LA POLEMICA

Enrico Mentana: guarda chi sono i più ricchi in Italia e negli Usa per capire come va l’innovazione

Ferrero, Del Vecchio, Pessina, Aleotti: dolciumi, occhiali, cosmetici e medicine, con un’età media di 80 anni. Bezos, Gates, Zuckerberg e Musk, età media 51 e imprese nate nell’ultimo quarto di secolo. Il direttore del Tg La7 propone un’immagine utile per capire la forza (e i limiti) del sistema italiano.

Pubblicato il 24 Ago 2020

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Basta guardare la classifica degli uomini più ricchi per comprendere dove sta il problema dell’Italia con le tecnologie e l’innovazione. Il suggerimento arriva sui social da Enrico Mentana, carismatico anchorman che da 10 anni esatti guida il Tg La7 dopo aver fondato il Tg5 in Mediaset: un professionista che non si tira indietro di fronte alle sfide impossibili, tanto è vero che nel 2018 ha lanciato un quotidiano online, Open. Un maestro della polemica Mentana, che questa volta entra a gamba tesa sui temi delle startup e dell’innovazione digitale con un’immagine, che non è certo un’analisi ma sintetizza efficacemente la forza e i limiti del sistema italiano (e in parte anche europeo) rispetto a quello nordamericano.

In un post su Linkedin Mentana scrive: “I quattro italiani più ricchi (Maria Francesca Ferrero, Leonardo Del Vecchio, Stefano Pessina, Massimiliano Aleotti) possiedono società di dolciumi, occhialeria, salute e farmaceutica: Ferrero, Luxottica, Alliance Boots e Menarini). Hanno rispettivamente 81, 85, 79 e 78 anni. I quattro americani più ricchi sono Jeff Bezos, Bill Gates, Mark Zuckerberg ed Elon Musk. Sono i fondatori di Amazon, Microsoft, Facebook e Tesla. Hanno 56, 64, 36 e 49 anni. Le loro aziende sono nate nel 1994, 1975, 2004 e 2003″.

Il confronto è implacabile, sia per quanto riguarda i settori industriali, sia per il dato anagrafico. Negli Stati Uniti a produrre ricchezza, anche a livello individuale, sono imprese nate nell’ultimo quarto di secolo, fondate da giovani e tutte con un forte contenuto tecnologico. Ben diversa la situazione italiana, ancora fortemente contrassegnata da una struttura old economy, con aziende spesso ereditate. Certo Luxottica è un player globale, così come Alliance Boots. Certo Menarini e Ferrero hanno fatto e fanno tanta ricerca e la Nutella è un prodotto che tutto il mondo ci invidia. Non c’è dubbio che aziende come queste, e tante altre, rappresentano un valore indiscutibile per tutto il Paese e hanno una solidità superiore a tante meteore digitali. Ma dove sono le nostre Google, Amazon o Tesla?

La foto di gruppo dei Paperoni italiani e americani aiuta più di tante analisi a capire il ritardo culturale e strutturale di un sistema economico che sta paradossalmente nei suoi stessi punti di forza.  “Il problema italiano non sono le degnissime figure che ho citato né tantomeno le loro aziende, che sono orgoglio nazionale“, scrive giustamente Mentana, che non sa molto di innovazione e startup ma sa come lanciar sassi negli stagni.  Il problema italiano è “il fatto che da noi nulla o quasi sia nato di innovativo e al passo con quella rivoluzione digitale che ha cambiato il mondo”. E continua con ancora maggiore durezza: “In tutti questi anni gli impegni pubblici o privati in termini di sostegno alle startup o di incentivo a ricerca e sviluppo sono stati risibili per stanziamenti ed esiti”.

Non è vero, ovviamente, che in Italia non sia nato nulla di innovativo o che siano mancati negli ultimi 10 anni gli impegni pubblici o provati. Ma, diciamo così, la questione non è stata presa molto sul serio. L’innovazione non è ancora diventata una reale priorità politica, culturale ed economica e forse non poteva diventarlo con leader imprenditoriali nati prima della Seconda Guerra Mondiale che certamente hanno contribuito a fare grande l’Italia, a forgiare la stessa idea di Made in Italy, ma probabilmente non possono essere i protagonisti del cambiamento.

“Quando scrivo di un Paese che appassisce, mentre i vari partiti litigano sull’ultimo sussidio a pioggia, soprattutto di questo parlo”, conclude Mentana.

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