Basta consulenti, voglio sognatori! mi ha detto un manager dell’innovazione…

Ho incontrato un amico-cliente che lavora nella struttura europea di una multinazionale farmaceutica. E mi ha spiegato perché il consulente tradizionale non basta più alle grandi aziende che vogliono fare innovazione. E che hanno bisogno di “diversità di pensiero”. Questi incontri saranno la fonte di questa nuova rubrica

Pubblicato il 20 Set 2018

Sognatori, innovazione

La settimana scorsa ho incontrato un amico, posso anche dire un cliente (sono sempre un po’ in imbarazzo anche perché queste categorie oramai sottostanno alla dinamica della convergenza) che, all’interno di una delle più grandi multinazionali farmaceutiche, ricopre un ruolo focale nella struttura innovazione a livello Europeo. Come spesso mi accade questi incontri sono fonte inesauribile di pensieri e di aneddoti non solo per i miei articoli, motivo per il quale Giovanni Iozzia mi ha chiesto di tenere questa rubrica che oggi inauguro, ma anche per ripensare il mio mestiere di consulente sull’innovazione tracciandone le traiettorie nel futuro prossimo.

Le grandi aziende non hanno più bisogno di consulenti (tradizionali)…

Con D. (un minimo di privacy) abbiamo affrontato quasi tutti i temi che oggi si trovano sull’agenda di chi si occupa di innovazione. Partendo dai temi della convergenza dei modelli di business, dallo scenario di un mondo ibrido dove il dato e il suo utilizzo saranno le nuove interfacce tra azienda e utente, discutendo di mega trend e di come questi impongano una profonda riflessione ai player del settore pharma. Direi tutto nella norma! Durante la discussione D. mi ha detto “Vedi Ivan, io penso che aziende come la mia, grandi aziende con potenzialità economiche importanti, con un’esperienza consolidata e con facilità d’accesso ai contenuti, non abbiano più bisogno di consulenti”. Proseguendo: “Intendo dei consulenti tradizionali, almeno per chi come me ricopre un ruolo in area innovazione. Per i miei colleghi può essere diverso, su alcune aree di business la verticalità di fornitori che hanno un’esperienza pluridecennale nel nostro specifico settore possono ancora avere un valore. Ma pensando alle esigenze mie e del mio team, oggi io non ho bisogno di consulenti. Posso avere accesso alle competenze, alle ai centri di sviluppo e di ricerca e alle Università”

…le grandi aziende hanno bisogno di sognatori, di visionari

“Io oggi ho bisogno di sognatori, di visionari, ho bisogno di ricevere indicazioni e idee che mi possano aiutare a uscire dal mio ufficio, che mi mettano in condizioni di usare metodologie per aggredire le sfide dei prossimi anni in modo differente, che mi consentano di sviluppare relazioni e contatti con altri miei colleghi, altri attori dell’ecosistema dell’innovazione ai quali oggi io non ho avuto accesso o modo di arrivare. Il consulente di cui ho bisogno è colui che contemporaneamente mi consente di confrontarmi con i miei simili e dall’altra parte mi crea una diversità di pensiero sulle questioni che devo affrontare”.

Il difficile mestiere del consulente, tra competenza e relazione

Il mestiere del consulente è sempre stato un difficile equilibrio tra competenza e relazione. Questa aperta dichiarazione da parte di D, innovation manager di una importante corporation, ci fa riflettere sul fatto che questo equilibrio, almeno in area Innovazione, nei prossimi anni favorisca l’aspetto relazionale. Ma una capacità di gestione della relazione non più vissuta con una dinamica verticale spesso avvalorata da solidi NDA. In area innovazione il consulente sarà un abile gestore di relazioni osmotiche all’interno di un network che crescerà solo se avrà modo di essere alimentato con una dinamica di condivisione e partnership tra i suoi attori. La chiave del successo sarà coniugare questa dinamica con nuovi strumenti e nuove competenze per dare autorevolezza al proprio ruolo. Sinergie su sfide comuni, partnership, creazione condivisa di nuovi business model, condivisione di risorse e di iniziative progettuali, dinamiche di lavoro basate su co-design e approcci sperimentali sono gli strumenti della consulenza sull’innovazione che servono a D e che consentono di vedere le sfide che i manager dell’innovazione hanno sul tavolo in modo diverso.

Il vero banco di prova per l’innovation manager

Il vero banco di prova per l’innovation manager non è identificare cosa fare, non è identificare le sfide o le “Challenge” come si dice. L’innovation manager sia internamente con il suo team sia grazie alla profusione di contenuti, di studi, di report ha chiaramente la lista delle priorità e dei cantieri. Ciò su cui chiede di essere supportato è di riuscire a capitalizzare il massimo dalle sfide che deve affrontate. È consapevole che se affrontate con le stesse dinamiche del passato queste sfide verranno portate a termine, risolte ed implementate grazie alla capacità di “execution” ma con un ritorno in termini di impatti inferiore rispetto alla possibilità di creare una rottura nei metodi di lavoro. Il rischio per l’innovation manager è che la “montagna partorisca il topolino”.

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Ivan Ortenzi
Ivan Ortenzi

Chief Innovation Evangelist di Bip Group. Già Managing Director di Ars et Inventio, è autore del libro "Innovation Manager" (FrancoAngeli). Docente, TEDxSpeaker e relatore in eventi aziendali e istituzionali sul futuro dei modelli di business. Il suo esercizio Zen preferito è quello di temperare le matite. Sposato, due ragazzi digitali e con uno spirito "rock and roll"

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