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La cultura dell’innovazione aziendale nasce dal mestiere: perché senza capacità profonde non si può innovare davvero



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Molte aziende parlano di cultura dell’innovazione come apertura mentale o disponibilità a rischiare. Per Gary Pisano (Harvard Business School), la vera radice culturale sta invece nella profondità delle competenze e nella capacità di affrontare problemi complessi

Pubblicato il 10 dic 2025



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Nel dibattito manageriale contemporaneo, la cultura dell’innovazione viene spesso associata alla creatività, alla flessibilità e alla capacità di immaginare nuovi scenari. Ma secondo Gary Pisano, professore alla Harvard Business School e studioso delle dinamiche competitive nei settori ad alta intensità tecnologica, questa visione trascura un elemento essenziale: una cultura innovativa si sostiene solo quando l’organizzazione dispone di competenze profonde e accumulate nel tempo. È un punto che emerge chiaramente dalla sua conversazione con Greg LeBlanc nel podcast unSILOed, in cui Pisano ribadisce che l’innovazione non è un esercizio di spontaneità, ma un’attività che richiede disciplina tecnica e una base solida di conoscenza professionale  .

La cultura come sistema di capacità, non di slogan

Molte aziende raccontano la propria cultura dell’innovazione attraverso valori astratti o dichiarazioni identitarie. Per Pisano, questa impostazione rischia di creare un divario tra ciò che l’azienda dice di essere e ciò che riesce concretamente a fare. Una cultura diventa realmente innovativa quando è supportata da abilità specialistiche, pratiche consolidate e una conoscenza del mestiere che consente ai team di affrontare sfide tecniche di alto livello.

Pisano spiega che il cuore dell’innovazione non è lo slancio creativo, ma la capacità di manipolare la complessità. Ciò non significa adottare un modello rigido: significa riconoscere che il coraggio di esplorare nasce dalla sicurezza tecnica. Senza basi solide, il rischio non è esplorazione, ma improvvisazione.

La differenza tra “cultura della scoperta” e cultura del perfezionamento

Uno dei passaggi più interessanti del dialogo riguarda la distinzione tra due approcci culturali molto diversi:

  • le organizzazioni che si concentrano sul perfezionamento,
  • e quelle che sviluppano una vera cultura della scoperta.

La prima tende a ottimizzare ciò che già funziona: processi, prodotti, standard. È un approccio necessario per garantire efficienza, ma rischia di confinare l’azienda nel miglioramento incrementale.

La seconda, invece, si fonda sull’idea che l’innovazione richiede la capacità di muoversi nel territorio dell’ignoto. Una cultura della scoperta non si limita a gestire variabili note: prepara le persone ad affrontare problemi che non hanno ancora una soluzione definita.

Ciò che permette di sostenere la scoperta non è la creatività isolata, ma la profondità delle competenze. Pisano sottolinea che la capacità di innovare nasce dalla padronanza di un linguaggio tecnico e dalla familiarità con i principi che governano la tecnologia o il processo su cui si lavora. Questa padronanza rende possibile elaborare ipotesi non banali e testarle con rigore.

Perché le competenze profonde generano innovazione

Pisano insiste sul fatto che non può esserci innovazione senza un forte radicamento tecnico. Le aziende che hanno costruito nel tempo una base di conoscenze estese sono quelle che possono affrontare problemi di maggiore portata.

Nel dialogo con LeBlanc porta l’esempio di organizzazioni che hanno continuato a innovare in settori difficili proprio perché disponevano di un patrimonio di competenze su materiali, processi e tecnologie accumulato in decenni di lavoro. Senza questa infrastruttura cognitiva, la cultura innovativa perderebbe una delle sue leve fondamentali: la capacità di vedere possibilità dove altri vedono solo vincoli.

È proprio questa profondità a consentire salti concettuali, perché la conoscenza approfondita delle regole consente di immaginare nuove combinazioni o di infrangere quelle stesse regole con cognizione di causa.

Gli standard elevati come fondamento culturale

Un’altra dimensione della cultura dell’innovazione che Pisano evidenzia riguarda gli standard di lavoro. Non si tratta di creare un ambiente esigente per principio, ma di riconoscere che l’innovazione richiede disciplina. Standard elevati non sono un ostacolo alla creatività: sono ciò che permette ai team di operare con coerenza mentre esplorano soluzioni incerte.

Pisano spiega che molte aziende faticano a costruire una cultura innovativa proprio perché confondono “apertura” con “assenza di rigore”. Ma nelle organizzazioni che innovano davvero, la libertà di sperimentare convive con una forte attenzione alla qualità delle analisi, allo studio dei problemi, alla precisione tecnica. Non è un paradosso, ma una condizione necessaria: l’esplorazione senza disciplina diventa dispersione.

La cultura come pratica professionale, non come atmosfera

Pisano invita anche a evitare un equivoco diffuso: la cultura dell’innovazione non è l’atmosfera che si respira nei corridoi, ma il complesso di pratiche professionali che permettono alle persone di affrontare problemi difficili in modo costruttivo. È una cultura fatta di lavoro, non di percezioni.

Il modo in cui le persone studiano, documentano, verificano ipotesi, analizzano errori o prendono decisioni ha un impatto molto più profondo delle dichiarazioni aziendali. Per questo Pisano considera la cultura un “sistema operativo” più che una filosofia: se le routine del lavoro quotidiano non sostengono la complessità, nessun valore dichiarato può renderle innovative.

La cultura dell’innovazione aziendale come infrastruttura di competenza

La visione che emerge dalla conversazione è chiara: una cultura dell’innovazione aziendale non nasce dall’enfasi sul mindset o sulla creatività, ma dalla capacità dell’organizzazione di garantire un ambiente in cui competenze, disciplina, approfondimento e curiosità tecnica sono considerati elementi costitutivi del lavoro.

È questo sistema culturale a permettere alle persone di affrontare problemi difficili con rigore e immaginazione. Non è una cultura leggera, né decorativa: è un ecosistema esigente, che sostiene l’innovazione non attraverso slogan, ma attraverso la solidità professionale.

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