Incubatori e acceleratori, a ciascuno la sua startup: modelli e risultati

Il modello degli acceleratori e incubatori comincia a definirsi a partire dal 2000, negli Usa. Lì sono state fatte le esperienze più rilevanti che confermano come siano necessario distinguere obiettivi e aspettative, anche in base alle imprese da incubare. In Italia la sostenibilità del modello non è scontata.

Pubblicato il 19 Ott 2018

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Anche quest’anno l’Ordine dei Commercialisti ed Esperti Contabili (ODCEC) di Napoli ha promosso una edizione del Corso Specialist in startup d’impresa organizzato dalla Commissione di Studio Finanza Straordinaria, Private Equity e Venture Capital presieduta da Amedeo Giurazza, AD di Vertis SGR. Il corso articolato in nove incontri (uno alla settimana, a Napoli dal 24 settembre al 19 novembre) vedrà la partecipazione di oltre 65 attori dell’ecosistema delle startup italiane.

Ho partecipato con UNA mia testimonianza nella giornata dedicata al tema “Venture incubators e accelerazione imprenditoriale”. In questo articolo condivido in forma sintetica alcune delle considerazioni e delle informazioni che ho discusso nel mio intervento.

DEFINIZIONE DI STARTUP

Nella mia presentazione ho iniziato dall’analisi delle definizioni di startup, un tema sul quale permane una certa confusione a causa dell’uso non univoco della parola. Startup viene infatti utilizzato sia come termine che identifica genericamente la nuova impresa che come identificativo delle imprese finanziabili dal venture capital e quindi con caratteristiche di rapida e grande scalabilità e necessità significativa di capitali per il raggiungimento del punto di pareggio.

L’ambiguità o confusione in realtà è dovuta spesso ad un approccio “ideologico” alla questione, e ad una divisione non utile in merito alla questione dello sviluppo di un ecosistema imprenditoriale.

La contrapposizione tra i sostenitori del “solo la startup nella definizione VC lo è” e quanti sostengono una visione della startup nell’ambito mPMI (micro-piccole e medie imprese) è deleteria, in quanto vuole affermare la superiorità di un modello sull’altro con il corollario del richiedere politiche, incentivi ed investimenti pubblici a sostegno della propria visione, divide gli imprenditori e banalizza invece di chiarire.

In verità anche negli Stati Uniti, la “patria” del VC e delle startup, si parla di startup nel senso di “nuova impresa” operando poi una segmentazione del tipo di startup in base a criteri oggettivi.

LA MATRICE SCALABILITÀ /CAPITALE

Una matrice di posizionamento che ha sui due assi la scalabilità (velocità di crescita e dimensione potenziale del business) ed il capitale (capitale necessario a raggiungere il pareggio dei flussi di cassa) è utile a discutere una prima dimensione di segmentazione delle imprese.

Il primo quadrante, in basso a sinistra (bassa scalabilità/bassa necessità di capitale) identifica le iniziative imprenditoriali “bootstrap” (crescita in auto-finanziamento), il quadrante in alto a destra (alta scalabilità /alta necessità di capitale) le iniziative potenzialmente finanziabili da Venture Capital, il quadrante in alto a sinistra (alta scalabilità/bassa necessità di capitale) è un’area in cui la finanziabilità da parte del VC è collegata alle barriere competitive; se queste sono basse e l’opportunità ha una finestra temporale stretta per ragioni competitive può essere appetibile per un finanziamento VC, viceversa ricade nel caso bootstrap. Il quarto quadrante (bassa scalabilità /alta necessità di capitale) è un business da ripensare.

Le startup che hanno le caratteristiche di finanziabilità da parte del VC sono una minoranza, quelle che fra queste soddisfano anche altri criteri di selezione e sono effettivamente finanziate dai VC sono una minoranza della minoranza.

A questo proposito è utile leggere la infografica preparata da Fundable titolata Startup Funding. La definizione di startup è quella di “nuova impresa” infatti i calcoli considerano TUTTE le imprese neo-costituite senza distinzione. Negli USA ogni mese vengono costituite 565.000 neo-imprese per un totale di 6.7 Milioni/anno. Di queste sono finanziate da Business Angels lo 0,91%, da Early Stage VC lo 0,25% e da Late Stage VC circa lo 0,05%. Per mettere le cose in prospettiva in Italia da dati Fondazione Nazionale dei Commercialisti (2017) nel 2016 l’intero universo delle società di persone attive in Italia era di 813.228 e quelle di capitali erano 1.082.003. Le startup innovative iscritte all’apposita sezione del Registro Imprese erano 9.638 (15/10/2018) e le PMI innovative alla stessa data erano 892. Molto chiaramente non tutte le startup che rientrano nella definizione di “innovativa” della legge Italiana appartengono al quadrante di posizionamento “alta scalabilità/alta necessità di capitale” e sono considerate finanziabili dai VC.

