IMPRENDITORIA

Analytics Economy, che cos’è e perché è importante per rendere le aziende più competitive

La capacità di analizzare i dati e tradurli in informazioni utili al business sta diventando sempre più importante per le imprese che vogliono prevalere sui competitor. Se ne è parlato a un convegno di SAS Italy. Il Ceo Marco Icardi: “Oggi la sfida più critica è elaborare le informazioni dove vengono generate”

Pubblicato il 05 Dic 2017

Nicoletta Boldrini

Giornalista

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L’Analytics Economy è quel nuovo paradigma economico dove le capacità di analisi dei dati e di traduzione del loro valore in informazioni utili al business vengono portate là dove i dati realmente si generano e non più centralizzate all’interno dei data center aziendali. Un cambio di paradigma che non può “ridursi” a mere scelte tecnologiche ma che necessita di essere affrontato attraverso le adeguate strategie, approcci metodologici corretti e le necessarie competenze.

Questi, in estrema sintesi, i messaggi chiave emersi nel corso della serata che SAS Italy ha voluto dedicare ad alcuni clienti e prospect, chiamati ad un confronto e dibattito aperto sul tema dell’Analytics Economy e che sono stati accolti dal numero uno dell’azienda, Marco Icardi, Regional Vice President di SAS e Ceo di SAS Italia, il quale ha esordito dicendo: «I dati sono il vero fulcro su cui si può basare la differenziazione sul mercato di un’azienda e la capacità intellettuale di analizzarli, di modellarli bene, fa la differenza. Secondo me il binomio che oggi porta un’azienda al business digitale è dato da “dati e analisi” (modelli) e la differenziazione di valore delle aziende (che prima si basava sull’innovazione di prodotto) oggi diventa sempre di più basata sulla capacità di elaborare in maniera dinamica i dati e le informazioni».

Marco Icardi, Ceo, Sas Italia
SAPER INTERPRETARE I DATI SIGNIFICA POTER INNOVARE, MA SERVONO LE GIUSTE COMPETENZE

«Oggi il tema dell’innovazione va visto non tanto nell’accezione delle invenzioni quanto in quella della capacità per le aziende di trasformarsi per adottare tali innovazioni (quindi con un risvolto sociale ed organizzativo importante). Oggi l’innovazione è “a pinna di squalo”, quando arriva è un Big Bang!», è il motto “rompi ghiaccio” di Stefano Mainetti, Ceo dell’incubatore d’impresa e startup PoliHub e professore del MIP – School of Management del Politecnico di Milano, il quale, dopo aver mostrato risultati incoraggianti dell’Italia in mercati come quello dell’IoT, della Mobility e degli Analytics, ha aggiunto: «Certo il cambio di passo, soprattutto nell’ambito degli Analytics, non è semplice. Tutte le aziende sono in grado oggi di fare analisi descrittive – commenta Mainetti – ma quando si deve fare il salto verso le analisi predittive o ancor di più verso quelle prescrittive o totalmente automatizzate, i percorsi si complicano e le aziende devono far fronte a sfide che non sono solo tecnologiche ma anche organizzative e, soprattutto, legate alle competenze. Non stupisce dunque che quasi la metà delle aziende italiane che abbiamo monitorato quest’anno prevede, per il 2018, di inserire nel proprio staff almeno un Data Scientist».

Guardando in prospettiva al vicino futuro che ci attende, «è chiaro che le tecnologie legate agli Advanced Analytics e all’Intelligenza Artificiale fanno parte di quelle tendenze di innovazione dove le aziende stanno riponendo le maggiori “speranze” per il loro cambiamento organizzativo e di business», invita a riflettere in chiusura Mainetti.

«Ignorare questi fenomeni o non percepirli correttamente all’interno delle nostre aziende ci posiziona un passo indietro ai competitor», è il monito di Icardi. «Oggi ancor di più ove la variazione dei dati e la capacità di elaborazione dell’enorme volume di dati, prodotti dai sensori e dai dispositivi IoT, aprono nuove sfide di gestione e analisi dei dati in tempo reale. Sfide che richiedono piattaforme tecnologiche che viaggino in cloud, che abbiano il real-time, che permettano l’instant processing dei dati che arrivano dai “generatori di informazioni” (sensori, dispositivi vari, macchine, “cose”). La sfida forse più critica è riuscire ad elaborare le informazioni là dove esse vengono generate: è questo il tipo di visione prospettica che devono avere le aziende che intendono percorrere una strada nel percorso digitale».

Una strada che tecnologicamente è percorribile solo con piattaforme aperte, fa notare Icardi in chiusura: «Nessuno di noi credo possa più avere la presunzione di incorporare piattaforme, competenze e servizi in un verticale complessivo e nessuno di noi può avere la pretesa di fare tutto da solo e “in casa”. Oggi la sensoristica richiede ingegneria di un certo punto, la connettività è un’altra competenza e tecnologia, la capacità di elaborare i dati in modo dinamico è un’altra ancora. Il tutto richiede un complesso sistema con diversi strati di tecnologia e servizi e competenze multidisciplinari per elaborare le informazioni e contestualizzarle nel processo di business dove servono».

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