DINAMICHE DELL'INNOVAZIONE

Telepass, l’Antitrust e la trappola della tecnologia

Gli atteggiamenti nei confronti del progresso tecnologico sono determinati dall’impatto che ha sul reddito delle persone. Per questo l’innovazione ha sempre fatto paura e ancora ne farà. Ma i leader devono guardare lontano. Qualche riflessione a margine della multa dell’Antitrust a Telepass

Pubblicato il 26 Mar 2021

Photo by Shane Rounce on Unsplash

“Il progresso sarebbe meraviglioso, se solo volesse fermarsi
Robert Musil

Quando cominciarono a circolare le prime automobili, e siamo nella prima metà dell’Ottocento, un decreto borbonico decise di regolare l’introduzione di una “vettura a vapore senza bisogno di rotaje”. È sempre capitato che all’inizio si cerchi di “costringere” l’innovazione negli schemi preesistenti. Non parliamo poi di quel che accadde, e siamo arrivati grosso modo a cento anni fa, quando ci furono i primi incidenti e alla preoccupazione di vetturini e allevatori di cavalli si aggiunsero le paure di signore timorate di fronte alla mobilità inedita di nobili sedotti dalla tecnologia su quattro ruote.

Regole e paure sono sempre state, e sono ancora, potenti barriere per ogni tipo di innovazione: basta rileggere quello che è accaduto tutte le volte che si sono fatti saltare equilibri di potere economico, abitudini consolidate, modelli culturali. Come diceva Sir Winston Churchill, “Più si riesce a guardare indietro, più avanti si riuscirà ad andare”.

L’AGCM, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha sanzionato Telepass con 2milioni di multa per pratiche scorrette nella vendita di polizze assicurative attraverso la sua app. Avrebbe violato la privacy dei suoi clienti e non sarebbe stata trasparente nella presentazione delle compagnie partner. Entrare nel confronto legale sulla vicenda qui interessa poco. Chi vuole può leggere qui il testo del provvedimento dell’Antitrust. La pratica farà il suo corso e Telepass avrà modo di far valere le sue ragioni. Il caso si presta, però, ad alcune considerazioni di carattere generale sui meccanismi e le reazioni all’innovazione.

“Telepass, nuovo entrante nel settore della intermediazione assicurativa, è consapevole che l’innovazione possa essere percepita come una minaccia da parte di alcuni operatori tradizionali”, ha scritto l’azienda in un comunicato. L’equilibrio fra tradizione (e regole) e innovazione (e nuovi modelli) è un tema non da poco soprattutto in questa fase della nostra storia in cui dobbiamo affrontare una transizione digitale e una transizione ecologica. Sarà dura arrivare dall’altra parte del fiume se non riusciremo a sposare, come Paese, le ragioni e gli interessi dell’innovazione digitale e della sostenibilità che viaggiano anche con la concorrenza.

L’innovazione ha sempre generato e continuerà a generare attriti: a livello psicologico, nella società, dentro le organizzazioni aziendali. “Nel cuore di colui che vuole fare qualcosa di nuovo, le forze dell’abitudine si alzano a ribellarsi contro il nuovo”, scriveva Joseph Schumpeter, profeta dell’imprenditore-innovatore. Il cambiamento fa paura, anche perché è spesso oggettivamente, pericoloso e non sempre porta bene a tutti. Ma bisogna scegliere da che parte stare e decidere qual è l’orizzonte temporale della propria azione: guardo all’oggi, al massimo al dopodomani o penso al futuro?

Lo spiega bene Carl Benedikt Frey, condirettore dell’Oxford Martin Programme on Technology and Employment presso l’Università di Oxford, e autore del libro “La trappola della tecnologia”, da poco pubblicato in Italia da Franco Angeli. Il Financial Times l’ha giudicato il miglior libro sulla tecnologia del 2019 e in effetti è uno straordinario scrigno di oggetti e soggetti utili per fare l’esercizio suggerito da Churchill: guardare indietro per andare avanti.

