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Il 2014 si è chiuso all’insegna del Jobs Act. Nel 2015 il tema dell’occupazione sarà ancora molto caldo, anche perché il mercato è già cambiato. Ecco le storie di chi non sogna più il posto fisso. Inviate le vostre storie, le pubblicheremo nel nostro sito

Pubblicato il 30 Dic 2014

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Il 2014 si è chiuso all’insegna del Jobs Act e delle polemiche che ne sono scaturite. Il premier Renzi è riuscito ad abbattere il feticcio dell’articolo 18. Nei prossimi mesi vedremo  se le nuove regole “produrranno” lavoro o se la flessibilità resterà sulla carta. Il sindacato, Cgil in testa, è in subbuglio e ha già annunciato nuovi scioperi generali. Nel 2015 il tema del lavoro resterà caldo, anzi caldissimo. Anche perché, articolo 18 o no, il lavoro è già cambiato.

EconomyUp comincia a raccontare il “nuovo lavoro”, ascoltando chi già lo vive ogni giorno.
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Secondo Gabriella Bagnato, docente di leadership development, selezione e sviluppo alla Sda Bocconi School of Management, “quando cominciamo a lavorare sappiamo che quel luogo di lavoro non sarà lo stesso per tutta la vita, perciò quello che conta è crearsi una ‘employability’, un bagaglio di conoscenze, competenze e relazioni che ci consentano di fare carriera non più all’interno di una stessa azienda ma passando dall’una all’altra”. Parallelamente è fondamentale la formazione continua: “In Italia – afferma – serve un sistema educativo in grado di fornire i necessari strumenti alla riqualificazione”.

Per Stefano Scabbio, ad di ManpowerGroup Italia, la fine del posto fisso non significa precarietà ma innovazione. “Fatta da Renzi, questa affermazione assume un significato molto più forte – spiega -. Non significa che non ci saranno più contratti a tempo indeterminato, ma che la mobilità nell’ambito del lavoro è cresciuta molto negli ultimi anni. I talenti si muovono e le aziende vanno continuamente in cerca di persone talentuose. Non possiamo immaginare di avere un posto fisso per  tutta la vita. Dobbiamo pensare a una carriera con numerose opportunità, fatta mediamente di cinque-sette esperienze lavorative diverse, al di là della tipologia contrattuale. L’enfasi del premier quindi è sul non rimanere fermi alle ideologie, come nel caso dell’articolo 18. Difendiamo certamente i diritti e i doveri di ogni lavoratore ma facciamo anche in modo che il Paese sia nelle condizioni di attrarre nuovi talenti e di creare innovazione”.

Insomma, il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente: cambia il modo di lavorare, di cercare lavoro e di vivere nel mondo del lavoro. Ma che cosa pensano i diretti interessati, i giovani, coloro che  cercano un’occupazione e che sono destinati a convivere con questi cambiamenti? Lo abbiamo chiesto ad alcuni startupper che, nonostante le polemiche e le condizioni poco favorevoli, hanno deciso di fare impresa nel nostro Paese. Il risultato? Non sono minimante preoccupati dalla fine del posto fisso, sono attratti dai cambiamenti in atto e vedono il mondo del lavoro pieno di possibilità. Ecco la loro versione dei fatti.

Edoardo Benedetto, founder di Starteed – Non ho mai cercato un lavoro fisso, ho sempre fatto il freelance o lavorato a progetto. Ho lasciato un contratto a tempo indeterminato già firmato per intraprendere l’avventura con Starteed senza pensarci troppo. Il contratto a tempo indeterminato dà sicuramente tranquillità e molti giovani lo cercano proprio per questo, ma impedisce molto spesso di rischiare e credere nei propri sogni. Penso che sia soprattutto una questione di mentalità, che il problema del posto fisso sia culturale e che porti parecchi problemi nella società odierna. L’idea di “sistemarsi” è troppo radicata e  spesso supera la voglia di sognare e creare qualcosa di proprio anche se non sei incentivato a livello statale a causa delle tasse e della burocrazia.

Fabrizio Perrone, fouder di Buzzoole – Di fronte al mondo che cambia a questa velocità è difficile parlare di posto fisso anche perché oggi se non produci nessuno ti dà niente. In fondo lo trovo un modo di operare più che giusto: la stabilità è una cosa sacrosanta ma dovrebbe procedere con pari impegno e dedizione. La storia ci insegna che non sempre essere dipendenti “fissi” porta grandi risultati, per cui a volte avere un po’ di flessibilità può aiutare a trovare nuovi stimoli. Sembrerò controcorrente, ma io vedo il mondo del lavoro di oggi pieno di opportunità. Chi vale prima o poi emerge. Lo dico perché guardandomi intorno vedo progetti molto interessanti e pieni di prospettive. Certo, a volte essere originali non basta. Conta la tua rete di contatti, essere al posto giusto nel momento giusto e soprattutto conta dedicarsi ogni giorno alla propria azienda fruttando e facendo fruttare tutti oltre il possibile. Bisogna essere primi, sempre.

Monica Calicchio, founder di Tailoitaly – Chris Gardner afferma nel libro La ricerca della felicità: “I never let anybody  tell me what I can do”. Per me questa è l’essenza dell’imprenditore, e non è qualcosa che il posto fisso mi può dare. Come giovane imprenditrice, vedo il mondo del lavoro di oggi come un’area ricca di possibilità nell’ambito delle nuove tecnologie e dei nuovi media, ma congestionata nella old economy. Bisogna essere flessibili, pronti a mettersi alla prova in settori mai prima considerati, essere sempre aggiornati e cosmopoliti.

Paola Marzario,  founder di Brandon Ferrari – Il posto fisso? Ormai un retaggio di anni passati. Il mondo del lavoro sarà sempre più competitivo e meritocratico. Con internet il mercato del lavoro sarà globale e non più solo italiano. Da startupper, e ora anche da mamma, sogno una nuova generazione più affamata, più poliglotta e di più ampie vedute.

Andrea Carpineti, founder di DIS Design Italian Shoes – Non ho mai avuto la certezza del posto fisso. L’unica certezza che ho sempre avuto è di credere in me stesso e nella mie capacità. Se sei competente, troverai sempre un lavoro. Il mondo del lavoro? Oggi lo vedo pieno di opportunità: se si chiudono delle porte, mi attivo per aprirne delle altre e continuo a credere nei miei sogni. Credo che i sogni siano il motore del cambiamento, infondono speranza e ci aiutano a superare il noto per raggiungere l’ignoto.

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