L'INCONTRO

I consigli di Federico Marchetti: fare startup oggi? Servono più soldi. In che ambito farla? Nella sostenibilità

“Yoox non sarebbe mai potuta nascere negli Stati Uniti. Ma il contesto oggi è tutto diverso: servono molti più capitali oppure un’idea dirompente. Dove andarla a cercare? Nella next big thing: la sostenibilità”. Federico Marchetti rivela la formula dell’unicorno, con qualche aneddoto dalla sua storia d’imprenditore

Pubblicato il 12 Dic 2022

Federico Marchetti

Il miracolo dell’unicorno si può ripetere anche oggi in Italia. Yoox, per esempio, sottolinea Federico Marchetti, l’inventore dell’e-commerce italiano della moda, non sarebbe mai potuta nascere in America. Ma il contesto è tutto diverso: servono molti più capitali oppure un’idea dirompente. Dove andarla a cercare? Nella next big thing: la sostenibilità.

Tutti conoscono Yoox Net-a-porter, l’azienda dell’e-commerce della moda e del lusso. Un po’ meno conosciuti sono i suoi primi passi, quando Yoox (siamo nel 2000) era solo un’idea nella mente di Federico Marchetti (che è uscito dal gruppo nel luglio 2021).  Tre mesi, due manager nel team, un investitore e 1,2 milioni di euro per farcela o bruciarsi: l’imprenditore emiliano ha ripercorso la storia della sua impresa, che resta la più grande digital company fondata in Italia e fino a quest’anno l’unico unicorno, in occasione di un evento che si è tenuto a Roma presso Pi Campus, la società di venture capital che investe nelle startup early stage ad alto tasso di innovazione tecnologica.

Federico Marchetti: fare unicorni in Italia è possibile, ma…

Il successo di Yoox (che si è fusa con Net-a-porter nel 2015) è stato alimentato da una buona dose di genialità e audacia, unita a un pizzico di rocambolesca fortuna. Alle soglie del 2023 in Italia è ancora possibile il miracolo dell’unicorno? “Certo”, ci ha risposto Marchetti senza alcuna esitazione. Ma è stato altrettanto fermo quando ha chiarito: “Il contesto è completamente diverso”.

“Vengo dalla provincia di Ravenna e da una famiglia umile. Sognavo una vita diversa e a 19 anni ho lasciato casa”. Inizia così il racconto di Marchetti. La prima destinazione è Milano, dove pensava di iscriversi a medicina per fare psichiatria. “Ma c’era il test di ingresso e avrei dovuto passare l’estate a studiare. Allora ho scelto economia”.

Ironico, inventivo, pronto ad assumersi i rischi: questo è Marchetti.

Federico Marchetti prima di Yoox

All’università Bocconi Marchetti conferma questi tratti: segue le lezioni ma non si sente stimolato. E allora fantastica di prodotti e innovazioni e solo i capitali sono la distanza tra il sogno e la realizzazione. Quando sul mercato arrivano i primi cellulari ne rimane affascinato: ne intuisce immediatamente la portata dirompente. “Li guardavo e pensavo: bisognerebbe metterci dentro la macchina fotografica, così non si hanno due cose in mano. Pare che non fosse una cattiva idea. Ma non ero ingegnere, non ero in grado di realizzarla”.

Dopo la laurea nel 1993 Marchetti va a lavorare per una banca americana.

“Non mi piaceva, ma è stata una buona palestra. Era una grande banca, Lehman Brothers…”, e siccome nel pubblico si solleva una sottile risata (forse pensando alla bancarotta della società nel 2008 ). “Funzionava benissimo. Mi ha dato una grande opportunità di fare pratica dopo l’università”.

La banca è solo una parentesi. Marchetti ha voglia ancora di esperienze e decide di proseguire la sua formazione con un master. Manda la candidatura a una serie di atenei; le università Harvard e Stanford negli Stati Uniti la respingono, la accettano, invece, l’Insead, in Francia, e la Columbia University. “Fra la campagna francese e New York non ho avuto dubbi. Sono stati gli anni più belli della mia vita”, racconta Marchetti. “Le persone pensavano che stessi lì a studiare. Ma io vivevo a Manhattan, l’università era dall’altra parte della città…quindi no, non molto”. Battute a parte, gli Stati Uniti sono fondamentali per Marchetti per venire a contatto con il mondo Internet e comprenderne i meccanismi.

Terminato il master Marchetti torna in Italia e trova lavoro, ma è insoddisfatto. Non è tagliato per stare in un’azienda: si dimette e decide di creare la sua venture. Finanziatori non se ne trovano, anche perché “andavo in giro a parlare con i venture capitalist e mi chiedevano chi altro finanziasse il progetto. E io: ancora nessuno, saresti tu il primo”.

La nascita di Yoox, grazie a Elserino Piol

Alla fine, Marchetti trova un finanziatore che crede nella sua idea. È Esterino Piol, manager di Olivetti, venture capitalist del mondo delle telecomunicazioni, capace di vedere avanti e di capire il potenziale dell’idea del giovane startupper: la vendita online di prodotti dell’industria del lusso. “Era il febbraio del 2000”, racconta Marchetti. “Avevo 1,2 milioni di euro da spendere, che mi sarebbero stati dai in due tranche. Con la prima parte dovevo – in tre mesi – creare la piattaforma Internet, assumere un Chief marketing officer e un Chief technology officer, organizzare la logistica e raggiungere alcune centinaia di ordini. Solo con questi risultati sarebbe arrivata la seconda tranche. E ci sono riuscito, dal 21 marzo al 21 giugno”. Un’impresa non da poco considerato che il 2000 è stato l’anno della bolla delle dot.com. Mentre altre società di Internet fallivano, Yoox nel giugno del 2000 andava live.

