SOLUZIONI & APPLICAZIONI

Digital Transformation, all’innovazione servono politiche per la creatività

I creativi non sono solo gli artisti, ma anche gli ingegneri, gli specialisti di marketing e persino i processi produttivi e di assistenza al cliente. Perché il punto di partenza è sempre un atto di immaginazione. Come spiega nel libro “Economia arancione” Gian Paolo Manzella, ideatore di Roma Provincia Creativa

Pubblicato il 15 Dic 2017

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La creatività è un concetto per molti versi sfuggente. La maggior parte di noi lo associa alle arti: creativi sono i pittori, i musicisti, gli scrittori. Anche gli architetti. Ma quanti collegano la creatività a ingegneri, medici, dirigenti di azienda, specialisti di marketing, processi produttivi o di assistenza ai clienti? Quando pensiamo a queste professioni, probabilmente smettiamo di usare la parola creatività e la sostituiamo con un termine che ci sembra più concreto e pragmatico: innovazione.

Dimentichiamo, quindi, che il punto di partenza di qualsiasi innovazione è un atto di immaginazione, che connettendo esperienze, conoscenze, aspirazioni, passioni, ci permette di “vedere” un’opportunità, di disegnare nella mente una soluzione, di inventare una tecnologia o un prodotto. E via di seguito.

Non esiste sviluppo economico senza creatività. Di conseguenza, qualsiasi intervento pubblico che voglia incentivare la capacità di un territorio di produrre ricchezza, deve partire da politiche che si occupino di stimolare la creatività. In tutti i settori, dall’agricoltura, fino alle tecnologie aerospaziali. Perché viviamo in un mondo in continua accelerazione, in cui possiamo trovare un posto solo se siamo in grado di creare, sviluppare e produrre nuove soluzioni.

Delle politiche della creatività si occupa Gian Paolo Manzella nel suo libro Economia Arancione, proponendo una trattazione a tutto tondo che parte dalla delimitazione del campo di gioco (qual è il perimetro delle industrie creative e quanto valgono?) e prosegue percorrendo la storia delle politiche pubbliche a favore della creatività, citando numerosi esempi in giro per il mondo.

Manzella si occupa di questi temi ormai da oltre un decennio (è stato ideatore di Roma Provincia Creativa, divenuto successivamente Lazio Creativo) e individua alcuni elementi essenziali a una policy pubblica a sostegno della creatività. Tra questi:

1. La politica per le industrie creative produce i suoi frutti solo quando è una scelta di durata, attorno alla quale si riescono a coagulare, oltre agli operatori del settore, anche gli attori della cultura, dell’impresa e della finanza.

2. Il segnale di inizio è una presa di posizione esplicita, cui è affidato il compito di dare alle industrie creative un peso e un ruolo nell’agenda politica e di delimitare l’impegno in termini di obiettivi e risorse.

3. È necessario individuare un responsabile politico e una struttura amministrativa. In Gran Bretagna, per esempio, esiste un Department for Digital, Culture, Media & Sport, tra i cui obiettivi ci sono quelli di «proteggere e promuovere il patrimonio artistico e culturale e di aiutare le aziende e le comunità a crescere investendo in innovazione».

4. I luoghi della creatività e dell’innovazione sono importanti perché contribuiscono a dare visibilità e importanza alla classe creativa. Allo stesso tempo rendono più semplice le connessioni tra chi produce innovazione e i settori della produzione tradizionale.

5. Le politiche della creatività devono occuparsi anche della formazione, poiché inserire esplicitamente la creatività nell’istruzione è considerato un fattore strategico per aiutare le nuove generazioni ad affrontare un mercato del lavoro in continua evoluzione.

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