare queste tecnologie emergenti, oltre allo “shift” di cui hai già parlato?

Vedo diverse sfide. La prima è l’allineamento della leadership. “Allinearsi” non significa solo dire che useremo l’AI nel modo giusto nel marketing. In molte aziende vendite e marketing sono le aree dove l’AI è più presente e, se i team vanno in ordine sparso a testare strumenti senza coinvolgere le funzioni chiave, finiscono inevitabilmente contro un muro. Di solito quel muro è il team legal. Ed è giusto così: i legali devono chiedersi come proteggere la proprietà intellettuale e che cosa, eventualmente, addestrerà i modelli se decidi di portarli in casa. Se chiami il team legale quando stai per firmare un contratto, sei in ritardo: serve una task force fin dall’inizio.

La seconda sfida è l’upskilling: non basta formare un manager, va formata l’intera organizzazione. Se i team useranno questi strumenti, devono sapere come farlo. Questo, in sostanza, è change management. Nei reparti marketing, per esempio, se usi l’AI per creatività e concepting, cambia anche il modo in cui pensi alla struttura dei team: non per sostituire le persone, ma perché l’AI fa una cosa e gli umani ne fanno un’altra. È un ripensamento dell’organizzazione, non solo uno spostamento di competenze da A a B, e richiede tempo.

Infine, c’è il tema forse più importante: il ROI, ritorno sull’investimento, in un contesto macro piuttosto complesso che include dazi, regolamentazioni, e così via. Non tutte le soluzioni di AI generano un ritorno immediato: alcune sono abilitanti, altre richiedono cicli più lunghi. Questo può rallentare le aziende nel percorso di adozione.

Attenzione alle micro-aree dove si fa innovazione

Quali sono le lezioni più sorprendenti che ha imparato aiutando i grandi brand a innovare? Cosa ha trovato di davvero interessante, dirompente?

La cosa più illuminante, lavorando con i brand, è rendersi conto di quante iniziative nascano in piccoli “pocket” o silos. Ci si immagina che le grandi aziende abbiano a disposizione tutti gli strumenti del mondo, ed è vero, ma una sfida ricorrente è che molte innovazioni restano confinate in micro-aree dell’organizzazione e poi è difficile scalarle.

Quando dicevo che i team legali possono bloccare un processo, è vero anche il contrario: i legali giusti, quelli che si ritengono e sono dei problem solver, diventano abilitatori straordinari. Ne ho incontrati diversi; l’esempio migliore che mi viene in mente è HBO, dove il team legale era un partner che permetteva alle cose di accadere.

Prevedere il comportamento: dal churn agli insight che non si vedevano

Entrando più nel dettaglio, in che modo l’AI può aiutare i marketer a fare previsioni più accurate sul comportamento dei clienti?

L’AI è ottima nel forecasting del comportamento. Ho lavorato in aziende subscription-based, basate sull’abbonamento, per esempio in Showtime: lì ho imparato che lo streaming vive di ricavi ricorrenti, quindi individuare in anticipo chi rischia il churn, l’abbandono della piattaforma da parte del cliente, è fondamentale. Prima i segnali erano scarsi, ad esempio “Tizio è andato sulla pagina di cancellazione”. Oggi i modelli analizzano molte più tracce: quanto spesso entri nel servizio, quante ricerche fai, se navighi nell’interfaccia senza trovare nulla e abbandoni… Collegando tutti questi punti si può capire se sei un cliente a rischio abbandono, e questo per un marketer vale oro.

Altro esempio: in Warner Music Group lavoravamo con Megan Thee Stallion, rapper di Houston. Nell’ultimo album ha iniziato a muoversi in nuovi territori, cantando anche in giapponese. L’AI è in grado di analizzare le correlazioni tra la fanbase esistente e i nuovi pubblici, misurando intersezioni e sovrapposizioni: è proprio su questi insight che l’AI eccelle.


Creatività: l’AI è un “remixer”, il gusto resta umano

Con l’ascesa dell’AI generativa, crede che l’intelligenza artificiale finirà per sostituire i processi creativi nel marketing?

No. Io la vedo come un remix agent. L’AI è come avere due vinili sui giradischi e fare scratch: rimescola materiale esistente – è addestrata su Internet – e genera varianti, ma non “compone” davvero un disco nuovo. La creatività autentica è gusto, consapevolezza culturale, capacità di sorprendere: pensate a Squid Game su Netflix, un successo che nemmeno chi lo distribuiva aveva previsto. L’AI può restituire ciò che le chiedi, ma i fili del pupazzo li tieni tu. In questo senso, gli umani restano insostituibili nella direzione creativa. L’AI è fortissima in molte altre cose, ma questa non è, almeno per ora, la sua dote principale.


Prossimi 12 mesi: AI-commerce, attribution e… pubblicità alle macchine

Guardando al prossimo futuro, quali trend dell’AI avranno l’impatto più significativo sul marketing, diciamo entro un anno?

Parlare de “l’anno prossimo” fa sorridere: oggi ti dico cosa vedo, ma tra un mese potrei già smentirmi, perché tutto si muove velocissimo. Il tema più grande su cui sto lavorando con una collega focalizzata su commerce media è l’intersezione tra AI e commerce: oggi gli assistenti vengono usati soprattutto per awareness e consideration (“quali opzioni ho?”), non ancora per completare davvero l’acquisto. Ma siamo alla soglia di una nuova fase, come quando nacque l’home banking.

Questo porta a un secondo punto: i dati diventano il “trono d’oro”. Chi ne possiede di più e li protegge meglio parte avvantaggiato. Non a caso realtà come Amazon non permettono lo scraping ai LLM: è una forza potenzialmente dirompente per il settore.

Terzo: l’attribution. Se la ricerca, la scoperta e persino l’acquisto si spostano dentro gli LLM, come misuriamo il merito? Non l’avevamo risolta del tutto nemmeno prima. Se, per ipotesi, si arrivasse a comprare una Ferrari in ChatGPT, dove finisce il referral? ChatGPT non ti dà traffico di provenienza. È un terreno tutto da definire, e ci sto ragionando moltissimo.

Infine, l’idea dell’advertising to machines: se a scegliere saranno agenti e sistemi, come cambiano creatività e media buying? È uno scenario molto interessante. Vedremo già entro un anno che direzione prenderà, e magari fra dodici mesi direte che mi sbagliavo su tutto. Ma spero di no.

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