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Gary Pisano (Harvard Business School): “All’innovazione aziendale servono rottura della routine, sintesi e conversazioni difficili”



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Le aziende credono di generare molte idee perché ricevono molti stimoli, ma in realtà sono stimoli ripetitivi e provenienti dagli stessi interlocutori. Lo sostiene Gary Pisano, autore e docente alla Harvard Business School, che spiega cosa serve per generare idee

Pubblicato il 24 nov 2025



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A molte organizzazioni sembra di nuotare in un mare di idee, tanto da ritenere l’innovazione un processo naturale, quasi spontaneo. Tuttavia, osservando più da vicino, spesso si scopre che il flusso creativo è più stretto di quanto appaia. L’economista e professore presso la Harvard Business School Gary Pisano, in una conversazione con Greg LeBlanc nel podcast unSILOed, sostiene che gran parte dei problemi legati all’innovazione aziendale derivino da un equivoco di fondo: le aziende credono di generare molte idee perché ricevono molti stimoli, ma in realtà questi stimoli sono spesso ripetitivi e provenienti dagli stessi interlocutori.

Chi è Gary Pisano

Gary P. Pisano è un economista statunitense, professore alla Harvard Business School, dove ricopre la cattedra di Harry E. Figgie Jr. Professor of Business Administration ed è stato Senior Associate Dean per lo sviluppo e la promozione della faculty. Si occupa da oltre trent’anni di strategia competitiva, management dell’innovazione e crescita d’impresa, con particolare attenzione a come le organizzazioni imparano, innovano e competono.
Laureato in Economia a Yale e PhD in Business Administration a Berkeley, è entrato a far parte della faculty di Harvard nel 1988. Ha contribuito in modo rilevante alla teoria delle dynamic capabilities, insieme a David Teece, sottolineando il ruolo delle capacità organizzative nel vantaggio competitivo di lungo periodo.
Le sue ricerche hanno spesso riguardato settori ad alta intensità tecnologica, come biotech, farmaceutico, aerospazio, semiconduttori e ICT.

Pisano è autore di oltre 90 articoli e casi e di vari libri, tra cui “Creative Construction: The DNA of Sustained Innovation”, in cui spiega come anche le grandi aziende possano costruire una capacità di innovazione continua.

L’illusione della “pipeline piena”

Pisano osserva che molte imprese considerano il proprio portafoglio di idee più ricco di quanto sia. Il motivo è che confondono input ricorrenti con varietà effettiva. I clienti principali rappresentano una fonte di segnalazioni continua, ma questo produce un effetto paradossale: invece di ampliare la visione dell’azienda, tende a restringerla. “Se hai tre clienti grandi che ti dicono sempre di fare la stessa cosa, ti sembrerà di avere una pipeline piena, ma stai ascoltando sempre la stessa voce”, spiega Pisano.

Questa dinamica genera una falsa percezione di abbondanza creativa. I team sentono di avere molte proposte sul tavolo perché le richieste sono numerose, ma ciò che manca è una reale diversità cognitiva, cioè la capacità di intercettare idee provenienti da ambienti lontani, discipline differenti, competenze non allineate agli schemi abituali.

LeBlanc sottolinea che il rischio, in questo caso, non è solo la ripetizione. L’azienda tende a rafforzare il proprio percorso passato, consolidando soluzioni già note, invece di esplorare connessioni che potrebbero portare a nuove forme di innovazione aziendale.

Pisano aggiunge che una pipeline realmente ampia non nasce dalla quantità, ma dalla varietà. Serve un lavoro attivo di ricerca, e soprattutto una pratica costante di sintesi: “Ricercare è una cosa; saper combinare ciò che trovi in qualcosa di nuovo è un’altra”.

La ricerca come ampliamento della tavolozza cognitiva

Pisano distingue in modo netto due momenti dell’innovazione: la ricerca e la sintesi. La ricerca è il processo di apertura, il movimento che porta l’azienda fuori dal proprio perimetro per attingere a fonti eterogenee. È un’azione intenzionale, non accidentale. Significa uscire dai contesti abituali, frequentare discipline lontane, coinvolgere persone che guardano i problemi da prospettive radicalmente diverse.

