Attore protagonista dell’innovazione 2017? Oscar al bitcoin, sulla scena fino alla fine

Mai come quest’anno si è parlato della moneta virtuale più famosa al mondo: il valore è salito a ritmi vertiginosi per poi crollare fino al 40% prima di Natale . Per questo in tanti la ritengono una bolla pronta a esplodere. Ma crescono gli investitori che ne apprezzano il valore. E c’è già chi è diventato miliardiario

Pubblicato il 23 Dic 2017

Libra, Diem e le criptovalute di Facebook-Meta

And the winner is… Bitcoin. È  quasi scontato assegnare l’oscar come attore protagonista dell’innovazione digitale 2017 al Bitcoin. Perché la criptomoneta più famosa al mondo è stata, nel bene e nel male, uno degli argomenti più discussi dell’anno che sta per concludersi. Fino alla fine.

Il motivo è innanzitutto legato al suo valore: da inizio anno, infatti, il bitcoin è andato crescendo, passando dai 997 dollari della prima settimana di gennaio, ai quasi 16mila dollari di qualche giorno fa, con un picco che ha sfiorato il tetto dei 20mila domenica 17 dicembre. Poi però, il 22 dicembre, la brusca frenata: il bitcoin è crollato sotto quota 11mila dollari, arrivando a perdere fino al 40% del valore.

La notorietà del bitcoin è anche legata a una delle sue caratteristiche principali: la volatilità, ovvero la capacità del titolo di oscillare repentinamente in relazione a determinate circostanze. Comportamenti di questo tipo sono quasi all’ordine del giorno e spingono analisti, esperti del settore e addetti ai lavori a chiedersi se i bitcoin siano un fenomeno finanziario rivoluzionario o solo una bolla pronta a esplodere. Uno dei principali oppositori dei bitcoin è Jamie Dimon, amministratore delegato della banca d’affari americana Jp Morgan che, lo scorso settembre durante un’intervista, ha definito i bitcoin “una truffa” e bollato come “stupidi” coloro i quali si ostinano a investirci, minacciando inoltre di licenziare chiunque dei suoi dipendenti provasse a fare trading con le criptovalute. Qualche giorno dopo però si è scoperto che proprio Jp Morgan, in un momento di crollo dei bitcoin, è entrata nel mercato per acquistare le criptovalute per i suoi clienti, tramite una piattaforma di exchange traded note (Etn), Xbt, quotata alla borsa di Stoccolma. Una mossa che ha fatto subito sospettare che le parole di Dimon facessero in realtà parte di una strategia mirata.

Un altro colpo basso alla stabilità finanziaria dei bitcoin nel 2017 è stato assestato lo scorso settembre. In quell’occasione il governo cinese decise di bloccare le ICO (Initial Coin Offering), il sistema di raccolta fondi tramite le criptovalute, definendo illegale questa tipologia di finanziamento. Il motivo? Secondo Pechino le ICO rappresentano «una minaccia per l’ordine economico e finanziario del Paese». Questo intervento portò subito a una ricaduta sul valore dei bitcoin i quali subirono una, seppur lieve, flessione passando da 4,571 a 4,256 dollari nel giro di qualche giorno.

Un monito ufficiale è arrivato di recente dall’Unione europea. Il vicepresidente della Commissione Ue responsabile per l’euro, Valdis Dombrovskis, ha messo in guardia contro i rischi connessi alla criptovaluta. “Gli investitori – ha detto – devono sapere che il prezzo del Bitcoin può cadere in qualsiasi momento”. Quindi ha chiesto alle autorità di supervisione come Eba (banche) e Esma (mercati) di essere più chiari perché “ci sono evidenti rischi per investitori e consumatori, associati alla volatilità dei prezzi”.

A vederla così sembra più una battaglia tra vecchia e nuova finanza: da un lato le istituzioni e i grandi istituti di credito attenti a mantenere l’ordine costituito, dall’altra gli innovatori visionari, pronti a gridare alla “rivoluzione” in nome di una finanza più accessibile. Eppure un punto di incontro tra queste due realtà sembra possibile. A rappresentarlo potrebbe essere il lancio di futures (contratti derivati che impegnano gli investitori ad acquistare o vendere, a una data futura una determinata quantità di merce o attività finanziaria a un prezzo prefissato) sui bitcoin al Chicago Board Options Exchange (CBOE), avvenuto lo scorso 11 dicembre. A dare il via libera ai contratti derivati per bitcoin è stata la Commodity Futures Trading Commission, l’organismo Usa che sovrintende ai derivati.

L’esordio sui mercati regolamentati dei bitcoin è stato però accolto con un certo scetticismo dalle banche, le quali continuano a esprimere forti timori sulla tenuta della criptomoneta. A tal proposito Deutsche Bank ha di recente inviato ai propri clienti un elenco dei rischi significativi per il mercato nel 2018. Al tredicesimo posto di questa lista compare la voce “esplosione della bolla bitcoin”.

Intanto tra la diffidenza generale c’è già chi ha fatto fortune con i bitcoin. Ricordate i gemelli Winklevoss? Sono i due fratelli che intentarono (e vinsero) una causa contro Mark Zuckerberg, per furto di proprietà intellettuale, a seguito della creazione di Facebook (David Fincher ha ricostruito magistralmente la vicenda nel film “The Social Network”). Da quella causa Tyler e Cameron Winklevoss ottennero 65 milioni di dollari, di cui una parte (11 milioni) venne reinvestita in 100mila bitcoin, che all’epoca (era il 2013) valevano 120 dollari l’uno. Grazie a quell’investimento i due atleti statunitensi oggi hanno racimolato un capitale complessivo che supera il miliardo di dollari.

Una cosa è certa, di bitcoin si parlerà ancora a lungo e non sarà facile ipotizzare cosa succederà da qui a qualche anno. Anche se c’è chi azzarda già delle ipotesi: secondo quanto riporta il Wall Street Journal, infatti, un gruppo di investitori anonimi avrebbe puntato un milione di dollari sulla probabilità che il bitcoin, tra un anno, raggiungerà quota 50mila dollari. Non ci resta che aspettare e scoprire come va a finire.

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Fabrizio Marino
Fabrizio Marino

Sono stato responsabile della sezione Innovazione e Tecnologia de Linkiesta, ho gestito la comunicazione di Innogest, sono Content Creator per PoliHub. Per EconomyUp mi occupo di innovazione e startup.

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