Startup
Che ecosistema finisca di essere solo una parola rassicurante
Gli Stati Generali convocati a Milano da Italia Startup non possono rappresentare un “insieme interrelato” che non c’è. Sono però il primo passo di un percorso necessario e possibile se la giusta competizione fra persone e territori non finirà per alimentare campanilismi e invidie personali. Perché servono maggiori dimensioni, visibilità e risultati e si possono ottenere solo con il gioco di squadra.
di Giovanni Iozzia
12 Mar 2014

Ecosistema, lo sappiamo bene, è parola usata e abusata, perché rassicurante e inclusiva ma a me piace leggerla soprattutto come espressione di un’ambizione che illumina la via verso una destinazione possibile e necessaria: un sistema forte con una continua interazione tra “biocenosi” ed “ecotopi”, se vogliamo continuare a divertirci con la metafora ecologica (gli ecotopi sono le componenti senza vita dell’ambiente, diciamo le tecnologie; i biocenosi quelli vitali, pensiamo agli imprenditori, gli investitori, le istituzioni). È questo l’unico modo possibile per raggiungere un equilibrio di fattori e di azioni tutti tendenti al benessere e allo sviluppo generale dell’ecosistema, appunto.
Giovedì 13 marzo ItaliaStartUp ha dato appuntamento a Milano per fare il punto sullo stato di salute del pianeta startup. Ha chiamato coraggiosamente l’incontro “Stati generali dell’ecosistema startup italiano”. Sarà un momento di confronto e riflessione su quanto fatto finora e quanto resta da fare alla vigilia di un importante evento internazionale dedicato all’imprenditorialità, a Mosca, evento che nel 2015 sarà ospitato proprio a Milano. Si parlerà di incentivi fiscali e altro, ci sarà il presidente della Piccola Industria di Confindustria, quell’Alberto Baban che dalle sue parti, in Veneto, è già andato avanti nell’integrazione fra nuove e vecchie imprese. Ci sarà il neoministro Federica Guidi, che debutta così sulla scena delle startup. Un incontro importante che non rappresenta però ancora l’ecosistema, anche perché l’ecosistema non c’è ancora. E non ci sarà fino a quando la giusta competizione fra soggetti e territori produrrà contrapposizione e veti incrociati. La gara a chi è più avanti va bene, ma solo se c’è qualcosa da trainare altrimenti resteremo come brillanti nani nella terra dei giganti. Pensare di essere la capitale delle startup, a NordEst come a SudOvest, va bene perché concentrare risorse ed energie è necessario, ma non ci sono capitali senza un Paese. E da qualche parte questo Paese delle startup e dell’innovazione bisogna pure cominciare a costruirlo e soprattutto farlo crescere.
Non ci possiamo più permettere campanilismi ed e invidie personali. Semplicemente. Siamo tutti contenti che di startu si parli finalmente a Porta a Porta e a Ballarò. Ottimo. Ma ce ne facciamo poco dei passaggi televisivi se non cambiano le dimensioni del fenomeno. Basti vedere il divario che ancora divide Europa e Stati Uniti: mille miliardi di dollari di investimenti. Non solo: «Il valore delle startup europee», ricorda Alberto Onetti, presidente della Fondazione Mind the Bridge, « è complessivamente stimabile in 36 miliardi di dollari mentre quello delle cugine a stelle e strisce 1773 miliardi». E noi stiamo ancora qui a brigare attorno alle briciole? «Ci sono tanti luoghi, tante iniziative, tanti progetti ma sono terribilmente sparpagliati e scoordinati», ha detto a EconomyUp il capo della segereteria tecnica del Mise Stefano Firpo, uno che ne intende.. «Bisogna tirare fuori maggiori risultati, maggiore visibilità, maggiore densità». Con questo spirito e questi obiettivi bisogna partecipare agli Stati Generali dell’ecosistema che ci sarà.