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Open Innovation Manager: le 5 regole di sopravvivenza

Come qualificare una professione che è tanto emergente quanto indefinita nei suoi confini e contenuti? Ecco alcuni indicazioni su quale visione e quali comportamenti deve adottare un open innovation manager

Pubblicato il 25 Apr 2023

open innovation manager

Questo aprile si è chiusa la serie “What Open Innovation Managers Want”: 10 brevi ed informali interviste – ospitate sulla piattaforma di Eni Joule (qui lo spazio dedicato alla rubrica) – con chi fa Open Innovation nelle principali aziende italiane.

Su EconomyUp a febbraio avevo riassunto i principali take aways emersi dalle prima cinque chiacchierate con Mattia Voltaggio (Head of Joule), Alessandro Leonardi (Head Open Innovation, Poste Italiane), Natascia Noveri (Head of Innovation, Intesa Sanpaolo), Matteo Mingardi (Chief Innovation Officer, Pelliconi) e Cecilia Visibelli (Head of Open Innovation Hub, Snam).

Qui ho provato a riassumere gli spunti più interessanti dal secondo round di interviste. L’obiettivo ultimo è cercare di qualificare una professione – quella dell’open innovation in azienda – che è tanto emergente quanto indefinita nei suoi confini e contenuti.

Stare “lì, lì nel mezzo”

“Finché ce n’hai stai lì”, diceva Ligabue in “Una vita da mediano”. Lo stesso, con le dovute differenze, si applica agli Open Innovation Manager che, nei fatti, devono saper stare a lor agio all‘intersezione tra diversi mondi: tra il mondo della tecnologia e il mondo del business. Tra il dentro dell’azienda (che in grandi aziende sono peraltro tanti luoghi) e il fuori (anche in questo caso tanti luoghi, dalle startups a università, investitori e acceleratori, dalla Motor alla Silicon Valley, dal Kilometro Rosso ad Israele, da Roma Startup a Seoul – n.d.r. nomi ed abbinamenti sono assolutamente casuali).

“La parte più bella del lavoro di un Open Innovation Manager è stare proprio all’intersezione, che richiede curiosità e proattività per non fermarsi alla barriera intrinseca all’open innovation che è il relationship management tra realtà grandi e realtà piccole e veloci. E la capacità di shiftare velocemente tra tematiche diverse. Queste sono anche le caratteristiche che cerchiamo nelle persone del nostro team.”. Questo (e molto altro) nella conversazione con Paolo Cerioli, Group Head of Open Innovation & Ecosystem Development di Eni, che dalla Silicon Valley ha chiuso la serie “What Open Innovation Managers Want”.

Passare dal calendario all’orologio

Qual è la più grande barriera nel lavorare con le startups? “La differente velocità di reazione e l’orizzonte temporale. Quando dobbiamo incontrarci con una startup loro guardano l’orologio, noi il calendario”. Così ci ha ricordato Daniele Pozzo, Head of Product Portfolio & Marketing in FPT Industrial (Iveco Group). “Avere fatto startup mi aiuta a comprenderle”. Però per fare l’Open Innovation Manager serve avere anche “profonda conoscenza dei processi e dei business dell’azienda”. Qui il link alla sua intervista.

Azzerare per ripartire

“Fare innovazione significa costruire qualcosa di nuovo, spesso azzerare e ripartire. E’ fondamentale avere una profonda conoscenza dei processi così come delle attività e del business”. Per fare questo “bisogna avere il coraggio di rivedere le assunzioni di base, il cosiddetto abbiamo fatto sempre fatto così. Per questo abbiamo speso mattine sotto bordo per comprendere a fondo i processi della riconsegna dei bagagli prima di cambiarli”. Questo un frammento della chat con Emanuele Calà, Vice President Innovation & Quality, Aeroporti di Roma.

Livellare snobismo e scetticismo

Che problemi si hanno con le startup? Ho chiesto a Giorgia Mainardi, Innovation Manager in Amadori. “Molte fanno overselling e alcune hanno anche un pò di snobismo, cosa che rischia di compromettere la relazione con le business unit”. Anche perché dentro le aziende persiste un “forte scetticismo che si abbatte soltanto facendo prima capire il senso della funzione di innovazione e poi dimostrandone l’utilità attraverso i risultati”. Quindi per l’open innovation manager è “un percorso sempre in salita, cambiano solo i livelli di pendenza”. Qui il link alla puntata con la “Scalatrice”.

Essere project manager ma anche “smanettoni”

“Chi ho visto fare bene questo mestiere, oltre al project management – che serve per poter portare avanti le cose dentro le aziende -, deve avere un po’ di conoscenze tecniche. Io ho sempre smanettato. In un mondo dove la tecnologia la fa da padrone, capire i meccanismi che ci stanno sotto è utile.” Anche per ridurre le asimmetrie informative. Questa è la ricetta che Emanuele Colonnella di Generali mi ha dato nella nostra chiacchierata.

Mi sono divertito (e ho imparato tanto) nel fare queste interviste. La cosa più difficile è stata trovare un appellativo per ciascuno. Dal Pragmatico alla Metodista, dall’Audace allo Scalatore, dalla Concreta all’ Educatore, dall’Azzeratore al Misuratore, dall’Esploratore al Traduttore. Per fortuna sono finite perché stavo running out of names.

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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