NUOVA IMPRENDITORIA

Le startup possono (e devono) essere un affare per donne: ecco come

In Italia le startup con compagine societaria a prevalenza femminile sono solo il 13%. Eppure le imprenditrici hanno il 5% in più di probabilità di proporre business innovativi e sono più adatte a individuare i bisogni dei mercati. Per questo il Polimi lancerà a breve un percorso di accelerazione a sostegno delle donne

Pubblicato il 20 Nov 2017

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Qualche giorno fa ho partecipato al seminario “Women in Tech, eccellenze italiane nella tecnologia”, organizzato a Firenze dalla Confindustria, dalla European Business School e da CrossThink-Lab. È stato un momento intimo di scambio tra docenti, imprenditrici e manager sul tema della disparità di genere nelle professioni tecniche e per me occasione di una prima riflessione sul ruolo della donna nell’imprenditoria high-tech.

In Italia, secondo l’ultimo rapporto del MISE, le startup con una compagine societaria a prevalenza femminile sono 1.054, il 13% del totale delle startup innovative, contro un rapporto del 17% se si prende in esame l’universo delle società di capitali. In PoliHub ad esempio la percentuale si abbassa lievemente, essendo il nostro raggio di azione molto focalizzato sulle nuove imprese high-tech. A livello globale le cose non sembrano andare meglio: tra le startup registrate su CrunchBase nel 2017, solo il 17% ha  una co-founder donna.

Le startup fanno lenti progressi anche nell’includere le donne nelle diverse posizioni di leadership. L’ultimo report Women in Technology Leadership della Silicon Valley Bank (SVB) mostra ad esempio che negli Stati Uniti, paese che nel ‘Global Gender Gap Index 2017’ del World Economic Forum ci stacca di ben 33 posizioni, non ci sono stati progressi negli ultimi anni: il 70% della startup non ha donne nei Board e il 54% non ha donne in posizioni di leadership in generale.

Insomma i dati sembrano indicare che ad oggi le startup non sono un “affare” per donne. Eppure gli studi dimostrano la correlazione positiva delle performance aziendali con la leadership femminile sia nelle startup che nelle aziende tradizionali.

Lasciando infatti per un attimo l’analisi statistica del fenomeno ed entrando nella dimensione del reale valore prodotto dal contributo femminile nello sviluppo imprenditoriale si scoprono aspetti interessanti. Sempre la SVB rivela ad esempio che le startup fondate anche da donne in America ricevono investimenti con una probabilità doppia rispetto alle startup fondate da soli uomini. Secondo il Global Business Entrepreneurship Monitor 2016/17 le imprenditrici hanno il 5% in più di probabilità di proporre business innovativi rispetto agli uomini perchè, per le donne, l’imprenditorialità per ‘opportunità’ è decisamente più elevata di quella per ‘necessità’. Che le donne sono più adatte a individuare i bisogni del mercato e a coglierne le opportunità (Kauffman Index: Startup Activity 2017) e che più alta è la percentuale di donne nel top management delle aziende, maggiori sono i ritorni per gli azionisti (CS Gender 3000 del Credit Suisse Research Institute).

E’ chiaro quindi che il problema non è biologico ma sociale e culturale, con un non trascurabile impatto economico. Le poche donne d’”affari” esprimono delle attitudini importanti per lo sviluppo di un’impresa ma soprattutto la diversità di genere nelle organizzazioni crea aziende più competitive. Quest’ultimo aspetto è particolarmente vero nelle startup in cui la regola prima è quella di avere alla base un team multidisciplinare in grado di mettere assieme diverse abilità e di valorizzare le differenze. Anche la diversità di genere in questo contesto diventa quindi un fattore critico di successo per lo sviluppo del potenziale di innovazione di un impresa, al di la’ dei principi di uguaglianza, di tutela dei diritti e delle pari opportunità.

Come fare allora a sostenere e promuovere la presenza femminile nelle imprese innovative? Un primo passo è l’avvicinamento delle ragazze alle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La competenza tecnica e scientifica rimane infatti un importante presupposto per lo sviluppo delle imprese innovative e solo il 12,6% delle studentesse italiane intraprende un percorso universitario legato alle STEM, solo il 6,4% lavora nell’ICT e il 13,3% in settori correlati all’ingegneria. Nella nostra Università (Politecnico di Milano) ad esempio il rapporto studentesse/studenti è 1 a 5, quello ricercatrici/ricercatori e’ 1 a 3: numeri ancora bassi per sostenere la creazione di team di impresa multiculturali e avviare politiche di leadership inclusiva. Il prorettore del Politecnico di Milano Donatella Sciuto sostiene che “bisogna intervenire prima per eliminare lo stereotipo secondo il quale le ragazze non sono portate per la matematica e le scienze e vengono allontanate da percorsi tecnici-scientifici”. Esorta a regalare il “piccolo chimico” anche alle bambine, per far capire loro che non ci sono strade precluse per il loro sviluppo professionale.

E credo che proprio questa sia la strada, quella di incoraggiare un cambio di paradigma culturale e sociale nelle nuove generazioni offrendo role model diversificati che possano creare maggiore consapevolezza nella scelta delle proprie passioni, evitando appiattimenti e polarizzazioni di genere.

Chiaro è che per invertire la tendenza nel breve periodo si possono creare incentivi più forti per le startup. In Italia ad esempio una legge efficace relativa alla presenza delle donne nelle società quotate e pubbliche è stata la Golfo-Mosca del 2012, che oltre ad aver comportato a metà del suo periodo di applicazione il triplicarsi  delle donne presenti nei CDA, ha contributo alla creazione di un bacino di donne da cui attingere per la composizione dei consigli.

Certamente il tema non è risolvibile per via normativa e il merito deve essere uno dei criteri di applicazione della norma, ma credo che per avere dei cambiamenti a volte sia necessario forzare delle discontinuità, così come nelle organizzazioni, nella società, anche se per un  periodo di tempo limitato. In PoliHub? Dal 2014 partecipiamo al programma di sensibilizzazione “Le ragazze possono”, assieme al Politecnico di Milano e alla Fondazione Politecnico. A breve lanceremo un percorso di accelerazione imprenditoriale per sostenere e incentivare l’ingresso delle donne nei team delle nostre startup.

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Claudia Pingue
Claudia Pingue

General manager di PoliHub, è Venture partner di 360 Capital e Chairman e cofounder di doDigital, startup che supporta le aziende nei processi di digital transformation

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