Se dunque superiamo la diatriba e la polemica che viene alimentata da sostenitori di tesi opposte, penso che Gianluca Nicoletti su Radio24 a Melog in uno dei suoi supersondaggioni li classificherebbe forse in a) Unicornisti californiani ventur capitalisti e b) Microimpresisti artigian nazionalisti, e ci affidiamo invece ad una analisi ulteriore del modello di segmentazione delle imprese utilizzando una seconda matrice. possiamo fare un passo in avanti nella comprensione. E la comprensione è fondamentale per agire; “conoscere per deliberare” (Luigi Einaudi).

LA MATRICE PROBLEMA /SOLUZIONE

Una seconda matrice di posizionamento a mio avviso aiuta a comprendere l’approccio al processo di sviluppo e verifica sul mercato dell’impresa e quindi ne definisce la caratteristica; sui due assi sono il problema (noto / non noto) e la soluzione (nota / non nota).

Il primo quadrante, in basso a sinistra (problema noto: espresso chiaramente dai clienti | soluzione nota: viene imposta da norme, regolamenti, e/o dai clienti) è quello del “waterfall” o della focalizzazione su esecuzione del progetto, il quadrante in alto a destra (problema non noto: un bisogno appena emergente / cambiamento, soluzione non nota) è viceversa quella della “lean startup” della scoperta / esplorazione. Il quadrante in basso a destra ( problema noto: determinabile adeguatamente con tecniche di analisi di mercato, soluzione non nota: caso in cui un’innovazione non banale (creativa) può determinare vantaggi competitivi) è lo spazio del metodo “agile/scrum” ovvero della iterazione /messa a punto. Infine, il quadrante in alto a sinistra (problema non noto, soluzione nota) è lo spazio delle tecnologie, delle innovazioni provenienti dalla R&D è uno spazio di Open Innovation di “matching” tra necessità delle imprese e soluzioni o di “creazione” di impresa attraverso un modello “foundry” ovvero passando ad altro quadrante per mezzo di una ricerca di mercato per passare da “invenzione” ad “innovazione” ovvero ad una soluzione commerciale per uno specifico bisogno. Il quadrante in alto a sinistra è spesso quello in cui l’anatema “solution in search of a problem” viene lanciato sottintendendo che si cerca un’applicazione ad una costruzione intellettuale astratta. Questo è vero in alcuni casi, quelli di soluzioni banali, ma non è (sempre) vero quando la soluzione è frutto di ricerca, o meglio è falso se la soluzione dimostra che oltre a rendere fattibile la risoluzione di un problema lo fa in modo economicamente sostenibile ed indirizza un problema riconosciuto tale dal mercato.

INCUBATORI ED ACCELERATORI

Per discutere di incubatori, acceleratori e venture incubators la premessa riguardo all’oggetto dell’attività, ovvero quali startup e con quali obiettivi da raggiungere nel periodo di incubazione o accelerazione è a mio parere indispensabile. Infatti, se non è chiaro oggetto ed obiettivo dell’attività come possiamo misurare e valutare l’attività di questi soggetti economici e come possiamo distinguere l’uno dall’altro?

La tabella qui sotto può essere utile a comparare il modello di funzionamento di un incubatore da un acceleratore (venture accelerator in particolare).

BUSINESS ANGELINCUBATORIACCELERATORIIBRIDI
DurataContinuo

(ongoing)

1-5 anni3-6 mesi3 mesi – 2 anni
Coorti

(«leva» / «classe»)

NONOSINO
Modello di businessInvestimentoAffitto /

No-Profit

Investimento /

(No-Profit)

Investimento /

(No-profit)

SelezioneCompetitiva,

continua

Non competitivaCompetitiva, periodicaCompetitiva, continua
Stadio sviluppo

(della «startup»)

InizialeIniziale o maturoInizialeIniziale
FormazioneNessunaAd hoc, HR, LegaleSeminariVarie politiche
MentorshipSecondo necessità e preferenzeMinima, tatticaIntensa in proprio e da terziSupporto di esperti e mentoring «leggero»
Luogo fisico

(della «startup»)

Off-siteOn-siteOn-siteOn-site

(e «virtuale»)

Il modello degli incubatori e degli acceleratori non è recente ed addirittura nell’anno 2000 il modello degli acceleratori in rete viene indicato in un noto articolo della Harvard Business Review titolato “Networked Incubators, Hothouses of the New Economy” come modello organizzativo che raggiunge preminenza negli anni 1990 dopo l’affermazione del Venture Capital (anni 1980), del M&A (stessi anni), delle società conglomerate (anni 1960), e prima delle società multidivisione (anni 1920) e della produzione di massa (fine 1800 e primi del 1900).

