Negli ultimi trent’anni il mondo ha vissuto una trasformazione tecnologica senza precedenti, ma la velocità del cambiamento non è stata la stessa in ogni parte del globo. L’Europa, e in particolare l’Italia, sono rimaste spesso ai margini della corsa all’innovazione. A ricordarlo è Alec Ross, esperto internazionale di innovazione e intelligenza artificiale, intervenuto all’AI Operations Forum 2025 organizzato il 22 ottobre 2025 da Bonfiglioli Consulting presso gli IBM Studios di Milano. La sua riflessione non è un elogio della tecnologia, ma una critica costruttiva a un modello economico europeo che troppo spesso ha scelto la prudenza invece dell’investimento.
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L’Europa tra due potenze e un ruolo da arbitro
Ross osserva che negli ultimi trent’anni i due grandi protagonisti dello sviluppo tecnologico globale sono stati gli Stati Uniti e la Cina, mentre l’Europa “ha giocato il ruolo dell’arbitro”. Una metafora che sintetizza il senso di esclusione dal campo da gioco dell’innovazione: “Fischiamo i falli, mostriamo cartellini gialli, ma l’arbitro non vince mai”.
Dietro questa immagine c’è un’analisi economica precisa. I dati sulla crescita del PIL corretto per l’inflazione mostrano come l’Italia, ad esempio, si collochi al 182° posto su 196 Paesi sovrani per crescita composta negli ultimi decenni. I salari sono rimasti sostanzialmente fermi dai primi anni Novanta, a dimostrazione di un modello di sviluppo stagnante. Per Ross, questo non è solo un problema economico, ma soprattutto culturale: la tendenza a frenare di fronte al cambiamento, a parlare continuamente di “crisi”, invece di riconoscere le opportunità che l’innovazione offre.
La paralisi da analisi e il bisogno di una nuova cultura del rischio
Secondo Ross, uno dei tratti più radicati nella cultura economica italiana ed europea è la “paralisi da analisi”. Un atteggiamento che porta le imprese a rimandare decisioni strategiche, attendendo certezze che in un mondo in rapido mutamento non possono esistere. “La parola più abusata nella lingua italiana è ‘crisi’. E le tre parole più abusate sono ‘dobbiamo stare attenti’”, afferma.
Ross contrappone a questa prudenza cronica una visione fondata sul coraggio dell’investimento: “No, non dobbiamo stare attenti, dobbiamo investire”. È una provocazione rivolta non solo alle istituzioni ma anche alle imprese che, nel timore dell’errore, rinunciano a sperimentare. La sua prospettiva nasce dall’esperienza diretta nel mondo dell’innovazione: con oltre 900 milioni di dollari investiti in startup su cinque continenti, Ross ha osservato come i mercati più dinamici siano quelli capaci di accettare il rischio e di imparare dagli insuccessi.
Comprendere l’intelligenza artificiale oltre la generativa
Per invertire la rotta, sostiene Ross, l’Europa deve partire da una comprensione reale dell’intelligenza artificiale, che non si esaurisce nella sola dimensione generativa. L’esperto distingue quattro forme di AI, ciascuna con un diverso potenziale economico e industriale:
La prima è l’AI percettiva, che interpreta dati sensoriali come immagini, suoni e testi, permettendo applicazioni come il riconoscimento facciale o la traduzione automatica.
La seconda, più nota, è l’AI generativa, che produce contenuti nuovi — testo, immagini, audio — sulla base di dati preesistenti. Ross sottolinea come questa categoria, rappresentata dai grandi modelli linguistici, domini oggi il dibattito pubblico, ma sia solo una parte del quadro.
La terza, destinata a crescere rapidamente, è l’AI agentica, che “acquisisce la capacità di ragionare, pianificare e agire in modo autonomo”. Non si limita a fornire risposte ma compie azioni: prenota viaggi, ottimizza processi, prende decisioni operative.
Infine, l’AI fisica, che connette intelligenza e robotica, consente a macchine e veicoli di percepire e interagire con il mondo reale. Ross prevede che “in dieci anni oltre il 50% dei viaggi in auto negli Stati Uniti sarà autonomo”, a testimonianza di un cambiamento radicale nei settori produttivi e logistici.
Per l’Europa, il potenziale di queste tecnologie è particolarmente rilevante nel manifatturiero e nei beni industriali, ambiti dove automazione e AI possono rilanciare competitività e sostenibilità.
Un caso concreto: quando il coraggio dell’investimento genera valore
Per dare sostanza alle sue riflessioni, Ross cita un caso industriale italiano. Un’azienda familiare di medie dimensioni, produttrice di tappi, ha deciso nel pieno della pandemia di investire massicciamente nell’intelligenza artificiale invece di fermarsi in attesa della ripresa. L’obiettivo era triplice: gestione remota delle linee produttive, riduzione degli scarti e manutenzione predittiva.
Attraverso sistemi di monitoraggio avanzati, l’azienda è riuscita a ottenere visibilità in tempo reale sulle proprie fabbriche in tutto il mondo e a prevedere guasti prima che si verificassero. Il risultato è stato un raddoppio dei margini senza ricorrere a licenziamenti, accompagnato da un piano di formazione tecnologica estesa a tutti i dipendenti, dal personale amministrativo agli operai.
“Abbiamo detto ai nostri lavoratori: potete diventare maestri o schiavi di queste tecnologie. E abbiamo scelto di prepararli”, racconta Ross. È un esempio emblematico di come la tecnologia non sia un fine, ma un mezzo per rafforzare il capitale umano e migliorare la produttività.
Formazione e visione: le vere basi degli investimenti nell’intelligenza artificiale in Europa
Dalle parole di Ross emerge una linea guida chiara: senza formazione diffusa e coraggio di investimento, l’Europa continuerà a essere spettatrice dell’innovazione globale. L’adozione dell’AI non è solo una questione di budget o infrastrutture digitali, ma di mentalità.
Il caso della manifattura italiana dimostra che anche una media impresa può trasformare la propria competitività se affronta il cambiamento con una visione strategica e investe in competenze. Come afferma Ross, “la macchina può segnalare un problema prima che accada, ma serve una persona capace di interpretare e gestire quella informazione”.





