Visti da lontano

“Vi manca la cultura del fallimento ma anche quella del successo”

In un’intervista a Corriere della Sera Brian Cohen, business angel e partner di New York Venture, offre un’impietosa radiografia dei ritardi europei e italiani. “Chi vince una sfida e guadagna parecchio viene avvolto dal sospetto”. “In Europa e in Italia manca la cultura del rischio e del fare impresa”

Pubblicato il 13 Lug 2015

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Brian Cohen

“Se vinci la tua sfida e guadagni parecchio non vieni celebrato, vieni avvolto dal sospetto: chi sta soffrendo per colpa tua? A chi hai fatto del male mettendoti in tasca tutti quei soldi? Pensi di meritarli? Non dovresti darli a chi ne ha bisogno? Un giovane imprenditore che ha successo deve quasi nasconderlo”. Lo dice l’americano Brian Cohen e sta parlando della resistenza culturale italiana, e più in genere europea, ad accettare il successo degli altri.

Cohen, 55 anni, è una figura di spicco nell’ecosistema startup a New York. Un business angel, un mentor, un investitore (è stato fra quelli che hanno puntato su Pinterest) che ha deciso di puntare tutto sulle piccole imprese innovative, convolgendo anche i tre figli che ne hanno già fondate e vendute alcune. Perché lo spiega in un’intervista di Massimo Gaggi pubblicata dal Corriere della Sera domenica 12 luglio.

Non è piacevole sentirsi dire alcune cose da un estraneo ma bisogna riconoscere che Cohen dimostra di conoscere bene le contorsioni culturali del nostro Paese. Quando descrive il “processo” al successo, sembra di sentire i dubbi, i distinguo e i sospetti di chi mostra sempre diffidenza nei confronti di chi riesce a svoltare, a prescindere. E spiega la tendenza a nascondersi, a non voler mai parlare di soldi da parte di chi il successo lo raggiunge. Certo, c’è sempre la tendenza a essere riservati per ragioni fiscali, ma anche per non andare a svegliare il cane…dell’invidia altrui.

Alla fine l’Italia non è mai diventato un vero Paese capitalista. “ll disprezzo per il capitalismo che è diffuso da voi non è soltanto un dato politico, dice ancora Cohen nell’intervista al Corriere della Sera. “È anche un freno alla crescita. Manca la cultura del rischio, del fare impresa. Un ragazzo che vuole iniziare una sua attività spesso si sente dire dai genitori che è meglio trovare un impiego sicuro in un’azienda o nel settore pubblico». Vero, perché a fronte di pochi Family e Friend disposti a sostenere il rischio di una nuova impresa, resiste ancora il sogno (o meglio dire illusione) del posto ancor meglio se sicuro.

Cohen se la prende anche con le tendenze stataliste diffuse ancora in tutta Europa. “I governi non c’entrano nulla con le start up: non servono, non vanno coinvolti. Invece in Europa vogliono essere coinvolti. A due livelli. Quello delle regolamentazioni, certo, ma poi c’è quella visione sociale o socialista – l’impresa o il governo che si devono prendere cura di te – che crea un ambiente ostile alla cultura delle start up. Che, però, sono destinate a giocare un ruolo sempre più rilevante in tutte le economie. Chi non lo capisce resta indietro». E secondo Cohen rischiamo di restare molto indietro. “L’Europa avrebbe bisogno di cambiare in fretta ma non credo che ce la farà” è il pronostico catastrofico di Cohen.

Fa effetto sentire da un americano il de profundis delle corporation. Non sono sempre esistite e non sono più più il modello perfetto di gestione, sostiene Cohen. «I big hanno solo un modo per sopravvivere. Hanno ancora molti soldi in cassa: possono usarli per comprare start-up che, così, diventano il loro centro ricerche. Molti lo stanno già facendo».

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