La buona economia

Aurora, il paradosso della stilografica nell’era digitale

Mantenere tutta la filiera produttiva artigianale in Italia, dice il numero uno dell’azienda torinese Cesare Verona, è il segreto del nostro successo: 10 milioni di fatturato, il 50% realizzato all’estero, 60 dipendenti e milioni di pezzi venduti nel mondo. «Sembra assurdo ma noi investiamo in ricerca per produrre penne»

Pubblicato il 21 Nov 2014

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Cesare Verona, ad di Aurora

Stringere tra le dita una penna è un gesto che potrebbe scomparire in un mondo dominato dalla scrittura digitale. Eppure la prospettiva non preoccupa Cesare Verona, discendente della famiglia italiana che ha fatto dell’inchiostro il nettare più prezioso per i propri prodotti: le stilografiche Aurora. «L’amore per la scrittura è nato oltre cento anni fa quando il mio bisnonno portò in Italia la prima macchina da scrivere, ben prima di Olivetti – spiega Verona che oggi è amministratore delegato dell’impresa di famiglia – È da lì che è iniziato tutto».

Il paradosso di una impresa torinese che oggi conta 60 dipendenti e ha un fatturato annuo di poco inferiore ai 10 milioni di euro, è che i parenti di Cesare hanno accantonato prestissimo la tecnologia dei tasti meccanici a favore di uno strumento più classico: la penna, appunto. «Respiro inchiostro da quando sono bambino e ho ricordi di penne ovunque in giro per casa. Ma non erano semplici oggetti di cartoleria», spiega l’amministratore di Aurora. «I nostri erano e restano prodotti di lusso». Oggi sono milioni i pezzi venduti in tutto il mondo. E forse il segreto di questo successo dal sapore vintage è la capacità di far leva sul gusto per gli oggetti classici. Gli artigiani dell’azienda incastonano bacchette di inchiostro in modelli curati nei minimi dettagli, utilizzando materiali diversi dalla plastica, come l’argento.

Eppure l’arte di creare penne stilografiche uniche non è appannaggio di Aurora. Concorrenti agguerriti come Montblanc danno filo da torcere in un

stilografiche Aurora

mercato molto competitivo. Bastano, allora, design e passione per l’inchiostro a rendere vincente il made in Italy anche in un comparto apparentemente obsoleto? «Lo so, sembra assurdo: in un’epoca dominata dal digitale noi ci ostiniamo a produrre penne, investendo molto in ricerca, sviluppo e design. Onestamente non so dire se siamo tornati indietro con la scelta di puntare sui prodotti classici per la scrittura, ma penso che la creatività e la qualità ci abbiano fatto fare enormi passi avanti». L’azienda lavora gomito a gomito con il Politecnico di Torino e i laboratori artigianali. Ai giovani che entrano in Aurora si richiede manualità e umiltà, le doti di chi “sa fare”, di chi sa forgiare metalli e colore per dar vita a un prodotto d’eccellenza apprezzato in tutto il mondo. Oltre il 50% del fatturato dell’azienda di famiglia, infatti, è realizzato all’estero. Chi acquista una penna stilografica, spiega l’amministratore, lo fa per il gusto di avere un pezzo tutto per sé, unico, artigianale e non omologato come accade invece per i dispositivi elettronici.

Anche in Cina esistono punti vendita Aurora, eppure l’intera filiera produttiva artigianale è ancorata saldamente al territorio italiano. «Mantenere la manifattura nella Penisola è sempre stato un punto fondamentale della nostra attività – racconta Verona – Anche in tempi di crisi ci siamo ostinati a restare e ora questa scelta ci rende orgogliosi». Una cocciutaggine ai limiti della follia, oggi premiata dai dati sul cosiddetto back-reshoring, il fenomeno del ritorno a casa dei centri di produzione di aziende che avevano spostato la manifattura all’estero. Negli ultimi 15 anni, infatti, circa 80 imprese italiane avrebbero scelto di riportare in suolo italico la produzione da paesi come Cina, Nord Africa e Sud America.

I Verona, in tutto questo andirivieni, non si sono spostati nemmeno di un chilometro. Hanno solo aspettato con pazienza che il tempo desse loro ragione. Del resto il carattere ostinato della famiglia sembra riflettersi nelle penne dedicate a personaggi storici come Cristoforo Colombo, Umberto Nobile, Gabriele D’Annunzio. Tutti accomunati dallo spirito d’avventura e dalla capacità di raggiungere obiettivi al di là delle critiche e dei contesti ostili. «Ora che ci rifletto, tutti i personaggi da noi ammirati e a cui abbiamo dedicato dei pezzi da collezione sono uniti da questo filo rosso», concorda Verona che vorrebbe dedicare una penna anche a Rita Levi Montalcini «per i suoi meriti, chiaramente, ma soprattutto per la sua capacità di superare i pregiudizi in un mondo scientifico fortemente maschile» e ad Andrea Bocelli «per il carattere tenace ma dolce, tutto italiano». Tutto italiano, fino all’ultima goccia di inchiostro.

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