Sport & imprenditoria

Rio2016, 7 lezioni dalle due medaglie d’oro italiane ventenni per i giovani italiani che fanno startup

Fabio Basile, 21 anni. Daniele Garozzo, 24. Hanno trionfato ai Giochi Olimpici. Ecco che cosa insegnano le loro imprese sportive: dalla capacità di soffrire alla necessità di non avere paura e di lottare per la leadership. Grazie anche a un sistema che tutela e sostiene i talenti

Pubblicato il 08 Ago 2016

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Che cosa possono imparare le migliaia di giovani italiani che stanno creando startup dalle due medaglie d’oro Fabio Basile,21 anni, e Daniele Garozzo, 24? Molto più di quanto possano fare pensare i look sfrontati dei due atleti e i post su Facebook. I campioni piacciono, perché sono vincenti. Generano entusiasmo. E quindi anche spirito di emulazione. Non solo, c’è da augurarsi, per i pettorali o la pettinatura. Perché la competizione sportiva e quella economica hanno molte cose in comune, come del resto confermano gli allenatori diventati consulenti di management (da Julio Velasco a Gian Paolo Montali).

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Gli ori olimpici Fabio Basile (judo) e Daniele Garozzo (fioretto)

Il 7 agosto 2016 resterà una data storica per lo sport italiano: è il giorno in cui è stata conquistata la medaglia d’oro olimpica numero 200 grazie a un giovane torinese, originario del Sud: Fabio Basile, che conquista il trofeo nello judo (categoria 66 kg). Dopo poche ore trionfa nel fioretto il siciliano Daniele Garozzo. La forza e l’intelligenza, la lotta e la schermaglia. Ecco 7 lezioni che i due giovani campioni, la loro breve storia e loro dichiarazioni, consegnano ai coetanei che vogliono fare impresa.

1. IO VOGLIO ARRIVARE A RIO. PUNTO E BASTA
Fabio Basile non avrebbe dovuto partecipare a queste Olimpiadi. Il tecnico giapponese Kurakami voleva prepararlo per Tokio 2020. Ma nel dicembre 2015 Fabio decide: “Io voglio andare a Rio. Punto e basta”. Intensifica gli allenamenti, ce la mette tutta per fare una buona gara. E ve ben oltre. Il successo è anche un atto di volontà. La determinazione è un tratto caratteristico del campione-imprenditore.

2. SONO RIUSCITO A TRASFORMARE LA SOFFERENZA E IL DOLORE IN ARMI DA USARE SUL TAPPETTO CONTRO I MIEI AVVERSARI
Per arrivare qui ho sofferto tanto”, ha detto Basile dopo la vittoria. “Ho sofferto così tanto che ha cominciato a piacermi, perché il trucco per diventare campione è quello di soffrire ed allenarsi tantissimo». Chi non vuole o non sa soffrire non è portato a compiere grandi imprese.

3. MI AVETE BUTTATO IN MEZZO AI LUPI, NE SONO USCITO DA CAPOBRANCO
È la frase, non sua e per nulla originale, che Basile posta sul suo profilo Facebook lo scorso marzo, dopo che ha saputo di aver ottenuto la partecipazione ai Giochi di Rio. Una volta che ti sei buttato, devi lottare per essere il leader senza aver timore di affrontare chi ha più esperienza di te. Come hanno fatto Fabio e Daniele, persino spavaldi verso atleti più maturi e, sulla carta, più forti di loro. ««In tanti mi dicevano di smettere, che non sarei mai diventato un campione: ecco questa medaglia la dedico anche a loro», ha detto dopo il trionfo Basile.

4. LO SPORT VA A CERCARE LA PAURA PER DOMINARLA, LA FATICA PER TRIONFARLA, LA DIFFICOLTà PER VINCERLA
La sentenza di Basile, al di là di qualche licenza poetica, è il concentrato di ogni impresa, sportiva e non. Non è possibile aver paura, non è ammesso aver paura della fatica, non è ammissibile fermarsi di fronte alle difficoltà, piccole o grandi che siano. Le difficoltà si superano con la fatica. E la fatica aiuta a eliminare ogni paura (di non farcela). Come dice Julio Velasco, allenatore della nazionale maschile di pallavolo negli anni 90, quelli della “generazione dei fenomeni”, “la cosa fondamentale dello sport, che non ha eguali in altre attività, è che ti insegna a vincere e anche a perdere”. Non si fanno startup in grado diventare vere imprese se si ha paura di fallire.

5. NON SO SE SERVIRÀ, MA STARE TUTTO QUESTO TEMPO INSIEME è STATO BELLO, PER CONOSCERSI
È quello che diceva Daniele Garozzo, ancora dolescente, al padre che lo portava da Acireale, dove era l’unico in palestra a praticare il fioretto, a Modica, dove poteva allenarsi. 144 chilometri, un’ora e mezza di auto che avrebbero potuto scoraggiare lui, e la famiglia, se non ci fossero stati determinazione da una parte e comprensione dall’altra. E la consapevolezza che nulla garantisce il risultato ma tutto ha senso, se riesci a trovarlo. Ma devi farlo scoprendo magari ragioni diverse dalla motivazione principale.

6. DANIELE VIVE SU UN ALTRO MONDO. CON LUI SAI COME INIZIA LA GIORNATA, NON COME FINISCE
La pennellata affettuosa, e preoccupata, della madre di Garozzo aggiunge al ritratto del Campione la concentrazione, l’ossessione e un po’ di sano egocentrismo. Il successo è anche funzione di questi fattori. «Daniele dimentica tutto, anche di chiamare a casa per dire che sta bene». In testa c’è solo l’impresa.

7. IL TALENTO NON BASTA SENZA UN SISTEMA CHE LO SOSTIENE E LO VALORIZZA
L’ultima lezione delle due medaglie d’oro ventenni è di sistema. Adesso è il momento dei Campioni e delle loro individualità. Ma se Basile ha trionfato è anche perché il judo azzurro sale sul podio olimpico ininterrottamente da Montreal 1976. Garozzo è l’ultimo talento, in ordine di tempo, di una lunga serie che la scherma italiana , ed in particolare il fioretto, sforna senza interruzione, persino nelle stagioni meno brillanti. Anche i migliori talenti non vanno da nessuna parte se non c’è un sistema che li tutela e li sostiene. Va bene la determinazione, la capacità di resistenre alle avversità, la sofferenza ma nello sport, come nell’imprenditoria, il successo è il frutto di un team, ltanto argo fino a diventare un Paese.Per chiudere torna utile un’altra sentenza di Basile: «I giovani sono il futuro dello sport? Secondo me sono il presente». Dovrebbero farne un’epigrafe da attaccare sulla facciata del Ministero dello Sviluppo Economico in via Veneto.

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