Scenari economici

La recessione è finita ma il 2016 non sarà l’anno della ripresa

Tempo di bilanci. Il 2015 ha confermato che siamo in una stagnazione globale (o secolare). In Europa, e in Italia, sembra emergere un’inversione di tendenza. Ma le crisi economiche richiedono tempi lunghi per smaltire i propri effetti negativi

Pubblicato il 10 Dic 2015

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Credo che per poter arrivare ad un bilancio interessante e ad una previsione rilevante occorra rifuggire da tabelle e percentuali (ciò detto, io ne propongo un paio per gli affezionati del dato). Per capire dove siamo parto dalla considerazione che dal 2008 ad oggi non abbiamo visto in nessun Paese al mondo, e men che meno in Europa, i tassi di crescita cui eravamo abituati pre-2007. Di più: da un anno almeno la crescita delle cosiddette economie emergenti è in forte rallentamento, e il motore del giocattolo che girava perché Cina e Brasile crescevano sembra in gravi difficoltà. Dal che, previsioni non proprio ottimistiche sulla crescita 2016 a livello mondiale: meno pessimistiche sui Paesi ad alto reddito pro capite, più pessimistiche sulle economie emergenti e i Paesi in via di sviluppo (espressione quest’ultima che era venuta scomparendo durante gli anni del grande ottimismo, ma che da qualche tempo abbiamo ricominciato a leggere).

Il 2015 è stato l’anno in cui queste considerazioni si sono rivelate corrette nella forma più nitida. Il Brasile è in crisi profonda, politica oltre che economica; la Cina continua a crescere ma a tassi ben inferiori a quelli cui ci aveva abituati e che aiutavano a sostenere la domanda mondiale –e anche di questi tassi più bassi va di moda dire che sono troppo alti, non credibili, inflazionati come sono dai gerarchi del partito. La caduta dell’attività cinese ha trascinato in stagnazione gran parte del sud est asiatico, talvolta in una forte deflazione, come in Vietnam, paese caratterizzato a memoria d’uomo da tassi di inflazione altissimi.

Dunque, senza timore di violentare definizioni tecnicamente irreprensibili, io parlo di stagnazione globale. Con tutte le differenze possibili da Paese a Paese, certo, ma stagnazione globale è. Colleghi statunitensi di valore parlano addirittura di stagnazione secolare. Pochi gli europei che usano l’espressione, ovviamente, visto che maggioranza di loro era occupata in questi anni a santificare le politiche recessive dei governi europei e trovandosi ora sul piatto esattamente ciò che hanno voluto.

Due sono le teorie che trovo interessanti per spiegare la recessione attuale. Che poi è una, perché il suo fondamento accomuna economisti Keynesiani ed economisti ‘del mercato’, cioè vicini agli operativi. Entrambe queste figure dicono che la ripresa mondiale non c’è per assenza di domanda aggregata. Gli economisti delle case finanziarie aggiungono poi che questa scarsità di domanda di beni e servizi è dovuta alla massa ingente di debito esistente, talmente grande che chi avrebbe la possibilità di dare a prestito aspetta a farlo fino a che il processo di sdebitamento (deleveraging) non sia andato ancora avanti per un po’. Questa è la tesi che nel linguaggio di tutti i giorni esprimiamo con espressioni tipo “le banche i soldi li hanno, ma non li danno a prestito”.

La seconda versione della teoria è quella della stagnazione secolare. La quale sostiene anch’essa che la stagnazione è dovuta alla scarsità di domanda aggregata, scarsità che riconduce però essenzialmente a tre cause strutturali: riduzione della natalità, stagnazione dell’innovazione e conseguente caduta della produttività, riduzione della propensione al rischio imprenditoriale.

E allora, questo bilancio 2015? Beh, sembra essere l’anno in cui perfino gli italiani possono finalmente smetterla di parlare di recessione (finalmente perché dal 2008 gli Usa ne hanno vissuta una, di recessione, l’Europa due, l’Italia tre). Ma allora il 2016 sarà l’anno della ripresa?

Figura 1: Tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo reale, crescita percentuale rispetto all’anno precedente (per gli anni 2015 e 2016, i tassi di crescita sono stati stimati)

Fonte: Commissione Europea, Autumn Forecast, novembre 2015

No. Le crisi economiche sono il risultato di lunghi periodi di gestazione, esplodono inattese e violente, e richiedono tempi assai lunghi per smaltire i propri effetti negativi. E questo tanto più in quei casi in cui la crisi, inizialmente limitata ai paesi ad alto reddito pro capite, si trasmette nel tempo ai motori della crescita mondiale, Brasile e Cina come dicevamo.

Tutti gli indicatori macroeconomici globali negano che sia visibile all’orizzonte una ripresa degna di questo nome. Che piaccia la teoria della stagnazione secolare o quella dello sdebitamento che richiede tempi lunghi, il fatto è che i paesi ad alto reddito pro capite stanno crescendo poco, e anche quel poco non sembra assicurato a causa della caduta drammatica della crescita delle economie emergenti. A me, a cui piace la teoria della stagnazione secolare, sembra stiano ormai prevalendo trasformazioni importanti delle economie nazionali da come erano prima della crisi, trasformazioni che ne limiteranno le capacità di crescita negli anni a venire. Si pensi, per fare un esempio, all’aumento del numero di italiani inattivi (+330.000 da ottobre 2014 a ottobre 2015), un fenomeno identico a quello registrato negli Usa. Un popolo di inattivi non consuma, risparmia. E dunque non crea domanda che metta in moto le fabbriche. No, non vedo un 2016 anno di svolta.

Infine, il 2015 è stato l’anno in cui la politica delle chiacchiere (ooooops, politica monetaria) della BCE, inaugurata nel 2012, ha assunto la forma di acquisto di buoni del tesoro dei governi nazionali dell’Area Euro (e presto anche di quelli regionali e locali). Effetti sugli investimenti, l’occupazione, la crescita? Il giudizio, pressoché unanime con la solita eccezione dei chierici di regime è: zero, nulla, tipota, zilch… Così che il 3 dicembre la bce ha deciso di estendere il programma di acquisto oltre la data inizialmente prevista per il suo termine (da settembre 2016 a marzo 2017). Vai a capire. La sola cosa che abbiamo capito è che l’Euro, che ci si aspettava si sarebbe deprezzato sul Dollaro, si è invece apprezzato (e dopo diversi giorni non mostra di voler cambiare idea).

Cosa ne deduco? Qualcosa d’importante: secondo me la politica delle chiacchiere, delle espansioni monetarie senza limite, della creazione di condizioni sempre migliori per le banche e gli intermediari finanziari in genere sta incontrando la sua prima, importante crisi di rigetto da parte dei mercati stessi. Il che implica che ciò che tornerà a dominare nel 2016 nel giudizio degli investitori saranno le condizioni macroeconomiche e di crescita paese per paese, settore per settore. Certo, rimane il grande dubbio sulle reazioni che osserveremo il 16 dicembre a valle della decisione della fed se elevare o meno il proprio tasso di sconto. Troppo difficile fare previsioni, in questo caso: è dal 2006 che la fed non alza il tasso di sconto, e anche allora non lo fece partendo da zero.

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