Il modello degli incubatori in Europa ha visto lo sviluppo dei cosiddetti BIC Business Innnovation Centers da parte della UE. Fin dal 1984 nasce il progetto pilota “European Business & Innovation Centre” (EC BIC), creato dalla Direzione Generale delle Politiche Regionali e di Coesione della Commissione Europea (DG-XVI). Dopo diversi decenni di pratiche e di politiche sono state apprese diverse lezioni sul concetto di incubazione basata sull’innovazione e più specificamente sul concetto di incubatori basati sull’innovazione (IBI) ed è stata pubblicata nel Febbraio 2010 la guida “The Smart Guide to Innovation Based Incubators (IBI)”.

È quindi riconoscibile come il modello degli acceleratori ed in particolare dei venture accelerator abbia la sua applicazione e missione per l’accelerazione di nuove imprese con caratteristiche di scalabilità elevata. Con riferimento alla prima matrice di posizionamento citata (scalabilità/capitale) si tratta di imprese che si posizionano nel quadrante in alto a destra (alta scalabilità /alta necessità di capitale) ovvero iniziative potenzialmente finanziabili da Venture Capital. Le imprese a bassa necessità di capitale trovano nel modello degli incubatori soluzioni per la crescita coerenti sia con tassi di sviluppo più contenuto che con le necessità di costi compatibili con un modello di crescita con autofinanziamento (bootstrap). Il modello incubatore e co-working può ospitare anche imprese con vocazione ad alta scalabilità/alta necessità di capitale ma non queste non rappresentano il loro principale obiettivo di attrazione e di servizio se non nelle fasi iniziali della loro vita (fase di verifica soluzione/problema o di fattibilità e prima fase di verifica soluzione/mercato).

È importante evitare di confondere obiettivi, modelli, aspettative e soprattutto costruire gerarchie di valori che suggeriscono l’esistenza di una Serie A dell’imprenditoria alla quale voler a tutti i costi appartenere. Occorre sottolineare che il modello delle startup finanziabili da VC opera con una distribuzione di potenza (o di Pareto) molto concentrata e procede secondo una “selezione della specie” feroce e presuppone una grande disponibilità di capitali di rischio sia in fase di pre-seed e seed (la base della piramide deve essere molto ampia) che in fase successiva di crescita. L’imprenditorialità e la creazione di nuove imprese non si esaurisce nel modello unico delle imprese ad alta scalabilità /alta necessità di capitale, ed in merito vale la pena di leggere Daniel Isenberg, Babson College School of Innovation, autore di numerosi articoli e libri sul tema.

Occorre evitare di attribuire caratteristiche di scalabilità e di conseguenza anche applicare metodologie di sviluppo, valutazioni in fase di raccolta di capitale, stili di comunicazione propri di un piccolo segmento di imprese con caratteristiche ben precise (ed orizzonti temporali conseguenti sul “make or brake”), a tutte le nuove imprese. Il VC richiede ritorni del 20% di IRR annuo che su orizzonti di tre anni significano 3 volte il capitale investito, in base al tasso di successo atteso per un fondo che abbia una raccolta di 100 Milioni significa ritornare 300 Milioni essendo parte (ipotesi di quota media 20% nelle imprese del portafoglio) di exit per almeno 1.5 Miliardi che con un portafoglio di 25 imprese equivale a due / tre successi pieni.

Mettere in prospettiva le cose è fondamentale e per farlo è utile un benchmark con quello che ancora (anche se viene sfidato sempre più nel suo posizionamento) il mercato più importante ed avanzato per il VC ovvero gli Stati Uniti. Il modello degli acceleratori negli USA è molto studiato e viene pubblicata una classifica dal Seed Accelerators Ranking Project . In questa classifica che classifica circa 150 partecipanti sono segnalate cinque categorie da “Bronze” a “Platinum Plus”. Nella categoria massima sono due gli acceleratori citati e che presentano caratteristiche molto diverse tra loro. Questi sono Y-Combinator ed Angel Pad.

YCombinator ha un modello di tipo «industriale», lavora sul processo e sui grandi numeri.dal 2005 ha finanziato oltre 1.900 startup, ha una comunità di oltre 4.000 imprenditori/fondatori e le società startup accelerate hanno una valutazione totale combinata di oltre 100 Miliardi di dollari. Due volte l’anno (lotto uno da gennaio a marzo e lotto due da giugno ad agosto) investe circa centocinquantamila dollari ciascuna in un gran numero di startup (in media> 110 ogni anno).

Angel Pad, ha un modello «boutique», è una impresa famigliare, con un programma molto personalizzato ed individuale, è altamente selettivo (<1% di ammissioni). Programma di accelerazione seed-stage con sede a New York e San Francisco, dal 2010 ha lanciato oltre 130 aziende. Ogni sei mesi seleziona circa 15 team da un enorme pool di candidati (di solito circa 2.000) ed investe in ogni team circa centomila dollari.

