Fintech, i fondi globali guardano all’Italia

Matteo Rizzi, partner del fondo inglese di venture capital SBT e ideatore del format FinTechStage, spiega perché l’evento di networking tra startup, banche e investitori si tiene per la prima volta a Milano, in Unicredit. «Questo è il Paese delle Pmi: pagamenti digitali e prestiti alternativi sono grandi opportunità»

Pubblicato il 30 Mar 2015

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Matteo Rizzi, co-founder di FinTechStage

FinTechStage è una piattaforma globale che fa incontrare investitori, startup e banche per creare e supportare business nel settore fintech. Il format è nato a fine 2014 da un’idea di Matteo Rizzi, 45 anni, esperto di tecnologie applicate ai servizi finanziari e general partner del fondo di venture capital SBT.

La prima edizione europea di quest’iniziativa, sponsorizzata da UniCredit, si è aperta il 30 marzo a Milano presso l’UniCredit Tower e prosegue il 31 marzo. A spiegare a EconomyUp la genesi del progetto e i suoi obiettivi è il co-founder Matteo Rizzi.

Chi è Matteo Rizzi e come è nato FinTechStage?
Sono il classico expat italiano. Vivo fuori dall’Italia da quando avevo 21 anni. Ho cominciato con l’Erasmus, ho vissuto e lavorato a Parigi, Milano, Amsterdam, Madrid e Bruxelles, dove mi trovo tuttora. Mi sono dedicato da subito alle nuove tecnologie. Ho creato Italiansonline, poi ereditato da Beppe Severgnini nel suo Italians. Ho fondato un paio di social network per il business e ho lavorato per 13 anni per la piattaforma Swift. Nel 2013 sono diventato partner del fondo SBT Venture Capital, da 100 milioni di dollari, che investe sulle tecnologie dedicate ai servizi finanziari. E l’anno scorso, il 4 dicembre 2014, ho creato FinTechStage, con un’idea: creare un ecosistema fintech valido per più Paesi in cui gli innovatori delle banche, gli investitori e le startup si potevano ritrovare.

Il modello è nato a Londra ma la prima edizione è in Italia, a Milano. Perché questa scelta?
Londra, grazie a una decisione strategica del governo e di molte banche è diventata il polo globale del fintech. Molte società basate a Singapore, Hong Kong e New York si ispirano a questo modello. E io ho pensato che un ecosistema di questo tipo potesse essere creato in molti Paesi europei. La partenza del progetto è quindi nella capitale inglese ma abbiamo scelto Milano per più motivi: perché mi sembra doveroso restituire qualcosa all’Italia e perché credo che anche qui ci sia una community di persone che pensano che i servizi finanziari vadano pensati diversamente e che le banche, in alcuni casi, non hanno l’agilità per essere protagonisti di questo cambiamento e hanno bisogno delle startup per ispirarsi, fare partnership e investire. Non a caso, ci sono già diversi istituti bancari globali che hanno creato un fondo ad hoc per investire in progetti fintech. Le prossime due date saranno a Barcellona e in Lussemburgo.

Come funziona il format?
È diviso in due parti. La prima, che potremmo definire FinTechStage “insider” prevede che gli esponenti delle tre comunità che invitiamo – banche, investitori e startup – si conoscano e si confrontino in un pomeriggio. La seconda, il giorno dopo, in cui l’evento si apre un po’ di più e si arriva a circa 200 persone.

Qual è la specificità del FinTechStage rispetto ad altri eventi del settore?
In FinTechStage il networking è dichiaratamente il punto di forza. Ci sono occasioni in cui il networking è lasciato all’intraprendenza, alla popolarità e alle conoscenze delle singole persone. Noi invece facciamo in modo di invitare le persone in base a ruoli e argomenti e aiutiamo ogni invitato a fare rete con i propri pari.

Da esperto della scena fintech, come giudica il panorama italiano?
L’Italia segue uno schema abbastanza comune nei Paesi più evoluti da questo punto di vista. Italia, Spagna, Francia, Germania, Svizzera e Olanda sono tutte più o meno allo stesso punto in questo settore. Ovunque cominciano a svilupparsi startup, acceleratori, incubatori, spazi dedicati. Il finteci inizia essere una nicchia ben definita, in cui l’Italia gioca un ruolo importante.

Ma si fanno investimenti?
L’Italia non è particolarmente indietro da questo punto di vista. Anzi, ci sono vari Paesi che non hanno capitali dedicati al fintech. E parlo di fondi di un certo peso, non di business angel o family office. Ci sono vari fondi internazionali che non hanno limiti geografici e che investono in diversi Paesi europei. E in questa lista è assolutamente compresa l’Italia. Per esempio, lo stesso fondo di cui sono partner ha investito in 8 Paesi differenti. Non ancora in Italia, ma ci sono un paio di startup, di cui non posso fare il nome per ovvi motivi, a cui stiamo guardando con estremo interesse.

Dal suo punto di vista, quindi, nel fintech l’Italia è sulla stessa fila di altri Paesi europei importanti…
Sì, perché nella scena bancaria italiana ci sono grandi gruppi come UniCredit, ma anche come Intesa Sanpaolo o altri…, che sono player globali. In generale, poi, se un fondo fintech si trova davanti una startup che ha piani di espansione a livello internazionale, non se la lascia scappare. E l’Italia, da questo punto di vista, è pienamente in target. E poi ci sono delle peculiarità…

Quali?
L’Italia, come è noto, è il Paese delle Pmi. Con le nuove regole sull’automazione dei pagamenti, per esempio, i mobile pos sono diventati un’opportunità grandissima. Oppure, davanti ai problemi di accesso al credito, le forme di prestito alternativo, dal crowdfunding al social lending, possono diventare sempre più diffuse. Insomma, lo spazio per il fintech è ampio. E il FinTechStage serve proprio alle startup che hanno bisogno di investimenti e vogliono espandersi in Paesi come Francia, Spagna, Germania in cui è più difficile trovare una community fintech di riferimento.

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