In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sembra promettere soluzioni immediate e automatizzate per ogni problema, il pensiero di Eric Ries, autore di The Lean Startup e fondatore della Long-Term Stock Exchange, rimane un punto di riferimento per chi costruisce nuove imprese. Intervistato da Camila Castellati nel podcast Made IT, Ries ripercorre la genesi e l’evoluzione del suo approccio, sottolineando come il metodo Lean Startup sia oggi più che mai uno strumento per distinguere l’apprendimento reale dal semplice progresso apparente.
Indice degli argomenti
Le origini di un metodo che ha riscritto l’imprenditorialità moderna
Prima di diventare un movimento globale, il metodo Lean Startup è nato da un fallimento personale. Ries racconta che la sua prima impresa “sprecò mesi a costruire qualcosa che nessuno voleva”. Da quell’esperienza nacque una riflessione radicale su come si costruisce un prodotto. Nella sua seconda startup, IMVU, introdusse il concetto di continuous deployment, arrivando a rilasciare “nuovo software in media 50 volte al giorno”.
Quella pratica — testare continuamente con utenti reali, imparare dai dati e adattarsi prima di scalare — divenne la base di una metodologia che avrebbe influenzato generazioni di imprenditori. Il libro The Lean Startup, pubblicato nel 2011, è stato tradotto in oltre 30 lingue e insegnato in università come Harvard e Berkeley.
Ries spiega che l’obiettivo era “trovare un modo più scientifico di capire perché certe startup funzionano e altre no”, ispirandosi ai principi della produzione snella e ai cicli decisionali OODA (Observe, Orient, Decide, Act). Il cuore del metodo è costruire un sistema, non affidarsi al talento o all’intuizione: “Non c’è nessuna polvere magica”, sottolinea. “È un sistema che chiunque può imparare, ma richiede disciplina e curiosità”.
L’MVP come strumento di apprendimento, non di estetica
Il termine MVP (Minimum Viable Product) è forse l’eredità più nota del pensiero di Ries. Tuttavia, molti ne fraintendono il senso. “Molti credono che sia solo una versione economica o semplice di un prodotto. Sbagliano. È un esperimento per apprendere”, spiega.
“Minimum” significa fare il minimo lavoro necessario per massimizzare il progresso, ma il progresso di una startup non si misura in utenti o investimenti raccolti. Per Ries “una startup vale solo per ciò che sa del suo modello di business, non per ciò che possiede”. Il valore sta nel validated learning, l’apprendimento convalidato: dati concreti su cosa funziona e cosa no.
La fase “viable” non riguarda la fattibilità tecnica, ma la capacità del test di rivelare qualcosa di vero sul futuro dell’azienda. Ries paragona le startup a biglietti della lotteria: non hanno ancora clienti o fatturato, ma valgono in proporzione alla loro probabilità di successo futuro, stimabile solo attraverso esperimenti e dati.
“Il progresso non è il codice o i soldi raccolti”, ribadisce. “È ciò che impariamo sui nostri clienti e sulla nostra proposta di valore”. Per questo insiste sull’importanza di evitare le scorciatoie della ricerca di mercato tradizionale, spesso “selvaggiamente inappropriata per le startup”.
Qualità e apprendimento: una falsa dicotomia
Molti imprenditori, afferma Ries, cadono nella trappola di contrapporre velocità e qualità. Ma “fare un MVP non significa abbandonare l’artigianato”, spiega. La vera qualità si misura dal punto di vista del cliente, non del fondatore. “Se ti interessa solo ciò che tu ritieni bello, sei un artista. Ma se vuoi che piaccia alle persone, devi testarlo con loro”.
Ries racconta di aver trascorso mesi a perfezionare un prodotto “bellissimo”, per poi scoprire che nessuno lo usava perché “la proposta di valore era rotta fin dalla prima pagina”. Il perfezionismo aveva mascherato un errore di fondo: “Tutta la bellezza del design non contava se nessuno voleva cliccare”.
Anche Steve Jobs, spesso citato come simbolo del perfezionismo, non sfuggì alla logica dell’MVP. “Quando presentò l’iPhone, non avevano un singolo dispositivo funzionante: la demo era falsificata per ottenere i preordini e finire davvero il prodotto”. La lezione, per Ries, è che prendere la qualità sul serio significa testare presto ciò che i clienti percepiscono come valore, non rifinire dettagli invisibili.