Recenti studi negli USA hanno confermato che il modello degli acceleratori ha superato nei ritorni i VC “tradizionali” e questo è legato alla capacità di operare in fase iniziale su larga scala.

Nello studio pubblicato da Trusted Insight si afferma che: “Nell’ultimo decennio, gli investitori tecnologici di maggiore valore si sono evoluti per diventare incubatori e acceleratori abilitati da piattaforme. L’opportunità di generare rendimenti eccezionali nelle fasi di seed e pre-seed è diventata sempre più evidente. Infatti, i dati di Pitchbook mostrano che il numero di incubatori e acceleratori è cresciuto da 334 nel 2006 a 1.525 nel 2016 (CAGR del 16,4%)” e “Poiché i rendimenti eccezionali sono concentrati su poche start-up, questi nuovi modelli ora catturano gran parte dei potenziali rendimenti early-stage.I costi inferiori per l’avvio di aziende hanno aumentato il numero di startup e la loro capacità di scalare. L’aumento del numero di aziende richiede delle piattaforme per alimentare il “deal flow” su larga scala.” Ed ancora: “Un numero crescente di società emergenti è ora finanziato da VC non tradizionali come fondi di avviamento, incubatori e acceleratori. Il 70 percento delle prime 10 società negli ultimi 10 anni è stato sostenuto da tali investitori”.

INCUBATORI E ACCELERATORI, LA SITUAZIONE ITALIANA

La situazione in Italia vede la presenza di un elevato numero di incubatori ed acceleratori, di cui ben 33 sono classificati nell’apposito registro alla data del 15 Ottobre 2018.

Tre di questi acceleratori che operano con modelli di business tra loro differenti sono quotati in borsa a Milano. Si tratta di : H-Farm, Digital Magics ed LVenture Group. La capitalizzazione di Borsa in Milioni di Euro era alla data del 15 ottobre 2018 rispettivamente di € 54,12 (H-Farm). € 48,14 (Digital Magics) e € 19,64 (LVenture Group) per un totale di € 121,9 Milioni. Le operazioni di collocamento di Digital Magics (ammessa li 29/07/2013, prezzo collocamento € 7,50) e di H-Farm (ammessa li 11/11/2015, prezzo collocamento €1,00) sono avvenute con una IPO mentre LVenture ha operato una “reverse quotation” attraverso l’acquisizione della società quotata Le Buone Società SpA che ha cambiato nome in LVenture Group a Gennaio 2013.

Nel confronto tra il mercato Italiano e quello internazionale gli acceleratori Italiani scontano un ingresso nel mercato in anni relativamente recenti (il quadro legislativo sulle startup in Italia data dal 2012, e le iniziative imprenditoriali hanno un orizzonte di circa dieci anni) e  in una nazione in cui il mercato del venture capital è notoriamente sottodimensionato. L’effettiva sostenibilità del modello del venture accelerator in Italia è non scontata, per le difficoltà ad operare su scala adeguata (numero di startup selezionate, investimenti), e per la difficoltà ad operare “exit” industriali e quotazioni in borsa.

Alcune recenti operazioni hanno alimentato speranze ed aspettative ma perché si possa avere un salto di qualità occorre lavorare ancora moltissimo e superare la prevalenza che ha avuto lo story telling sull’approccio industriale. A mio avviso è necessario avere piena consapevolezza del posizionamento delle nuove imprese sulle dimensioni scalabilità / capitali e problema / soluzioni ed agire di conseguenza con un approccio differenziato. Il modello da studiare per gli acceleratori Italiani è probabilmente molto più Angel Pad che YCombinator per dimensioni ed approccio.

L’Italia a mio avviso ha le sue maggiori opportunità di creare nuove imprese in aree “hard science” e collegate ad innovazioni nel manufacturing in relazione ai distretti industriali ed alle eccellenze nazionali delle imprese “champion” con forte internazionalizzazione (interessante la storia dell’ecosistema della bicicletta da corsa con società come Pinarello e la sua relazione con e-Novia, e la storia della Kask e dell’open innovation di ma di questo parlerò in un altro articolo). Il modello delle “foundry” con casi come e-Novia. Materias, l’approccio di Trentino Sviluppo con Polo Meccatronica, i laboratori ProM Facility ed il Progetto Manifattura , le iniziative della Dallara Academy sono segni forti e positivi e non isolati.

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Marco Bicocchi Pichi
Marco Bicocchi Pichi

Managing Director di Management3 strategy consulting, è Business Angel and Startup Entrepreneur. Siede nel board di Nextome and Condomani. È stato presidente di Italia Startup dal 2015 al giugno 2018.

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