Adesso lo dice anche Draghi: l’Italia incapace di cogliere le opportunità della rivoluzione digitale

Nella lettera che accompagna in Consiglio dei Ministri il Recovery Fund il premer Mario Draghi è impietoso: la pandemia ha trovato un paese debole, poco produttivo, che penalizza giovani e donne e poco attento alla trasformazione tecnologica, soprattutto per mancanza di investimenti. Ora l’ultima chance prima del declino

Pubblicato il 24 Apr 2021

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La pandemia ha solo dato l’ultima spinta perché il virus ha trovato un Paese debole e poco reattivo, soprattutto perché non ha saputo cogliere le opportunità della rivoluzione digitale. La diagnosi del presidente Mario Draghi è implacabile nel testo – rivelato da il Foglio – che introduce il Recovery Plan al Consiglio dei ministri, prima che venga presentato al Parlamento e poi, il 30 aprile, inviato alla Commissionen europea.

Il Recovery Fund rappresenta l’occasione, forse l’ultima, per recuperare ritardi decennali e riallinearsi con i ritmi di crescita europei e lo fa puntando circa la metà delle risorse su transizione digitale ed ecologica. Accelerazione tecnologica e sostenibilità sono quindi le due leve individuate per la ripartenza e guarire i mali che “rischiano di condannare l’Italia a un futuro a bassa crescita da cui sarà sempre più difficile uscire” (parole del premier).

Non sarà un’operazione indolore e, del resto, Draghi lo aveva detto subito, a metà febbraio, in occasione del suo discorso di insediamento al Senato:  “Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente”. Dopo due mesi di lavoro il programma è pronto e l’analisi è molto più dettagliata.

Italia, una crisi che comincia ben prima del Coronavirus

L’Italia è rimasta ferma alla fine del secolo scorso. Tra il 1999 e il 2019 il pil è cresciuto in totale del 7,9%. Appena un quarto rispetto a Germania e Francia (che stanno tra il 30 e il 32%) e ancora meno della Spagna (+ 43,6%).  Inevitabile che in questo scenario a pagare il prezzo più alto siano giovani e donne, tagliati fuori dal sistema produttivo: abbiamo molti più Neet (non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione) che in Europa e una partecipazione delle donne al lavoro ben al di sotto della media continentale.

Italia, l’incapacità di cogliere le opportunità della “rivoluzione digitale”

L’Italia è un Paese poco produttivo e se  questo succede è perché ha tardato ad adottare le tecnologie digitali, parola di premier. “Negli ultimi 20 anni, dal 1999 al 2019, il pil per ora lavorata è cresciuto del 4,2 % mentre in Francia e Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3&” scrive implacab ile Draghi. E perché questo succede? “Tra le cause del deludente andamento della produttività c’è l’incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale”, è la risposta di Draghi che attribuisce la mancata digitalizzazione  alla struttura del sistema nazionale fatto di troppe piccole e medie imprese.

Ovviamente si prende uno scappellotto anche la Pubblica Amministrazione: “”Prima dello scoppio della pandemia, il 98,8% dei dipendenti dell’amministrazione pubblica in Italia non aveva mai utilizzato il lavoro agile. Anche durante la pandemia, a fronte di un potenziale di tale modalità di lavoro nei servizi pubblici pari a circa il 36%, l’utilizzo effettivo è stato del 33%, con livelli più bassi di circa 10 punti percentuali nel Mezzogiorno”.

Le riforme necessarie per incoraggiare gli investimenti in innovazione

Come siamo arrivati a questo punto? Il ritardo italiano è legato al calo degli investimenti pubblici e privati con il conseguente rallentamento della modernizzazione della pubblica amministrazione, delle infrastrutture e delle filiere produttive. È come se l’Italia avesse continuato a vivacchiare mentre gli altri vivevano bene. “Nel ventennio 1999-2019 gli investimenti totali in Italia sono cresciuti del 66% a fronte del 118% della zona euro” scrive Draghi nella sua sintetica ma efficae radiografia di un Paese in declino. Siamo andati avanti con la metà del carburante delle altre economie europee e, quindi, il virus ci ha fatto molto più male.

Le riforme di contesto , ma serie e strutturali, adesso servono da una parte per migliorare la spesa della pubblica amministrazione e dall’altra per “incoraggiare e i capitali privati verso investimenti e innovazione”. Quali sono?  Pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza.

Sono quasi diventati miraggi, queste riforme. Non è certo la prima volta vengono proiettate sullo schermo della politica. Ma questa non è la solita volta. Il messaggio del premier è chiaro: le risorse del Next Generation EU sono una grande opportunità ma, da sole, non sono la soluzione di tuti i mali del Paese. Possono essere il turbo che fa ripartire un motore messo a punto e in grado di riprendere a girare. Se il motore resterà lo stesso, la spinta si esaurirà presto e gli effetti spariranno rapidamente.

Innovazione digitale e transizione ecologica i pilastri del Recovery Fund

In Consiglio dei ministri arriva un piano che riserva buona parte delle risorse a tecnologia e sostenibilità. A trasformazione digitale della PA e del sistema produttivo, turismo e cultura 4.0 sono assegnati 48,925 miliardi di euro. Alla transizione ecologica, che è la missione più grande,  69,1 miliardi di euro.  E dentro questa missione, così come nel capitolo Infrastrutture,  c’è molta innovazione e tecnologia: economia circolare, mobilità sostenibile, transizione energetica e riqualificazione degli edifici.

Si preparano anni straordinari. L’Italia è il Paese che più riceve all’interno del Next Generation EU, ricorda ancora Draghi., che rassicura: il Paese non è destinato al declino, ma se non saprà cogliere questa opportunità generata da una tremenda crisi sanitaria rischia di scivolare verso un futuro a bassa crescita. Parola di Mario Draghi.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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