Frey parte da un concetto di cui si tiene raramente conto quando si parla di innovazione:

“Gli atteggiamenti nei confronti del progresso tecnologico sono determinati dal modo in cui questo incide sul reddito delle persone”

Ovvio che chi ha paura di perdere il posto di lavoro a causa dei robot e dell’intelligenza artificiale sarà contrario a qualsiasi progresso e innovazione. Non sorprende quindi che a far partire l’istruttoria dell’Antitrust contro Telepass sia stata una segnalazione dell’Associazione Nazionale degli Agenti Professionisti di Assicurazione (ANAPA) che si sentono comprensibilmente minacciati dalla disintermediazione portata dalla tecnologia e si appellano al rispetto delle regole in nome di consumatori usati come testa d’ariete.

L’azione antitrust dovrebbe stimolare e non ostacolare l’innovazione, ricordava nel 2018 l’ex presidente Giovanni Pitruzzella lasciando la guida dell’Authority: “Altro filone dell’economia digitale è quello delle piattaforme online, alcune in grado di controllare l’accesso al mercato creando vincoli per ostacolare la concorrenza, altre, al contrario, costrette a subire gli ostacoli degli operatori tradizionali” (e in quel momento citava i tassisti…). Che cos’altro è, più di recente, la lettera inviata al premier Mario Draghi dall’attuale presidente Roberto Rustichelli se non una richiesta di più concorrenza, dalla banda larga all’energia fino ai negozi, necessaria per far “rimbalzare” l’economia e salvare l’Italia?

“Siamo innovatori (e) responsabili”, ha scritto su Linkedin il CEO di Telepass Gabriele Benedetto annunciando la sanzione e difendendo con convinzione l’operato della società: “Il solco verso il futuro è tracciato, e dobbiamo essere ancora più responsabili nei confronti del compito che ci attende da domani mattina!”. Quando fai innovazione devi responsabilmente andare oltre le inevitabili opposizioni, sapendo che le tecnologie hanno sempre portato a modificare atteggiamenti, culture, regole.

Qualche generazione di lavoratori inglesi ha subito gli effetti della rivoluzione industriale e non ha potuto godere della ricchezza che poi ne è conseguita. Quindi i luddisti che distruggevano i telai avevano ragione? Sì, risponde provocatoriamente Frey, ma se l’avessero spuntata l’Inghilterra non sarebbe stata il centro della rivoluzione industriale e Londra probabilmente non sarebbe diventata quello che è poi stata nel secolo scorso. Avevano ragione i tassisti a fare fiamme e fuoco contro Uber? Si, dal loro punto di vista. Ma il modello e il servizio portato dalla ex startup americana hanno cambiato il mercato della mobilità con vantaggi per i cittadini.

Succederà ancora e forse con maggiore veemenza nel futuro prossimo, vista anche la difficile situazione economica causata dalla pandemia. Andrew Yang, filantropo americano e fondatore dell’organizzazione non-profit Venture for America  nata per creare e leader e gli imprenditori del futuro, prevede: “Quello che serve per destabilizzare la società sono le auto a guida autonoma….Ci saranno un milione di autotrasportatori senza lavoro che sono per il 94 per cento maschi, con una istruzione media di scuola superiore o un anno di università. Quella singola innovazione sarebbe sufficiente per creare una sommossa”. .

Bloccare o facilitare l’innovazione alla fine è una scelta del potere politico e delle istituzioni che ne gestiscono le applicazioni legislative. La rivoluzione industriale in Inghilterra fu possibile, nonostante il movimento luddista, perché il potere politico si schierò dalla pare di chi avrebbe avuto vantaggio dalla meccanizzazione .

Conclude Frey: “Uno dei motivi per cui la crescita economica è ristagnata per millenni è che il mondo è rimasto imprigionato in una trappola tecnologica in cui le tecnologie che sostituiscono il lavoro umano erano regolarmente e vigorosamente contrastate per timore del loro potere destabilizzante”. Ecco perché dobbiamo tutti fare un grande sforzo per “smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a questo momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova. Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare” (Benjamin Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Adelphi). Per non cadere nella trappola della tecnologia. E delle regole che funzionano solo per gli interessi del passato.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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