L’Intervista

Tomarchio (Beintoo): «Per fare startup New York è meglio di San Francisco»

L’imprenditore racconta a EconomyUp il suo nuovo progetto di business intelligence, Cuebiq, e spiega perché ha scelto di lanciarlo dalla Grande Mela. «Per chi arriva dall’Europa offre maggiori vantaggi, a cominciare dalla disponibilità di capitali. In Silicon Valley, per chi parte da zero, è tutto molto più difficile»

Pubblicato il 16 Mar 2016

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Fare startup negli Stati Uniti? Meglio a New York che a San Francisco. Specie per chi viene dall’Europa. A dirlo è Antonio Tomarchio, fondatore di Beintoo, e da poco nuovo CEO di Cuebiq spinoff lanciato a fine febbraio in America e attivo nel settore della business intelligence. Proprio da New York, dove ormai risiede stabilmente, Tomarchio ha raccontato a EconomyUp gli obiettivi del suo nuovo progetto, delineato un quadro dell’ecosistema italiano, e spiegato perché la grande mela può dventare una terra promessa per gli imprenditori europei.

«New York è un mercato emergente – afferma Tomarchio – e come tale offre molte opportunità. Per uno startupper che viene dall’Europa, e vuole fare il salto verso l’internazionalizzazione, ritengo offra maggiori vantaggi rispetto a San Francisco». Vantaggi che vanno dalla facilità di creare una rete di relazioni, al maggiore accesso ai capitali, fino alla logistica: «In Silicon Valley c’è una quantità così sconfinata di aziende – continua Tomarchio – che può essere difficile, per chi parte da zero, riuscire a costruire un network di contatti in tempi rapidi. New York invece offre una situazione più a misura d’uomo sotto questo punto di vista. Se si arriva qui con una società innovativa, è molto probabile riuscire a essere visibile velocemente nel contesto americano».

Per crescere in fretta, però, c’è bisogno soprattutto di capitali. Se sulla sponda californiana «il livello di accessibilità al capitale è necessariamente più competitivo» — condizione svantaggiosa per un imprenditore arrivato da poco e con meno network — nella grande mela la nascita costante di nuovi fondi permette «un accesso facilitato ai Venture Capitalist» Inoltre New York «si sta affermando come capitale in alcuni settori specifici. Quello dei Big Data per esempio, grazie al fatto che tutto il mondo finanziaro a partire dagli Hedge Funds sta convergendo sempre di più verso un approccio data driven. E inoltre è ben posizionata anche nel Fashion Tech e nell’Health Tech. Casi di successo come l’incubatore Blueprint, ad esempio, non hanno niente da invidiare alle realtà della Silicon Valley».

Da non sottovalutare poi la posizione geografica. Maggiore vicinanza all’Europa significa più flessibilità di orario per il coordinamento con un eventuale team europeo. «Se per esempio, come nel caso di Beintoo, si ha un team che lavora tra l’Italia e gli Stati Uniti, il fuso orario di New York agevola il lavoro in contemporanea. Quando sono in California, coordinarsi con il team di Milano è molto più difficile». Volendo semplificare ancor di più, il vantaggio è anche logistico: «Da New York prendi un aereo e in sette ore sei a Milano senza fare scali».

Una tratta che, tra l’altro, lo startupper siciliano ha percorso di recente. A febbraio, infatti, è tornato in Italia per ridisegnare l’organigramma di Beintoo: «Sarò board member e azionista – ha annunciato Tomarchio – ma non avrò più incarichi operativi» Il nuovo CEO – che dovrebbe essere annunciato in questi giorni – avrà la responsabilità di guidare un’azienda «che ha chiuso a quasi sei milioni di euro di fatturato il 2015 – partendo da 2,6 dell’anno precedente – lavorato con oltre 200 clienti e gestito migliaia di campagne».

Beintoo è uno dei casi di successo dell’ecosistema italiano. Un ecosistema in crescita, secondo Tomarchio, ma con dei limiti: «Lo scenario italiano sta iniziando a crescere e si intravede già qualche scaleup. Quello su cui bisogna lavorare di più però è la capacità di attirare round più grossi. Al livello di Series B per intenderci. Oggi un imprenditore italiano che ha un buon prodotto, non fatica a trovare capitali per un “Seed” o un “Series A”. Ma quando arriva il momento in cui devi provare a scalare internazionalmente, servono capitali importanti. 15-20 milioni. In Italia c’è ancora qualche limitazione, il che porta spesso gli imprenditori a cercare interlocutori stranieri».

Negli Stati Uniti, dicevamo, Tomarchio ha lanciato Cuebiq società che consente alle aziende di comprendere il comportamento e le intenzioni di acquisto dei consumatori offline. «Negli ultimi diciotto mesi abbiamo intravisto un’opportunità nel settore del Mobile Data. Considerato che ancora il 90% dello shopping in America è offline, questa tecnologia permette di intercettare i trend di visite degli store, analizzando il flusso di traffico e fornendo al brand di turno informazioni sull’utente. Informazioni che vanno al di là del perimetro del CRM (Customer Relationship Management, ovvero la gestione del rapporto con il cliente, ndr). In sintesi il nostro prodotto vuole dare alle aziende dati dettagliati, in tempo reale, riguardo il comportamento dei consumatori»

In che modo? «Ci tengo a precisare – conclude Tomarchio – che questi dati vengono raccolti in maniera anonima, in pieno rispetto delle leggi sulla privacy e con la possibilità eventualmente di disattivare il servizio da parte dell’utente. Il nostro compito è trovare accordi con grossi developer di app mobile e proporgli di inserire un SD-Key – ovvero un pezzo di codice – nell’app stessa. Se l’utente dà il permesso di condividere le informazioni, saremo in grado di analizzare dei segnali di proximity. In altre parole potremo localizzare la posizione del device in base alle postazioni wi-fi a cui è agganciato, o tramite il Gps. Da qui, se il panel è abbastanza ampio, possiamo capire come gli utenti si stanno muovendo all’interno dei vari negozi».

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