OPEN WORLD

Come funziona il Venture Client: l’esperienza di Procter & Gamble

Il primo obiettivo, quando si fa venture client, è portare a casa risultati velocemente dalla collaborazione con la startup. Secondo la grande azienda americana a determinare il successo dei POC con le startup sono le business unit. Che, però, devono rispettare alcune condizioni. Ecco quali

Pubblicato il 16 Mag 2023

venture client

Già in un precedente articolo avevamo discusso sul Venture Client (modello di collaborazione con le startup dove le imprese non prendono equity ma ne diventano cliente) e sulle caratteristiche che accumunano le aziende che lo sanno fare funzionare bene.

Qualche settimana fa a Tel Aviv, durante la Corporate Startup Stars Roundtable, abbiamo avuto l’opportunità di approfondire come una grande azienda come Procter & Gamble abbia introdotto oltre sei anni fa un Venture Client e lo abbia perfezionato ed evoluto nel tempo.

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Orr Hameiri durante la CSS Roundtable a Tel Aviv

Di seguito i principali highlights della conversazione che abbiamo avuto con Orr Hameiri, Global Tech Innovation Director di P&G Israel.

Venture client, il primo obiettivo? Avere “Quick Wins”

“When we started we focused on quick wins. We took whatever we got.”.

Le unità di open innovation, quando partono, soffrono di quella che viene chiamata “liability of newness”: sono piccole e non hanno un track record di risultati. Quindi godono di scarsa o nulla attenzione e reputazione. Il supporto del top management è il più delle volte di mera facciata. L’unica funzione realmente interessata a loro è la Comunicazione, perché le startup sono un tema che può portare un po’ di press coverage.

Quindi è imperativo conquistare credibilità portando a casa il prima possibile risultati.

Orr racconta come appena partiti fossero riusciti a fare un POC con una startup che automatizzava la creazione di sottotitoli per gli spot in diverse lingue. La collaborazione, per quanto non avesse un grandissimo impatto economico in termini di savings, ha permesso di fare vedere alle Business Units la potenzialità di valore estraibile dalle startups e questo ha contribuito a spianare la strada.

“The project was appreciated. The BUs started talking about us”.

Chi determina il successo di un POC? Le Business Unit

Alla fine, chi realmente determina il successo o meno delle collaborazioni con le startup non sono né le startup né le unità di open innovation. Quanto le business unit.

Rectius. Le BU, più che sul successo del POC (qui incide molto la startup), incidono sul suo insuccesso, nel senso che possono stallarlo o soffocarlo.

Per questo, dopo essere riusciti ad avere la loro attenzione, bisogna garantirsi il loro commitment.

Orr, da buon israeliano, è stato molto diretto e pragmatico sul punto.

Le 5 condizioni che devono rispettare le Business Unit

Il team di open innovation di Procter & Gamble, prima di avviare uno scouting sprint per una Business Unit, richiede che la BU rispetti 5 condizioni:

  1. Richiesta proveniente dal VP (quindi top level buy-in)
  2. Presenza di un budget per pagare il POC alla startup (risorse finanziarie)
  3. Disponibilità di persone per gestire il pilota (risorse umane dedicate)
  4. Definizioni dei parametri (KPIs) con cui misurare il successo o meno del pilota
  5. Budget per scalare industrialmente il pilota (nel caso funzioni)

Queste condizioni creano il giusto contesto affinché la collaborazione con la startup possa avvenire. Soprattutto evitano che il pilota venga parcheggiato da qualche parte (esito non infrequente di molti cicli di scouting, per quanto in grado di trovare startup interessanti) o, nel caso in cui abbia successo, non venga poi implementato.

“We don’t want to have a POC that works and the BU that might say: “let’s see, maybe next year”. If a startup was supposed to do 2x and delivered, then we move into industrialization”.

Perché l’obiettivo dell’open innovation non è fare progetti pilota (“oggi non li contiamo neanche più”), ma di scalarli e produrre risultati.

Ovviamente sono condizioni che non si possono imporre agli inizi del proprio innovation journey quando l’obiettivo è invece fare succedere qualche POC, ottenere qualche quick win e costruirsi una credibilità e reputazione. Man mano che questo succede si introdurranno correttivi organizzativi in grado di rendere l’operatività della macchina dell’open innovation più efficiente.

Ma queste deve essere fatto al giusto tempo, se no la macchina rischia di schiantarsi alla prima curva.

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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