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Startup in Europa, quali sono gli hub migliori per fare e trovare innovazione

Cresce la velocità di internazionalizzazione delle nuove imprese e la mobilità dei founder. Londra e Berlino perdono attratività ma sono ancora considerate le migliori città per fare una startup in Europa. Il report “Startup heat map Europe” scatta una fotografia dell’ecosistema continentale, con l’Italia ancora indietro

Pubblicato il 12 Nov 2019

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Quali sono le città preferite per aprire una startup in Europa? E perché?  “Startup heat map Europe” è un report davvero interessante, non solo per chi si appassiona dei temi di startup e venture capital ma anche e soprattutto per chi dovrebbe guidare il Paese con policy pubbliche adeguate.

Il report mappa annualmente la qualità percepita degli hub di startup in Europa e traccia i movimenti e la mobilità dei fondatori di startup. La ricerca del 2019 ha coinvolto 1.200 partecipanti, di cui il 53% cosiddetti “founder” di startup. Gli argomenti su cui questi soggetti hanno valutato gli hub di startup sono 6: la disponibilità di capitali, la facilità di fare business da un punto di vista della burocrazia e più in generale della “business regulation”, la disponibilità di talenti, le relazioni con le industrie, l’ecosistema delle startup, e infine il “value for money” (che potremmo tradurre con il concetto quasi simile di rapporto qualità-prezzo).

La mappa delle startup in Europa, i dati essenziali

Ecco le principali evidenze sugli hub delle startup europee:

  • aumenta la mobilità, con più del 30% dei fondatori nati altrove;
  • internazionalizzazione più veloce, con il 55% delle startup europee che aprono i propri uffici internazionali nel primo anno;
  • tradizionali top hub di startup come Londra e Berlino perdono attrattività;
  • founder che si affidano sempre di più a network che attraversano più nazioni, come quello più importante tra Londra, Berlino, Barcellona, Parigi e Lisbona.
  • Brexit che divide anche i founder europei, alcuni dei quali cominciano a perdere fiducia nella città di Londra, pronti ad abbandonare l’isola britannica.

L’identikit dei founder di startup in Europa

Dal 2016 il tasso di “foreign-born founders”in Europa è cresciuto dal 23% al 29%. E il 40% di questi proviene da Paesi non europei. Le regioni che beneficiano maggiormente sono UK e Irlanda (+25%) come anche il Benelux (+18%) e l’area baltica (+18%). A parte Spagna (+29%) e Portogallo (+12%), il resto del Sud Europa perde founder (-9%), con picchi negativi – ahimè –  dell’Italia (-20%) e del solito nostro compagno di disavventure che ci fa sentire un pò meno soli, la Grecia (39%).

founder si muovono di più e si “internazionalizzano” velocemente: ben il 55% delle startup avvia degli uffici internazionali entro il primo anno di attività. E lavorano sempre più spesso insieme, in un ecosistema europeo che vede 6 top hub per fare startup: Londra, Berlino, Barcellona, Parigi e Lisbona, che congiuntamente raccolgono il 75,3% di tutti i founder in Europa, con tanto network grazie al quale si condividono capitali e talenti, strumenti indispensabili per lanciare il business delle startup.

Il migliore hub per fare startup in Europa

Alla domanda su quale sia l’hub migliore per fare startup, le risposte dei founder fanno perdere a Londra e Berlino rispettivamente 13 e 17 punti percentuali, rispetto ai 4 anni precedenti. Tuttavia, Londra rimane ancora nella prima posizione, davanti a Berlino (38% vs 35% dei fondatori), Barcellona e Parigi.

Barcellona è un nodo centrale tra gli hub cosiddetti di secondo livello, di interscambio soprattutto tra Madrid e Milano. In ambito “tedesco”, Zurigo e Monaco sono le destinazioni preferite per startup nei settori health&biotech e big data, mentre Vienna e Zurigo per il FinTech.

Un trend evidente che viene mappato dal report è la crescente importanza di poche città globali, che mettono in connessioni persone e business delle startup, dove si concentrano poi gli investimenti di venture capital. Un’analisi dei dati di Dealroom sul livello di investimenti nei 54 hub di startup in Europa ci dice che i top 4 (Londra, Parigi, Berlino e Stoccolma) sono cresciuti del 49% a 9,71 miliardi di euro.

In sostanza, le startup che si localizzano in certi hub hanno molte più probabilità di chiudere con successo il fund raising.

Le destinazioni al top per l’internazionalizzazione

La top-ten delle destinazioni scelte dalle startup europee quando vogliono internazionalizzarsi vede UK ancora al primo posto, nonostante la Brexit, seguita da Germania, US e sorprendentemente l’Asia.

C’è poi una “frizzante” narrativa che unisce le startup Europe, grazie anche all’importanza crescente di eventi e conferenze in cui le startup realizzano un ver e proprio ecosistema tra di loro. Se qualcuno pensa che in Italia si facciano troppi eventi e ci siano troppi blog (tra cui Eureka!) che parlano di startup, i numeri in Europa sono ben più impressionanti:

Il cuore delle startup europee è racchiuso in una “Circle Line“, che comprende i top 6 hub che attraggono complessivamente il 75,3% di tutti i founder europei e più del 44% degli investimenti (10.4 miliardi di euro). Questi hub sono tra loro perfettamente complementari: ad esempio, Londra porta con sé grande disponibilità di capitali e “industry connection”, mentre Lisbona e Barcellona mostrano un grande “value for money” e Amsterdam ha il miglior “business environment”.