L’AI e il rischio del “vibe coding”
L’arrivo dell’intelligenza artificiale, osserva Ries, non rende obsoleto il metodo Lean Startup: lo rende indispensabile. “L’AI è ottima per portare i peggiori performer alla media, ma non per rendere eccezionali i medi”, spiega. Gli strumenti generativi consentono di creare prototipi più velocemente, ma possono indurre un’illusione di progresso.
Ries avverte contro quello che definisce vibe coding: l’uso passivo dell’AI come sostituto del pensiero critico. “È così facile convincersi di fare progressi solo perché stai scrivendo codice. Ma il codice non è progresso. Non puoi esternalizzare l’apprendimento al software”.
L’AI, secondo Ries, è utile come partner di feedback — ad esempio per superare il blocco dello scrittore o migliorare la struttura di un testo — ma solo se l’umano mantiene il controllo del processo: “Devi rimanere sempre human in the loop. Puoi farle migliorare una riga, ma non pensare al posto tuo”.
L’efficacia dell’AI, aggiunge, dipende dalla capacità di “scomporre i problemi in sottocompiti chiari” e di usare il modello per accelerare i cicli di revisione, non per automatizzare le decisioni. “Ciò che le persone vogliono di più in un mondo dominato dalla produzione artificiale è una voce autentica. Non bisogna rinunciarci mai”.
Dalla teoria al test: apprendimento validato e pivot
Il principio di validated learning è il cuore del metodo. Ries lo definisce “il processo scientifico per scoprire la verità su ciò che i clienti vogliono davvero”. Non bastano interviste o sondaggi: serve una prova di azione.
Tra gli esempi citati, racconta di una startup medtech che voleva introdurre in Cina un dispositivo economico per i medici rurali. “Sembrava un’ottima idea, ma nessuno sapeva se qualcuno lo avrebbe comprato”. La soluzione fu un esperimento: far firmare ai medici una lettera di raccomandazione per i propri ospedali, simulando una pre-vendita. “Zero su dieci firmarono”, ricorda Ries. Solo dopo vari test e modifiche arrivarono i primi sì.
Questo tipo di esperimento — semplice ma rigoroso — permette di capire rapidamente se un’idea ha trazione reale. “Puoi sempre trovare un modo per testare la tua ipotesi oggi, anche se il prodotto finale richiederà anni”.
Quando i risultati mostrano che una strada non funziona, entra in gioco il pivot, che per Ries non è un fallimento ma “un cambio di strategia senza un cambio di visione”. L’obiettivo resta lo stesso, cambia solo il percorso.
Per spiegare il concetto, usa l’analogia del GPS: “Se la strada è bloccata, non torni a casa. Chiedi al GPS un’altra via”. L’imprenditore deve mantenere la direzione, ma essere pronto a modificare la rotta.
Innovare senza tradire la missione: il caso Cloudflare
Tra le storie che Ries include nel suo prossimo libro — dedicato alla creazione di aziende “incorruttibili per natura” — spicca quella di Cloudflare, oggi tra le principali società Internet del mondo. Nei primi anni, l’azienda offriva la crittografia come funzione premium, a pagamento. Un giovane ingegnere propose di renderla gratuita perché “un Internet migliore è un Internet crittografato”.
Il CEO, Matthew Prince, accettò la sfida: “Hai ragione. Trova un modo per farlo”. Quelle tre parole — figure it out — divennero un principio guida. Regalare la crittografia avrebbe potuto far fallire l’azienda, ma invece portò una crescita esponenziale e una fiducia duratura. Per Ries, è l’esempio perfetto di come “il progresso non siano i soldi, ma la fiducia che costruisci con i clienti”.
Pensare in grande, iniziare in piccolo, scalare velocemente
Alla fine dell’intervista, Ries riassume la filosofia del metodo Lean Startup con una formula semplice: “Think big, start small, scale fast”. Le imprese di maggior successo, spiega, non nascono perfette: “Gli inizi più umili e sciocchi spesso contengono i semi delle aziende più grandi”.
Il metodo non è una ricetta di efficienza, ma un approccio culturale basato sulla curiosità, la disciplina e la capacità di imparare prima di crescere. In un’epoca in cui l’AI accelera tutto, il principio rimane lo stesso: chi costruisce startup deve cercare la verità, non la scorciatoia.