L’idea di Marchetti era semplice e brillante al tempo stesso: unire Internet e la moda italiana e risolvere il problema della “end of season” per le case di moda. Yoox è stato immaginato come l’e-commerce dove si potevano comprare sempre i grandi prodotti del fashion Made in Italy. E i brand sono stati ricettivi rispetto alla proposta di Marchetti, perché la piattaforma continuava a rendere redditizie le loro creazioni oltre la stagione di riferimento.

I due pilastri della strategia di Yoox

In questa strategia due sono stati i pilastri. Il primo è il lancio del sito in inglese oltre che in italiano. L’Italia era importante per l’offerta: i brand e i prodotti. I mercati esteri però erano essenziali per la domanda: era lì che c’erano gli acquirenti desiderosi di comprare moda italiana. Infatti, il primo cliente fu olandese e il mercato Usa è presto diventato il più grande.

“L’Italia era importante per la cultura della moda e la vicinanza con gli altri mercati chiave del lusso, Parigi e Londra. Non sarebbe stato possibile creare Yoox in America, Yoox si poteva creare solo in Italia”, sottolinea Marchetti. “Il prodotto era in Italia. E per me l’offerta veniva prima della domanda, non potevo creare un e-commerce senza il prodotto”.

Il secondo pilastro è stato il design della homepage del sito. “La homepage allora era tutto, non c’erano le app. Mi sono rivolto a un’agenzia di web design, che mi ha disegnato una pagina. Ben fatta, funzionale. Ma mancava di emozione. Io volevo qualcosa di bello per gli stilisti e per i clienti. Allora ho chiesto a un team di creativi non web designer – c’erano un architetto e un art director della moda – di farmi una proposta. Mi hanno presentato una homepage artistica, quasi metafisica. Infine, ho sottoposto i due esempi a un panel qualificato, una decina di persone che avevo selezionato in modo da coprire diversi settori industriali. Tutti hanno preferito la prima proposta e così non ho avuto dubbi: la homepage di Yoox sarebbe stata la seconda. Bella, diversa, game changing”.

Un’altra grande intuizione di Marchetti è stata quella del ruolo dei dati. “Ho pensato fin dall’inizio che fossero super importanti e mi sono messo in cerca di un data miner brillante, una specie di beautiful mind dei dati”. Anche qui c’è l’aneddoto: “Feci un colloquio a un ragazzo e gli chiesi se avesse un’attitudine in questo campo. Ti piacciono i numeri? Lui mi disse che l’inquilino con cui divideva l’appartamento sarebbe stato molto più idoneo. Mi ha dato il contatto e l’ho assunto. Il coinquilino. È rimasto in Yoox per venti anni”.

Come continuare a essere una startup per 20 anni

Quando Marchetti ha lasciato Yoox Net-a-porter nel 2019 l’azienda fatturava 2,6 miliardi di euro annui. Come ha potuto mantenere la cultura della startup per quasi vent’anni? “Con le persone giuste. Sono stato molto fortunato nelle assunzioni”. Ma il punto è che tutto era nuovo: Yoox andava creata da zero e le persone avevano uno spazio immenso per inventare. “The sky was the limit” e Marchetti aveva l’abilità di guardare oltre i curriculum per capire quali persone fossero giuste per inventare nella sua azienda. “Davo valore ai tratti personali, come la generosità, la gentilezza, il carattere. E poi non c’era posto per la ‘politica’. Lavoravamo. Non dovevamo farci vedere e tessere relazioni. Andavamo avanti fast and furious. Le relazioni e la politica sono venute dopo, quando Yoox è diventata grande”.

Il successo di Yoox ha poi fatto affluire i capitali. Il lancio fortunato ha portato presto a bordo un altro investitore, “un venture capitalist che voleva effettuare un investimento in Italia e ha messo 5-6 milioni. Trovare i capitali in Italia è sempre stato difficile. Nel tempo Yoox ha raccolto un totale di 25 milioni di euro di finanziamenti. Ed è arrivata a un valore finale, come Yoox Net-a-porter, di 5,4 miliardi. Oggi non sarebbero mai sufficienti per scalare in questo modo: Zalando, per esempio, ha raccolto quasi 700 milioni”.

Fare startup oggi? Servono più soldi

Perciò la grande differenza del creare una startup e scalarla oggi è che servono molti più soldi: “O hai un’idea portentosa o ti occorrono enormi capitali”, ci ha detto Marchetti.

La nostra era è di una digitalizzazione più matura e di un mondo internet saturo. Inventare qualcosa che non esiste non è facile e spesso occorre competere con colossi ben attrezzati tecnologicamente e finanziariamente. Ma Marchetti pensa ci sia un nuovo spazio da conquistare: “L’ambiente è il grande tema e la salvaguardia del pianeta è la grande emergenza di oggi. La sostenibilità è anche una grande opportunità di business”.

Non a caso oggi Federico Marchetti è a capo della Fashion Task Force del Re Carlo. L’imprenditore italiano ha conosciuto l’allora principe di Galles nel 2018 e lo ha conquistato con i suoi progetti per una moda sostenibile, fatta di materie prime prodotte in modo responsabile e con ampio spazio per il riuso e il riciclo, oltre che per l’artigianalità e la creatività.

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Patrizia Licata
Patrizia Licata

Giornalista professionista freelance. Laureata in Lettere, specializzata sui temi dell'hitech e della digital economy, dell'energia e dell'automotive. Scrivo dal 2007 anche per CorCom, parte del gruppo Digital360

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