Ecosistema

Startup a Teheran, la sorpresa della Silicon Valley iraniana

«L’Iran è un grande mercato che aspetta di essere sfruttato» dice a EconomyUp Nasser Ghanemzadeh, direttore di Finnova, acceleratore di startup tra cui Tap30, l’Uber persiana. Ci sono anche Digikala, clone di Amazon, ZarinPal, analoga a PayPal, e Aparat, la YouTube locale

Pubblicato il 03 Nov 2016

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“L’Iran è untapped (intatto, Ndr) ed è il mercato più grande al mondo che aspetta di essere sfruttato”: non ha dubbi Nasser Ghanemzadeh, giovane direttore dell’acceleratore Finnova, che si trova al centro di Tehran. In una strada interna a poca distanza da Vali-e Asr, la lunghissima arteria cittadina che conduce all’omonima piazza piena di uffici e banche, decine di giovani iraniani contribuiscono alacremente all’innovazione del Paese. Finnova è uno dei tanti esempi della voglia dell’Iran di sfruttare appieno le possibilità di uscire dall’isolamento internazionale create dall’accordo con l’Occidente. L’intesa sullo sviluppo del nucleare ha posto le basi per l’eliminazione delle sanzioni che da quasi 40 anni limitano l’economia iraniana e ha fatto sì che un Paese di 80 milioni di persone sia pronto al nuovo debutto sui mercati internazionali.

Circa il 60% degli iraniani hanno fra i 20 e i 32 anni, 40 milioni di loro navigano on line, 72 milioni hanno un cellulare – di cui quasi la metà sono smartphone – e negli ultimi tre anni il miglioramento delle infrastrutture ha triplicato la velocità di connessione (in tutto l’Iran c’è il 4G): “I nostri vecchi hanno iniziato a usare la tecnologia con gli smartphone, saltando direttamente la fase di digitalizzazione con i personal computer. – spiega Ghanemzadeh – C’è fame di tecnologia ed è per questo che tutti vogliono fare startup e la maggior parte si specializza nella creazione di software”.

Il trucco è semplice: gli startupper, che grazie ai VPN non hanno mai avuto problemi ad aggirare i filtri applicati a internet dai censori governativi, conoscono benissimo cosa si muove in Occidente e quindi non devono far altro che riproporlo a casa. Così le startup iraniane di maggior successo stanno offrendo i servizi che il mondo occidentale conosce da tempo: Digikala, valutata sui 150 milioni di dollari, è un e-commerce sul modello di Amazon; Cafe Bazaar è una app per Android che funziona come Google Play e con i suoi 20 milioni di utenti vale circa 20 milioni di dollari; ZarinPal svolge lo stesso ruolo di PayPal; Zoraq è il primo portale iraniano per la prenotazione dei viaggi sulla falsa riga di Expedia; la Groupon iraniana si chiama Takhfifan mentre Aparat è la YouTube persiana. “Aparat e Digikala sono le prime due startup che hanno fatto il salto di qualità e adesso sono grandi aziende, ma tutti stanno correndo. – continua Ghanemzadeh – Gli incubatori come il nostro stanno crescendo e il governo supporta il movimento con il suo Technology Park (dove campeggia la scritta “la Silicon Valley iraniana”, ndr). Quello che ancora deve crescere sono gli investimenti. Il VC è la parte più debole del sistema, perché ce ne sono pochi. Speriamo di raddoppiare in due-tre anni”.

Finnova si occupa della fase seed e ad oggi conta una ventina di startup. Una di queste che è uscita da poco è Tap30, che in persiano suona come tapsì ed è nata per clonare Uber. In realtà Tap30 non è la prima startup ad aver pensato a una app per spostarsi in taxi per Tehran. Nella capitale si è molto diffusa Snapp che ha il vantaggio di essere sia in lingua persiana che in lingua inglese e che ha ricevuto in soli due giorni ben 20 milioni di dollari di investimenti da MTN, la holding sudafricana che da tempo investe in Iran, dove possiede anche una compagnia di telefonia mobile.

“I nostri numeri stanno crescendo al triplo della velocità di Snapp. Presto la supereremo” afferma sicuro Milad Monshipour, Ceo e co-fondatore di Tap30. Al terzo piano del palazzo di Tehran nord dove Tap30 si è insediata, fervono i lavori per ammodernare i locali, mentre una ventina di uomini aspetta nella saletta di essere convocati al colloquio per diventare tassisti di Tap30. Funziona così: si scarica la app e quando serve un taxi basta localizzare il punto di partenza, mettere l’indirizzo di destinazione e subito appare l’autista più vicino e il prezzo della corsa. In una città enorme di 14 milioni di abitanti che si spostano quasi esclusivamente in macchina, questo è un servizio di non poco conto. “Ho vissuto in Canada, dove ho lavorato in grandi aziende per molti anni. Cinque anni fa sono tornato in Iran perché vedevo che nel mio Paese le cose stavano cambiando velocemente. – racconta Monshipour – Le infrastrutture stavano migliorando, sempre più persone usavano la tecnologia e le scuole e le università stavano formando talenti sempre più preparati. Così ho deciso di investire due milioni di dollari in private equity e ho fondato Tap30, che cinque mesi fa abbiamo lanciato sul mercato. La cosa bella è che mi chiamavano a tenere lezioni su come si investe e come si fanno startup e adesso uno dei miei studenti è un socio co-fondatore di Tap30″. Sì, sembra proprio che l’Iran resterà untapped ancora per poco.

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