La ricerca, infatti, non è un’attività passiva: non coincide con il semplice ricevere idee. È un processo che richiede energia, tempo e soprattutto volontà di mettersi in discussione. Pisano nota che molte aziende si limitano a interagire con attori che conoscono già, come i clienti storici o gli stessi partner tecnologici. Ma un ecosistema di stimoli così omogeneo non può produrre vera novità.

LeBlanc aggiunge che la chiave sta nel costruire una “tavolozza più ampia”, per usare una metafora cara a Pisano. Più colori si hanno a disposizione, più combinazioni sono possibili. E il primo compito di chi guida l’innovazione aziendale è proprio quello di ampliare questo repertorio cognitivo.

La diversità cognitiva come condizione dell’innovazione

Un punto centrale del ragionamento di Pisano è che la diversità non è un valore astratto, ma una condizione operativa. Le aziende che parlano di eterogeneità spesso la interpretano solo sul piano demografico o culturale. Pisano, invece, si riferisce alla diversità di conoscenza e di approcci. Per generare idee realmente nuove, serve qualcuno che non solo abbia un bagaglio diverso, ma che ponga domande diverse.

È in questa diversità che la ricerca trova la sua forza: più prospettive entrano in contatto, più possibilità emergono. Ma Pisano avverte che questa dinamica non è priva di frizioni. Le conversazioni più utili sono anche le più scomode: quelle che contestano le ipotesi di partenza, che mettono in discussione la logica dominante, che costringono i team a ridefinire i confini dei problemi.

La sintesi: l’atto architettonico dell’innovazione

Se la ricerca è una pratica di ampliamento, la sintesi è una pratica di costruzione. È il momento in cui l’azienda combina elementi eterogenei in qualcosa di coerente, trasformando frammenti di conoscenza in una proposta organica. Pisano definisce questa attività “architettura intellettuale”: la capacità di collegare tra loro parti lontane e di generare un nuovo ordine.

È un passaggio che molte aziende trascurano. Sono in grado di raccogliere idee, ma faticano a integrarle, a individuare nessi, a costruire piattaforme concettuali capaci di sostenere il cambiamento. Senza sintesi, la ricerca rimane dispersione; senza ricerca, la sintesi si riduce a variazioni di temi già noti.

LeBlanc osserva che questa capacità architettonica è rara: non tutte le persone che producono idee sono in grado di combinarle in un modello coerente. Pisano concorda e aggiunge che l’innovazione aziendale richiede figure che svolgano proprio questo ruolo di mediazione cognitiva: persone capaci di tradurre linguaggi diversi, di connettere ingegneri e designer, economisti e sviluppatori, scienziati e product manager.

Le conversazioni difficili come acceleratori di sintesi

Un elemento ricorrente nella conversazione è il ruolo delle conversazioni “franche”, quelle che non si limitano a confermare ciò che si pensa già. Pisano sostiene che la sintesi nasce da tensioni intellettuali, non da accordi immediati. Le idee veramente nuove emergono quando competenze differenti si confrontano senza proteggere eccessivamente il proprio perimetro disciplinare.

Il problema, nelle grandi organizzazioni, è che la comunicazione tende a essere filtrata, mediata, resa innocua. Ma l’innovazione richiede un livello di frizione costruttiva. Pisano lo descrive come un tipo di dialogo profondo, spesso non confortevole, che permette però di arrivare a intuizioni che nessuna disciplina potrebbe generare da sola.

L’innovazione aziendale come esercizio continuo di combinazione

La parte più significativa del ragionamento di Pisano è che l’innovazione aziendale non è una questione di genialità individuale o di brainstorming ispirati. È un processo continuo di combinazione di idee, un movimento costante tra ampliamento e costruzione. Le aziende che innovano non sono quelle che generano più spunti, ma quelle che sanno cercare in luoghi inaspettati e combinare ciò che trovano in configurazioni nuove.

Pisano invita quindi a considerare l’innovazione come una pratica quotidiana di ricerca e sintesi, più che come un insieme di iniziative isolate. È un lavoro che richiede infrastrutture cognitive, spazi di confronto non ritualizzati e una cultura che accetti la complessità delle conversazioni difficili. Solo così la varietà diventa possibilità e la possibilità si trasforma in progetto.

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