Barcellona è uno snodo importante degli hub a sud dell’Europa, molto ben connessa per esempio sia con Madrid che Milano. Lisbona non risulta essere connessa direttamente con Milano, ma ha una forte relazione con Madrid. Complessivamente, gli hub del sud Europa potrebbero fare meglio, considerando che nel 2018 hanno attratto solo 1,8 miliardi di euro (7,82% di tutti i fondi investiti nei top 50 hub in Europa).

Altre “rotte” naturali di collegamento tra hub sono l’ “Atlantic Triangle” (tra Londra, Lisbona e Dublino), la “FerryLink” tra Helsinki e Tallin (collegate da un traghetti di sole 2 ore con 6 partenze al giorno e nove voli giornalieri), il “Nordic Bypass” che collega gli hub più a nord (Londra, Berlino, Stoccolma, Helsinki, Tallin, Riga) e la “CEExpressway” tra Varsavia, Vienna, Budapest, Sofia e Praga verso Amsterdam, Berlino e Londra.

Gli hub per startup in Italia: Milano, Roma, Torino

Quanto sta accadendo in Europa in sostanza ci dice che i Paesi, i policy maker e gli operatori privati devono adoperarsi per favorire la concentrazione di capitali, idee e talenti in pochi hub selezionati. In Italia abbiamo senza dubbio Milano, attorno a cui ruota da sempre quel poco che abbiamo nel Paese di ecosistema delle startup e degli investitori. Un secondo polo importante lo diventerà nei prossimi anni la città di Roma, dove già da qualche anno insiste una buona filiera di investitori specializzati nel seed capital e che – grazie alla finanziaria regionale Lazio Innova e al suo programma per far crescere il capitale di rischio nella regione FARE Venture – ha da poco 4 fondi di venture capital che hanno deciso di localizzare una quota parte delle loro attività tradizionalmente basate su Milano (United, Fondo Italiano di Investimento, Primomiglio, Vertis). Questi fondi, alcuni dei quali hanno già fatto i primi investimenti e hanno avviato le attività di scouting sul territorio, investiranno nel Lazio nei prossimi 5 anni 44 milioni di Euro.

Già oggi secondo lo European Regional Competitiveness Index (che prende in considerazione diversi gli elementi quali le domande di brevetto e le pubblicazioni scientifiche, la spesa in ricerca e sviluppo e la percentuale di lavoratori in settori tecnologici sul totale), il Lazio con un punteggio di 55,1 è l’unica regione italiana a superare la media europea, su una scala che va da 0 a 100, pari a 49,2.

Attenzione poi a Torino, che sta vivendo un vero e proprio rinascimento, in grado di ridare una nuova vita ad una città che senza l’automotive stava perdendo un pò troppo la sua identità. Torino sta infatti concentrando notevoli risorse a favore delle startup grazie all’azione combinata e sinergica di operatori privati come Intesa San Paolo e le Fondazioni Bancarie Compagnia San Paolo e CRT insieme ad istituzioni pubbliche quali l’amministrazione comunale (grazie alla già assessore all’innovazione Paola Pisano, oggi Ministro dell’Innovazione) e una formazione universitaria d’eccellenza (Politecnico e Università degli Studi Torino).

Proprio di recente il sindaco Chiara Appennino ha fatto il punto ad un anno data dell’avvio di Torino City Lab, piattaforma di sperimentazione cittadina dove sarà semplice interfacciarsi con la Pubblica amministrazione e con un sistema di partner pubblici e privati che assistono le attività di sperimentazione in condizioni reali di soluzioni pre-commerciali, in cui – si legge sul sito – “testare le soluzioni del futuro, comprenderne le ricadute e valutarne l’accettabilità e l’impatto sociale”: dai veicoli a guida autonoma e connessi per una nuova visione della mobilità urbana all’uso dei droni per servizi di interesse pubblico; dall’Internet delle cose per promuovere politiche guidate dai dati all’intelligenza artificiale e alla robotica per una nuova offerta di servizi al cittadino.

Tre hub italiani sono più che sufficienti al momento, anche perché nel sud Italia nessuna città ha al momento la visione politica e la forza di avvicinarsi al modello ideale a cui bisognerebbe tendere.

La parola d’ordine che dovremmo quindi avere tutti in testa nel nostro Paese, da sempre all’avanguardia per la propria capacità di dividerci in piccolissimi micro e presunti ecosistemi piuttosto che fare sinergie e vera massa critica, è una sola: concentrazione. Di risorse, talenti, idee, capitali pubblici e capitali privati.

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Stefano Peroncini
Stefano Peroncini

Venture Capitalist e Serial Entrepreneur. CEO di EUREKA! Venture SGR e membro del Comitato di Investimento di FARE Venture (Fund of Funds da 80Ml€ di Lazio Innova). È stato fondatore e CEO di Quantica SGR, fondo che ha investito nella startup biotech EOS, ceduta all’americana Clovis Oncology per 470ml$

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